[Pagina precedente]...tichi e gentili; e nel fine sopra le finestre è un fregio tutto ornato di stucchi e ricchissimo, ma senza pitture. Fece poi in molte camere, stufe et altre stanze, infinite opere pur di stucchi e di pitture, delle quali si veggiono alcune ritratte e mandate fuora in stampe, che sono molto belle e graziose; sì come sono ancora infiniti disegni che il Rosso fece di saliere, vasi, conche et altre bizzarrie, che poi fece fare quel re tutti d'argento, le quali furono tante che troppo sarebbe di tutte voler far menzione. E però basti dire che fece disegni per tutti i vasi d'una credenza da re, e per tutte quelle cose, che per abigliamenti di cavalli, di mascherate, di trionfi e di tutte l'altre cose che si possono immaginare; e con sì strane e bizzarre fantasie, che non è possibile far meglio. Fece quando Carlo Quinto imperadore andò l'anno 1540 sotto la fede del re Francesco in Francia, avendo seco non più che dodici uomini, a Fontanableò la metà di tutti gl'ornamenti, che fece il re fare per onorare un tanto imperadore; e l'altra metà fece Francesco Primaticcio bolognese. Ma le cose che fece il Rosso d'archi, di colossi, altre cose simili, furono, per quanto si disse allora, le più stupende che da altri insino allora fussero state fatte mai. Ma una gran parte delle stanze, che il Rosso fece al detto luogo di Fontanableò, sono state disfatte dopo la sua morte dal detto Francesco Primaticcio, che in quel luogo ha fatto nuova e maggior fabrica.
Lavorarono con il Rosso le cose sopradette di stucco e di rilievo, e furono da lui sopra tutti gl'altri amati, Lorenzo Naldino fiorentino, maestro Francesco d'Orliens, maestro Simone da Parigi e maestro Claudio similmente parigino, maestro Lorenzo Piccardo et altri molti. Ma il migliore di tutti fu Domenico del Barbieri, che è pittore e maestro di stucchi eccellentissimo e disegnatore straordinario, come ne dimostrano le sue opere stampate, che si possono annoverare fra le migliori che vadano a torno. I pittori parimenti, che egli adoperò nelle dette opere di Fontanableò, furono Luca Penni fratello di Giovan Francesco detto il Fattore, il quale fu discepolo di Raffaello da Urbino; Lionardo fiamingo, pittore molto valente, il quale conduceva bene affatto con i colori i disegni del Rosso; Bartolomeo Miniati fiorentino; Francesco Caccianimici e Giovambatista da Bagnacavallo, i quali ultimi lo servirono mentre Francesco Primaticcio andò per ordine del re a Roma a formare il Laoconte, l'Apollo e molte altre anticaglie rare, per gettarle di bronzo. Tacerò gl'intagliatori, i maestri di legname et altri infiniti di quali si servì il Rosso in queste opere, perché non fa di bisogno ragionare di tutti, come che molti di loro facessero opere degne di molta lode. Lavorò di sua mano il Rosso, oltre le cose dette, un S. Michele che è cosa rara. Et al connestabile fece una tavola d'un Cristo morto, cosa rara che è a un suo luogo chiamato Ceuan, e fece anco di minio a quel re cose rarissime. Fece appresso un libro di notomie per farlo stampare in Francia, del quale sono alcuni pezzi di sua mano nel nostro libro de' disegni; si trovarono anco fra le sue cose, dopo che fu morto, due bellissimi cartoni: in uno de' quali è una Leda che è cosa singolare, e nell'altro la Sibilla Tiburtina che mostra a Ottaviano imperadore la Vergine gloriosa con Cristo nato in collo. Et in questo fece il re Francesco, la reina, la guardia et il popolo con tanto numero di figure, e sì ben fatte, che si può dire con verità che questa fusse una delle belle cose che mai facesse il Rosso. Il quale fu per queste opere, et altre molte che non si sanno, così grato al re, che egli si trovava poco avanti la sua morte avere più di mille scudi d'entrata, senza le provisioni dell'opera, che erano grossissime. Di maniera che non più da pittore, ma da principe vivendo, teneva servitori assai, cavalcature, et aveva la casa fornita di tapezzerie e d'argenti, et