[Pagina precedente]...mi, e da Iacopo Sansovino un San Iacopo di marmo alto quattro braccia e mezzo e molto lodato, Pellegrino vi dipinse in fresco le storie della vita di quello Apostolo, facendo alle figure gentilissima aria a immitazione di Raffaello suo maestro et avendo tanto bene accommodato tutto il componimento, che quell'opera fece conoscere Pellegrino per uomo desto e di bello e buono ingegno nella pittura. Finito questo lavoro, ne fece molti altri in Roma e da per sé et in compagnia. Ma venuto finalmente a morte Raffaello, egli se ne tornò a Modana, dove fece molte opere, et in fra l'altre per una Confraternita di Battuti fece in una tavola a olio San Giovanni che battezza Cristo, e nella chiesa de' Servi in un'altra tavola San Cosmo e Damiano con altre figure. Dopo, avendo preso moglie, ebbe un figliuolo che fu cagione delle sua morte; perché venuto a parole con alcuni suoi compagni, giovani modanesi, n'amazzò uno. Di che portata la nuova a Pellegrino, egli, per soccorrere al figliuolo, acciò non andasse in mano della giustizia, si mise in via per trafugarlo. Ma non essendo ancora molto lontano da casa, lo scontrarono i parenti del giovane morto, i quali andavano cercando l'omicida; costoro dunque, affrontando Pellegrino, che non ebbe tempo a fuggire, tutti infuriati poiché non avevano potuto giugnere il figliuolo, gli diedero tante ferite, che lo lasciarono in terra morto. Dolse molto ai Modanesi questo caso, conoscendo essi che per la morte di Pellegrino restavano privi di uno spirito veramente peregrino e raro. Fu coetaneo di costui Gaudenzio Milanese, pittore eccellente, pratico et espedito, il quale in fresco fece in Milano molte opere, e particularmente ai frati della Passione un Cenacolo bellissimo, che per la morte sua rimase imperfetto. Lavorò anco a olio eccellentemente, e di sua mano sono assai opere a Vercelli et a Veralla molto stimate.
VITA D'ANDREA DEL SARTO ECCELLENTISSIMO PITTORE FIORENTINO
Eccoci dopo le vite di molti artefici stati eccellenti chi per colorito, chi per disegno e chi per invenzione, pervenuti all'eccellentissimo Andrea del Sarto: nel quale uno mostrarono la natura e l'arte tutto quello che può far la pittura, mediante il disegno, il colorire e l'invenzione; in tanto che, se fusse stato Andrea d'animo alquanto più fiero et ardito, sì come era d'ingegno e giudizio profondissimo in questa arte, sarebbe stato senza dubitazione alcuna senza pari. Ma una certa timidità d'animo, et una sua certa natura dimessa e semplice, non lasciò mai vedere in lui un certo vivace ardore, né quella fierezza, che aggiunta all'altre sue parti l'arebbe fatto essere nella pittura veramente divino; perciò che egli mancò per questa cagione di quegli ornamenti, grandezza e copiosità di maniere, che in molti altri pittori si sono vedute. Sono non di meno le sue figure, se bene semplici e pure, bene intese, senza errori et in tutti i conti di somma perfezzione; l'arie delle teste, così di putti come di femmine, sono naturali e graziose, e quelle de' giovani e de' vecchi con vivacità e prontezza mirabile; i panni begli a maraviglia e gl'ignudi molto bene intesi. E se bene disegnò semplicemente, sono non di meno i coloriti suoi rari e veramente divini.
Nacque Andrea l'anno 1478 in Fiorenza di padre che esercitò sempre l'arte del sarto, onde egli fu sempre così chiamato da ognuno. E pervenuto all'età di sette anni, levato dalla scuola di leggere e scrivere, fu messo all'arte dell'orefice. Nella quale molto più volentieri si esercitò sempre (a ciò spinto da naturale inclinazzione) in disegnare che in maneggiando ferri per lavorare d'argento o d'oro; onde avvenne che Gian Barile, pittore fiorentino, ma grosso e plebeo, veduto il buon modo di disegnare del fanciullo, se lo tirò appresso e, fattogli abbandonare l'orefice, lo condusse all'arte della pittura. Nella quale cominciandosi ad esercitare Andrea con suo molto piacere, conobbe che la natura per quello esercizio l'aveva creato; onde cominciò in assai picciolo spazio di tempo a far cose con i colori, che Gian Barile e gl'altri artefici della città ne restavano maravigliati.
