[Pagina precedente]...o la cornice, un fregio di lettere antiche alte un braccio e mezzo, fra le quali è un numero di fanciulli che passano fra esse in varie attitudini, e tutti bellissimi. Finita quest'opera con suo molto onore ritornò a Piacenza, e quivi, oltre molti altri lavori, dipinse in S. Maria di Campagna tutta la tribuna, se bene una parte ne rimase imperfetta per la sua partita; che fu poi con diligenza finita da maestro Bernardo da Vercelli. Fece in detta chiesa due capelle a fresco: in una storie di S. Caterina, e nell'altra la natività di Cristo et adorazione de' Magi, ambedue lodatissime. Dipinse poi nel bellissimo giardino di Messer Bernaba dal Pozzo dottore alcuni quadri di poesia, e nella detta chiesa di Campagna la tavola di Sant'Agostino, entrando in chiesa, a man sinistra. Le quali tutte bellissime opere furono cagione che i gentiluomini di quella città gli facessero in essa pigliar donna e l'avessero sempre in somma venerazione. Andando poi a Vinezia, dove aveva prima fatto alcun'opere, fece in San Geremia sul canal grande una facciata; nella Madonna dell'Orto una tavola a olio con molte figure. Ma particularmente in S. Giovanni Battista si sforzò di mostrare quanto valesse. Fece anco, in sul detto canal grande, nella facciata della casa di Martin d'Anna molte storie a fresco, et in particolare un Curzio a cavallo in iscorto, che pare tutto tondo e di rilievo; sì come è anco un Mercurio, che vola in aria per ogni lato, oltre a molte altre cose tutte ingegnose. La quale opera piacque sopra modo a tutta la città di Vinezia, e fu perciò Pordenone più lodato che altro uomo mai in quella città avesse insino allora lavorato. Ma fra l'altre cose che fecero a costui mettere incredibile studio in tutte le sue opere, fu la concorrenza dell'eccellentissimo Tiziano; perché mettendosi a garreggiare seco, si prometteva mediante un continuo studio e fiero modo di lavorare a fresco con prestezza, levargli di mano quella grandezza che Tiziano con tante belle opere si avea acquistato, aggiugnendo alle cose dell'arte anco modi straordinarii mediante l'esser affabile e cortese, e praticar continuamente a bella posta con uomini grandi, col suo essere universale e mettere mano in ogni cosa. E di vero questa concorrenza gli fu di giovamento, perché ella gli fece mettere in tutte l'opere quel maggiore studio e diligenza che potette, onde riuscirono degne d'eterna lode. Per queste cagioni adunque gli fu dai soprastanti di S. Rocco data a dipignere in fresco la capella di quella chiesa con tutta la tribuna. Perché messovi mano, fece in quest'opera un Dio Padre nella tribuna et una infinità di fanciulli che da esso si partono con belle e variate attitudini. Nel fregio della detta tribuna, fece otto figure del Testamento Vecchio, e negl'angoli i quattro Evangelisti, e sopra l'altar maggiore la Trasfigurazione di Cristo, e ne' due mezzi tondi dalle bande sono i quattro Dottori della Chiesa. Di mano del medesimo sono a mezza la chiesa due quadri grandi: in uno è Cristo che risana una infinità d'infermi, molto ben fatti, e nell'altra è un San Cristoforo che ha Gesù Cristo sopra le spalle. Nel tabernacolo di legno di detta chiesa, dove si conservano l'argenterie, fece un S. Martino a cavallo con molti poveri che porgono voti sotto una prospettiva. Questa opera, che fu lodatissima, e gli acquistò onore et utile, fu cagione che Messer Iacopo Soranzo, fattosi amico e dimestico suo, gli fece allogare a concorrenza di Tiziano la sala de' Pregai, nella quale fece molti quadri di figure che scortano al disotto in su, che sono bellissime; e similmente un fregio di mostri marini lavorati a olio intorno a detta sala. Le quali cose lo renderono tanto caro a quel Senato, che mentre visse ebbe sempre da loro onorata provisione. E perché gareggiando cercò sempre di far opere in luoghi dove avesse lavorato Tiziano, fece in S. Giovanni di Rialto un S. Giovanni elemosinario che a' poveri dona danari; et a un altare pose un quadro di S. Bastiano e S. Rocco et altri santi che fu cosa bella, ma non però eguale all'opera di Tiziano; se bene molti, più per malignità che per dire il vero, lodarono quella di Giovan Antonio. Fece il medesimo nel chiostro di S. Stefano molte storie in fresco del Testamento Vecchio et una del Nuovo, tramezzate da diverse Virtù, nelle quali mostrò scorti terribili di figure; del qual modo di fare si dilettò sempre e cercò di porne in ogni suo componimento, e difficilissime, adornandole meglio che alcun'altro pittore.