altri fornimenti e masserizie di valore; quando la fortuna, che non lascia mai o rarissime volte lungo tempo in alto grado chi troppo si fida di lei, lo fece nel più strano modo del mondo capitar male: perché, praticando con esso lui, come dimestico e familiare, Francesco di Pellegrino fiorentino, il quale della pittura si dilettava et al Rosso era amicissimo, gli furono rubate alcune centinaia di ducati. Onde il Rosso, non sospettando d'altri che di detto Francesco, lo fece pigliare dalla corte, e con esamine rigorose tormentarlo molto. Ma colui, che si trovava innocente, non confessando altro che il vero, finalmente relassato, fu sforzato, mosso da giusto sdegno, a risentirsi contra il Rosso del vituperoso carico che da lui gli era stato falsamente apposto. Perché datogli un libello d'ingiuria, lo strinse in tal maniera, che il Rosso, non se ne potendo aiutare, né difendere, si vide a mal partito, parendogli non solo avere falsamente vituperato l'amico, ma ancora machiato il proprio onore, et il disdirsi, o tenere altri vituperosi modi, lo dichiarava similmente uomo disleale e cattivo. Per che deliberato di uccidersi da se stesso, più tosto che esser castigato da altri, prese questo partito: un giorno che il re si trovava a Fontanableò mandò un contadino a Parigi per certo velenosissimo liquore, mostrando voler servirsene per far colori o vernici, con animo, come fece, d'avelenarsi. Il contadino dunque tornandosene con esso (tanta era la malignità di quel veleno) per tenere solamente il dito grosso sopra la bocca dell'ampolla turata diligentemente con la cera, rimase poco meno che senza quel dito, avendoglielo consumato e quasi mangiato la mortifera virtù di quel veleno, che poco appresso uccise il Rosso, avendolo egli, che sanissimo era, preso, perché gli togliesse, come in poche ore fece, la vita. La qual nuova essendo portata al re senza fine gli dispiacque, parendogli aver fatto nella morte del Rosso perdita del più eccellente artefice de' tempi suoi. Ma perché l'opera non patisse, la fece seguitare a Francesco Primaticcio bolognese, che già gl'aveva fatto, come s'è detto, molte opere, donandogli una buona badia, sì come al Rosso avea fatto un canonicato.
Morì il Rosso l'anno 1541, lasciando di sé gran disiderio agl'amici et agl'artefici, i quali hanno mediante lui conosciuto quanto acquisti appresso a un prencipe uno che sia universale, et in tutte l'azzioni manieroso e gentile, come fu egli, il quale per molte cagioni ha meritato e merita di essere ammirato come veramente eccellentissimo.
VITA DI BARTOLOMEO DA BAGNACAVALLO ET ALTRI PITTORI ROMAGNUOLI
Certamente che il fine delle concorrenzie nelle arti, per la ambizione della gloria, si vede il più delle volte esser lodato; ma s'egli avviene che da superbia e da presumersi chi concorre meni alcuna volta troppa vampa di sé, si scorge in ispazio di tempo quella virtù che cerca, in fumo e nebbia risolversi; atteso che mal può crescere in perfezzione chi non conosce il proprio difetto e chi non teme l'operare altrui; però meglio si conduce ad augumento la speranza degli studiosi timidi, che sotto colore d'onesta vita onorano l'opere de' rari maestri, e con ogni studio quelle imitano, che quella di coloro che hanno il capo pieno di superbia e di fumo, come ebbero Bartolomeo da Bagnacavallo, Amico Bolognese, Girolamo da Codignuola et Innocenzio da Imola pittori: perché essendo costoro in Bologna in un medesimo tempo, s'ebbero l'uno all'altro quell'invidia, che si può maggiore imaginare. E, che è più, la superbia loro e la vanagloria, che non era sopra il fondamento della virtù collocata, li deviò dalla via buona; la quale all'eternità conduce coloro che più per bene operare che per gara combattono. Fu dunque questa cosa cagione che a' buoni principii che avevano costoro non diedero quello ottimo fine che s'aspettava. Conciò sia che il presumersi d'essere maestri li fece troppo discostarsi dal buono.
