[Pagina precedente]... morta l'invenzione, la grazia e la bravura nelle figure dell'arte. Felicità della natura e della virtù nel formare in un corpo così nobile spirto; et invidia et odio crudele di così strana morte nel fato e nella fortuna sua, la quale, se bene gli tolse la vita, non gli torrà per alcun tempo il nome. Furono fatte l'essequie sue solennissime, e con doglia infinita di tutta Messina nella chiesa catedrale datogli sepoltura l'anno 1543.
Grande obligo hanno veramente gl'artefici a Polidoro per averla arrichita di gran copia di diversi abiti, e stranissimi e varii ornamenti, e dato a tutte le sue cose grazia et ornamento; similmente per avere fatto figure d'ogni sorte, animali, casamenti, grottesche e paesi così belli, che dopo lui chiunche ha cercato d'essere universale l'ha imitato. Ma è gran cosa e da temerne, il vedere, per l'esempio di costui, la instabilità della fortuna e quello che ella sa fare, facendo divenire eccellenti in una professione, uomini da chi si sarebbe ogn'altra cosa aspettato, con non piccola passione di chi ha nella medesima arte molti anni in vano faticato. È gran cosa, dico, vedere i medesimi, dopo molti travagli e fatiche, essere condotti dalla stessa fortuna a misero et infelicissimo fine, allora che aspettavano di goder il premio delle loro fatiche: e ciò con sì terribili e mostruosi casi, che la stessa pietà se ne fugge, la virtù s'ingiuria, et i beneficii d'una incredibile e straordinaria ingratitudine si ristorano. Quanto dunque può lodarsi la pittura della virtuosa vita di Polidoro, tanto può egli dolersi della fortuna, che se gli mostrò un tempo amica, per condurlo poi, quando meno ciò si aspettava, a dolorosa morte.
VITA DEL ROSSO PITTOR FIORENTINO
Gli uomini pregiati che si danno alle virtù, e quelle con tutte le forze loro abbracciano, sono pur qualche volta, quando manco ciò si aspettava, esaltati et onorati eccessivamente nel cospetto di tutto il mondo; come apertamente si può vedere nelle fatiche che il Rosso pittor fiorentino pose nell'arte della pittura. Le quali, se in Roma et in Fiorenza non furono da quei che le potevano rimunerare sodisfatte, trovò egli pure in Francia chi per quelle lo riconobbe di sorte, che la gloria di lui poté spegnere la sete in ogni grado d'ambizione che possa 'l petto di qual si voglia artefice occupare. Né poteva egli in quell'essere conseguir dignità , onore, o grado maggiore, poi che sopra ogn'altro del suo mestiero, da sì gran re, come è quello di Francia, fu ben visto e pregiato molto. E nel vero i meriti d'esso erano tali, che se la fortuna gli avesse procacciato manco, ella gli avrebbe fatto torto grandissimo. Con ciò fusse che il Rosso era, oltra la pittura, dotato di bellissima presenza; il modo del parlar suo era molto grazioso e grave; era bonissimo musico et aveva ottimi termini di filosofia, e quel che importava più che tutte l'altre sue bonissime qualità , fu che egli del continuo nelle composizione delle figure sue era molto poetico, e nel disegno fiero e fondato, con leggiadra maniera e terribilità di cose stravaganti, et un bellissimo compositore di figure. Nella architettura fu eccellentissimo e straordinario, e sempre, per povero ch'egli fosse, fu ricco d'animo e di grandezza. Per il che coloro che nelle fatiche della pittura terranno l'ordine che 'l Rosso tenne, saranno di continuo celebrati come son l'opre di lui. Le quali di bravura non hanno pari, e senza fatiche di stento son fatte, levato via da quelle un certo tisicume e tedio, che infiniti patiscono per fare le loro cose di niente parere qualche cosa. Disegnò il Rosso nella sua giovanezza al cartone di Michele Agnolo, e con pochi maestri volle stare all'arte, avendo egli una certa sua opinione contraria alle maniere di quegli, come si vede fuor della porta a S. Pier Gattolini di Fiorenza, a Marignolle, in un tabernacolo lavorato a fresco per Piero Bartoli con un Cristo morto, dove cominciò a mostrare quanto egli desiderasse la maniera gagliarda e di grandezza più degl'altri, leggiadra e maravigliosa. Lavorò sopra la porta di San Sebastiano de' Servi, essendo ancor sbarbato, quando Lorenzo Pucci fu da papa Leone fatto cardinale, l'arme de' Pucci con due figure che in quel tempo fece maravigliare gli artefici, non si aspettando di lui quello che riuscì. Onde gli crebbe l'animo talmente, che avendo egli a maestro Giacopo frate de' Servi, che attendeva