Avendo il prencipe Doria in Genova fatto un palazzo su la marina, et a Perin del Vaga pittor celebratissimo fatto far sale, camere et anticamere a olio et a fresco, che per la ricchezza e per la bellezza delle pitture sono maravigliosissime, perché in quel tempo Perino non frequentava molto il lavoro, acciò che per isprone e per concorrenza facesse quel che non faceva per se medesimo, fece venire il Pordenone, il quale cominciò uno terrazzo scoperto dove lavorò un fregio di fanciulli con la sua solita maniera, i quali votano una barca piena di cose maritime, che girando fanno bellissime attitudini. Fece ancora una storia grande quando Giasone chiede licenza al zio per andare per il vello d'oro. Ma il Prencipe, vedendo il cambio che faceva dall'opera di Perino a quella del Pordenone, licenziatolo, fece venir in suo luogo Domenico Beccafumi sanese, eccellente e più raro maestro di lui. Il quale, per servire tanto Prencipe, non si curò d'abbandonare Siena sua patria dove sono tante opere maravigliose di sua mano. Ma in quel luogo non fece se non una storia sola e non più, perché Perino condusse ogni cosa da sé ad ultimo fine.
A Giovanni Antonio dunque, ritornato a Vinegia, fu fatto intendere come Ercole, duca di Ferrara, aveva condotto di Alemagna un numero infinito di maestri, et a quegli fatto cominciare a far panni di seta, d'oro, di filaticci e di lana, secondo l'uso e voglia sua, ma che non avendo in Ferrara disegnatori buoni di figure (perché Girolamo da Ferrara era più atto a' ritratti et a cose appartate, che a storie terribili dove bisognasse la forza dell'arte e del disegno) che andasse a servire quel signore; ond'egli, non meno desideroso d'acquistare fama che facultà , partì da Vinegia, e nel suo giugner a Ferrara dal Duca fu ricevuto con molte carezze. Ma poco dopo la sua venuta, assalito da gravissimo affanno di petto, si pose nel letto per mezzo morto; dove, aggravando del continuo, in tre giorni o poco più, senza potervisi rimediare, d'anni 56 finì il corso della sua vita. Parve ciò cosa strana al Duca e similmente agli amici di lui. E non mancò chi per molti mesi credesse lui di veleno esser morto. Fu sepolto il corpo di Giovan Antonio onorevolmente, e della morte sua n'increbbe a molti, et in Vinegia specialmente. Perciò che Giovanni Antonio aveva prontezza nel dire, era amico e compagno di molti e si dilettava della musica, e perché aveva dato opera alle lettere latine, aveva prontezza e grazia nel dire. Costui fece sempre le sue figure grandi, fu ricchissimo d'invenzioni et universale in fingere bene ogni cosa; ma sopratutto fu risoluto e prontissimo nei lavori a fresco.
Fu suo discepolo Pomponio Amalteo da S. Vito, il quale per le sue buone qualità meritò d'esser genero del Pordenone. Il quale Pomponio, seguitando sempre il suo maestro nelle cose dell'arte, si è portato molto bene in tutte le sue opere, come si può vedere in Udine nei portigli degl'organi nuovi, dipinti a olio. Sopra i quali nella faccia di fuori è Cristo che caccia i negozianti del tempio, e dentro è la storia della probatica piscina con la resurrezione di Lazzero. Nella chiesa di S. Francesco della medesima città è di mano del medesimo in una tavola a olio un S. Francesco che riceve le stimmate, con alcuni paesi bellissimi, et un levare di sole che manda fuori di mezzo a certi razzi lucidissimi il serafico lume, che passa le mani, i piedi et il costato a San Francesco; il quale, stando ginocchioni divotamente e pieno d'amore, lo riceve, mentre il compagno si sta posato in terra in iscorto tutto pieno di stupore. Dipinse ancora in fresco Pomponio ai frati della Vigna, in testa del reffettorio, Gesù Cristo in mezzo ai due discepoli in Emaus. Nel castello di S. Vito sua patria, lontano da Udine venti miglia, dipinse a fresco nella chiesa di S. Maria la capella di detta Madonna, con tanto bella maniera e sodisfazzione d'ognuno, che ha meritato dal reverendissimo cardinale Maria Grimani, patriarca d'Aquileia e signor di S. Vito, esser fatto de' nobili di quel luogo.