Era Bartolomeo da Bagnacavallo venuto a Roma, ne' tempi di Raffaello, per aggiugnere con l'opere, dove con l'animo gli pareva arrivare di perfezzione. E come giovane, ch'aveva fama in Bologna per l'aspettazione di lui, fu messo a fare un lavoro nella chiesa della Pace di Roma, nella cappella prima a man destra entrando in chiesa, sopra la cappella di Baldassar Perucci sanese. Ma non gli parendo riuscire quel tanto, che di sé aveva promesso, se ne tornò a Bologna, dove egli et i sopra detti fecero a concorrenza l'un dell'altro in San Petronio, ciascuno una storia della vita di Cristo e della madre alla capella della Madonna, alla porta della facciata dinanzi a man destra entrando in chiesa, fra le quali poca differenza di perfezzione si vede dall'una all'altra. Per che Bartolomeo acquistò in tal cosa fama di avere la maniera più dolce e più sicura. Et avvenga che nella storia di maestro Amico sia una infinità di cose strane, per aver figurato nella Resurression di Cristo gl'armati con attitudini torte e rannicchiate, e dalla lapida del sepolcro, che rovina loro addosso, stiacciati molti soldati; nondimeno per essere quella di Bartolomeo più unita di disegno e di colorito, fu più lodata dagli artefici. Il che fu cagione ch'egli facesse poi compagnia con Biagio Bolognese, persona molto più pratica nella arte che eccellente, e che lavorassino in compagnia in San Salvatore a' frati Scopetini, un refettorio, il quale dipinsero parte a fresco parte a secco; dentrovi quando Cristo sazia coi cinque pani e due pesci, cinquemila persone. Lavorarono ancora in una facciata della libreria la disputa di Santo Agostino, nella quale fecero una prospettiva assai ragionevole. Avevano questi maestri, per avere veduto l'opere di Raffaello e praticato con esso, un certo che d'un tutto, che pareva di dovere esser buono; ma nel vero non attesero all'ingegnose particolarità dell'arte, come si debbe. Ma perché in Bologna in que' tempi non erano pittori che sapessero più di loro, erano tenuti da chi governava e dai popoli di quella città i migliori maestri d'Italia. Sono di mano di Bartolomeo sotto la volta del palagio del podestà alcuni tondi in fresco, e dirimpetto al palazzo de' Fantucci in San Vitale una storia della visitazione di Santa Elisabetta. E ne' Servi di Bologna intorno a una tavola d'una Nunziata dipinta a olio, alcuni Santi lavorati a fresco da Innocenzio da Imola. Et in San Michele in Bosco dipinse Bartolomeo a fresco la capella di Ramazzotto, capo di parte in Romagna. Dipinse il medesimo in Santo Stefano in una capella due Santi a fresco con certi putti in aria assai begli. Et in San Iacopo una capella a Messer Aniballe del Corello, nella quale fece la Circoncisione di Nostro Signore, con assai figure; e nel mezzo tondo disopra fece Abramo, che sacrifica il figliuolo a Dio. E questa opera invero fu fatta con buona pratica e maniera. A tempera dipinse nella Misericordia fuor di Bologna in una tavoletta la Nostra Donna et alcuni Santi, e per tutta la città molti quadri et altre opere, che sono in mano di diversi. E nel vero fu costui nella bontà della vita e nell'opere più che ragionevole, et ebbe miglior disegno et invenzione che gl'altri, come si può vedere nel nostro libro in un disegno, nel quale è Gesù Cristo fanciullo che disputa con i Dottori nel tempio, con un casamento molto ben fatto e con giudizio. Finalmente finì costui la vita d'anni cinquantotto, essendo sempre stato molto invidiato da Amico Bolognese, uomo capriccioso e di bizzarro cervello: come sono anco pazze, per dir così, e capricciose, le figure da lui fatte per tutta Italia e particolarmente in Bologna, dove dimorò il più del tempo. E nel vero, se le molte fatiche che fece et i disegni, fussero state durate per buona via e non a caso, egli averebbe per aventura passato molti, che tenghiamo rari e valent'uomini. Ma può tanto, dall'altro lato, il fare assai, che è impossibile non ritrovarne infra molte alcuna buona e lodevole opera, come è fra le infinite che fece costui una facciata di chiaro scuro in sulla piazza de' Marsigli, nella quale sono molti quadri di storie, et un fregio d'animali che combattono insieme, molto fier...
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