alle poesie, fatto un quadro d'una Nostra Donna con la testa di S. Giovanni Evangelista mezza figura, persuaso da lui fece nel cortile de' detti Servi, allato alla storia della Visitazione che lavorò Giacopo da Pontormo, l'assunzione di Nostra Donna, nella quale fece un cielo d'Angeli tutti fanciulli ignudi, che ballano intorno alla Nostra Donna acerchiati, che scortano con bellissimo andare di contorni e con graziosissimo modo girati per quell'aria; di maniera che, se il colorito fatto da lui fosse con quella maturità d'arte che egli ebbe poi col tempo, avrebbe, come di grandezza e di buon disegno paragonò l'altre storie, di gran lunga ancora trapassate. Fecevi gli Apostoli carichi molto di panni e di troppa dovizia di essi pieni, ma le attitudini et alcune teste sono più che bellissime. Fecegli far lo Spedalingo di S. Maria Nuova una tavola, la quale, vedendola abbozzata, gli parvero, come colui ch'era poco intendente di questa arte, tutti quei Santi diavoli, avendo il Rosso costume, nelle sue bozze a olio, di fare certe arie crudeli e disperate, e nel finirle poi addolciva l'aria e riducevale al buono. Per che se li fuggì di casa e non volle la tavola, dicendo che lo aveva giuntato. Dipinse medesimamente sopra un'altra porta che entra nel chiostro del convento de' Servi, l'arme di papa Leone con due fanciulli, oggi guasta. E per le case de' cittadini si veggono più quadri e molti ritratti. Fece per la venuta di papa Leone a Fiorenza sul canto de' Bischeri un arco bellissimo. Poi lavorò al signor di Piombino una tavola con un Cristo morto bellissimo, e gli fece ancora una cappelluccia. E similmente a Volterra dipinse un bellissimo Deposto di croce. Perché cresciuto in pregio e fama, fece in S. Spirito di Fiorenza la tavola de' Dei, la quale già avevano allogato a Raffaello da Urbino, che la lasciò per le cure dell'opera che aveva preso a Roma. La quale il Rosso lavorò con bellissima grazia e disegno e vivacità di colori. Né pensi alcuno che nessuna opera abbia più forza o mostra più bella di lontano, di quella, la quale, per la bravura nelle figure e per l'astrattezza delle attitudini, non più usata per gli altri, fu tenuta cosa stravagante. E se bene non gli fu allora molto lodata, hanno poi a poco a poco conosciuto i popoli la bontà di quella, e gli hanno dato lode mirabili; perché nell'unione de' colori non è possibile far più, essendo che i chiari, che sono sopra dove batte il maggior lume, con i men chiari vanno a poco a poco con tanta dolcezza et unione a trovar gli scuri con artifizio di sbattimenti d'ombre, che le figure fanno addosso l'una all'altra figura, perché vanno per via di chiari scuri facendo rilievo l'una all'altra. E tanta fierezza ha quest'opera, che si può dire ch'ella sia intesa e fatta con più giudizio e maestria, che nessun'altra che sia stata dipinta da qual si voglia più giudizioso maestro. Fece in San Lorenzo la tavola di Carlo Ginori dello sponsalizio di Nostra Donna, tenuto cosa bellissima. Et in vero in quella sua facilità del fare non è mai stato chi di pratica o di destrezza l'abbi potuto vincere, né a gran lunga accostarseli; per esser egli stato nel colorito sì dolce, e con tanta grazia cangiato i panni, che il diletto, che per tale arte prese, lo fé sempre tenere lodatissimo e mirabile, come chi guarderà tale opera conoscerà tutto questo ch'io scrivo esser verissimo, considerando gl'ignudi, che sono benissimo intesi, e con tutte l'avvertenze della notomia. Sono le femmine graziosissime e l'acconciature de' panni bizarre e capricciose. Similmente ebbe le considerazioni, che si deono avere, sì nelle teste de' vecchi con cere bizarre, come in quelle delle donne e dei putti, con arie dolci e piacevoli. Era anco tanto ricco d'invenzioni, che non gl'avanzava mai niente di campo nelle tavole, e tutto conduceva con tanta facilità e grazia, che era una maraviglia. Fece ancora a Giovanni Bandini un quadro d'alcuni ignudi bellissimi, in una storia di Mosè quando ammazza l'Egizzio, nel quale erano cose lodatissime; e credo che in Francia fosse mandato. Similmente un altro ne fece a Giovanni Cavalcanti, che andò in Inghilterra, quando Iacob piglia il bere da quelle donne alla fonte, che fu tenuto divino, atteso che vi erano ignudi e femmine lavorate con somma grazia, alle quali egli di continuo si dilettò far panniccini sottili, acconciature di capo con trecce et abbigliamenti per il dosso.