Ho voluto in questa vita del Pordenone far memoria di questi eccellenti artefici del Friuli, perché così mi pare che meriti la virtù loro; e perché si conosca nelle cose che si diranno, quanto, dopo questo principio, siano coloro che sono stati poi molto più eccellenti, come si dirà nella vita di Giovanni Ricamatori da Udine, al quale ha l'età nostra, per gli stucchi e per le grottesche, obligo grandissimo.
Ma tornando al Pordenone, dopo le cose che si sono dette di sopra state da lui lavorate in Vinezia al tempo del serenissimo Gritti, si morì, come è detto, l'anno 1540. E perché costui è stato de' valenti uomini che abbia avuto l'età nostra, apparendo massimamente le sue figure tonde e spiccate dal muro e quasi di rilievo, si può fra quelli annoverare, che hanno fatto augumento all'arte e benefizio all'universale.
VITA DI GIOVANNI ANTONIO SOGLIANI PITTOR FIORENTINO
Spesse volte veggiamo negl'esercizii delle lettere e nell'arti ingegnose manuali, quelli che sono maninconici essere più assidui agli studii e con maggior pacienza sopportare i pesi delle fatiche; onde rari sono coloro di questo umore, che in cotali professioni non rieschino eccellenti; come fece Giovanni Antonio Sogliani pittor fiorentino. Il quale era tanto nell'aspetto freddo e malinconico, che parea la stessa malinconia; e poté quell'umore talmente in lui, che dalle cose dell'arte in fuori pochi altri pensieri si diede, eccetto che delle cure famigliari, nelle quali egli sopportava gravissima passione, quantunche avesse assai comodamente da ripararsi.
Stette costui con Lorenzo di Credi all'arte della pittura ventiquattro anni, e con esso lui visse onorandolo sempre et osservandolo con ogni qualità d'ufficii. Nel qual tempo fattosi bonissimo pittore, mostrò poi in tutte l'opere essere fidelissimo discepolo di quello et imitatore della sua maniera: come si conobbe nelle sue prime pitture, nella chiesa dell'Osservanza sul poggio di S. Miniato fuor di Firenze. Nella quale fece una tavola di ritratto, simile a quella che Lorenzo avea fatto nelle monache di S. Chiara, dentrovi la natività di Cristo, non manco buona che quella di Lorenzo.
Partito poi dal detto suo maestro, fece nella chiesa di San Michele in Orto, per l'Arte de' vinattieri, un S. Martino a olio in abito di vescovo, il quale gli diede nome di bonissimo maestro. E perché ebbe Gioanni Antonio in somma venerazione l'opere e la maniera di fra' Bartolomeo di S. Marco, e fortemente a essa cercò nel colorito d'accostarsi, si vede in una tavola, che egli abbozzò e non finì, non gli piacendo, che egli lo imitò molto. La quale tavola si tenne in casa mentre visse, come inutile. Ma dopo la morte di lui, essendo venduta per cosa vecchia a Sinibaldo Gaddi, egli la fece finire a Santi Tidi dal Borgo, allora giovinetto, e la pose in una sua cappella nella chiesa di S. Domenico da Fiesole. Nella quale tavola sono i Magi che adorano Gesù Cristo in grembo alla madre, et in un canto è il suo ritratto di naturale, che lo somiglia assai.
Fece poi per madonna Alfonsina, moglie di Pietro de' Medici, una tavola che fu posta per voto sopra l'altar della capella de' Martiri nella chiesa di Camaldoli di Firenze. Nella qual tavola fece S. Arcadio crucifisso et altri martiri con le croci in braccio, e due figure mezze coperte di panni et il resto nudo e ginocchioni con le croci in terra, et in aria sono alcuni puttini con palme in mano. La quale tavola, che fu fatta con molta diligenza e condotta con buon giudizio nel colorito e nelle test...
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