Stava il Rosso, quando questa opera faceva, nel Borgo de' Tintori, che risponde con le stanze negli orti de' frati di S. Croce, e si pigliava piacere d'un bertuccione, il quale aveva spirto più d'uomo che d'animale; per la qual cosa carissimo se lo teneva e come se medesimo l'amava, e perciò ch'egli aveva un intelletto maraviglioso, gli faceva fare di molti servigi. Avvenne che questo animale s'innamorò d'un suo garzone, chiamato Batistino, il quale era di bellissimo aspetto, et indovinava tutto quel che dir voleva, ai cenni, che 'l suo Batistin gli faceva. Per il che, essendo da la banda delle stanze di dietro, che nell'orto de' frati rispondevano, una pergola del guardiano piena di uve grossissime S. Colombane, quei giovani mandavano giù il bertuccione per quella che dalla finestra era lontana, e con la fune su tiravano l'animale con le mani piene d'uve. Il guardiano, trovando scaricarsi la pergola e non sapendo da chi, dubitando de' topi, mise l'aguato a essa, e visto che il bertuccione del Rosso giù scendeva, tutto s'accese d'ira, e presa una pertica per bastonarlo, si recò verso lui a due mani. Il bertuccione, visto che se saliva ne toccherebbe, e se stava fermo il medesimo, cominciò salticchiando a ruinargli la pergola, e fatto animo di volersi gettare addosso al frate, con ambedue le mani prese l'ultime traverse che cingevano la pergola; in tanto menando il frate la pertica, il bertuccione scosse la pergola per la paura, di sorte e con tal forza, che fece uscire delle buche le pertiche e le canne: onde la pergola et il bertuccione ruinarono addosso al frate, il quale gridando misericordia, fu da Batistino e da gl'altri tirata la fune, et il bertuccion salvo rimesso in camera, perché discostatosi il guardiano et a un suo terrazzo fattosi, disse cose fuor della messa; e con còlora e mal animo e n'andò all'ufficio degli Otto, magistrato in Fiorenza molto temuto. Quivi posta la sua querela e mandato per il Rosso, fu per motteggio condannato il bertuccione a dovere un contrapeso tener al culo, acciò che non potesse saltare come prima faceva su per le pergole. Così il Rosso fatto un rullo che girava con un ferro, quello gli teneva, acciò che per casa potesse andare, ma non saltare per l'altrui come prima faceva. Per che, vistosi a tal supplizio condennato, il bertuccione parve che s'indovinasse il frate essere stato di ciò cagione, onde ogni dì s'essercitava saltando di passo in passo con le gambe e tenendo con le mani il contrapeso, e così posandosi spesso al suo disegno pervenne. Perché, sendo un dì sciolto per casa, saltò a poco a poco di tetto in tetto, su l'ora che il guardiano era a cantare il vespro, e pervenne sopra il tetto della camera sua. E quivi lasciato andare il contrapeso, vi fece per mezza ora un sì amorevole ballo, che né tegolo né coppo vi restò che non rompesse. E tornatosi in casa, si sentì fra tre dì per una pioggia le querele del guardiano.
Avendo il Rosso finito l'opere sue, con Batistino et il bertuccione s'inviò a Roma, et essendo in grandissima aspettazione l'opre sue, erano oltre modo desiderate, essendosi veduti alcuni disegni fatti per lui, i quali erano tenuti maravigliosi, atteso che il Rosso divinissimamente e con gran pulitezza disegnava...
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