Ma avendo dopo tre anni fatto bonissima pratica nel lavorare e studiando continuamente, s'avvide Gian Barile che, attendendo il fanciullo a quello studio, egli era per fare una straordinaria riuscita, perché, parlatone con Piero di Cosimo, tenuto allora dei migliori pittori che fussero in Fiorenza, acconciò seco Andrea il quale, come desideroso d'imparare, non restava mai di affaticarsi, né di studiare. E la natura, che l'aveva fatto nascere pittore, operava tanto in lui che nel maneggiare i colori lo faceva con tanta grazia, come se avesse lavorato cinquanta anni; onde Piero gli pose grandissimo amore e sentiva incredibile piacere nell'udire che quando aveva punto di tempo, e massimamente i giorni di festa, egli spendeva tutto il dì insieme con altri giovani disegnando alla sala del papa, dove era il cartone di Michelagnolo e quello di Lionardo da Vinci; e che superava, ancor che giovanetto, tutti gl'altri disegnatori che, terrazzani e forestieri, quasi senza fine vi concorrevano. In fra i quali piacque più che quella di tutti gl'altri ad Andrea la natura e conversazione del Francia Bigio pittore, e parimente al Francia quella d'Andrea; onde, fatti amici, Andrea disse al Francia che non poteva più sopportare la stranezza di Piero già vecchio e che voleva perciò torre una stanza da sé, la quale cosa udendo il Francia, che era forzato a fare il medesimo, perché Mariotto Albertinelli suo maestro aveva abbandonata l'arte della pittura, disse al suo compagno Andrea che anch'egli aveva bisogno di stanza e che sarebbe con comodo dell'uno e dell'altro ridursi insieme. Avendo essi addunque tolta una stanza alla piazza del Grano, condussero molte opere di compagnia, una delle quali furono le cortine che cuoprono l'altar maggior delle tavole de' Servi, le quali furono allogate loro da un sagrestano, strettissimo parente del Francia. Nelle quali tele dipinsero, in quella che è volta verso il coro, una Nostra Donna Annunziata, e nell'altra, che è dinanzi, un Cristo diposto di croce, simile a quello che è nella tavola che quivi era di mano di Filippo e di Pietro Perugino.
Solevano ragunarsi in Fiorenza in capo della via Larga, sopra le case del Magnifico Ottaviano de' Medici, dirimpetto all'orto di San Marco, gli uomini della Compagnia che si dice dello Scalzo, intitolata in San Giovanni Battista; la quale era stata murata in que' giorni da molti artefici fiorentini, i quali fra l'altre cose vi avevano fatto di muraglia un cortile di prima giunta che posava sopra alcune colonne non molto grandi; onde, vedendo alcuni di loro che Andrea veniva in grado d'ottimo pittore, deliberarono, essendo più ricchi d'animo che di danari, che egli facesse intorno a detto chiostro in dodici quadri di chiaro scuro, cioè di terretta in fresco, dodici storie della vita di San Giovanbatista; per lo che egli, messovi mano, fece nella prima quando San Giovanni battezza Cristo, con molta diligenza e tanto buona maniera, che gl'acquistò credito, onore e fama per sì fatta maniera, che molte persone si voltarono a fargli fare opere, come a quello che stimavano dover col tempo a quello onorato fine che prometteva il principio del suo operare straordinario pervenire. E fra l'altre cose che egli allora fece di quella prima maniera, fece un quadro che oggi è in casa di Filippo Spini, tenuto per memoria di tanto artefice in molta venerazione. Né molto dopo in San Gallo, chiesa de' frati Eremitani osservanti dell'Ordine di Santo Agostino, fuor della porta a San Gallo, gli fu fatto fare per una capella una tavola d'un Cristo, quando in forma d'ortolano apparisce nell'orto a Maria Maddalena; la quale opera, per colorito e per una certa morbidezza et unione, è dolce per tutto e così ben condotta, che ella fu cagione che non molto poi ne fece due altre nella medesima chiesa, come si dirà di sotto. Questa tavola è oggi al Canto agl'Alberti in San Jacopo tra' Fossi, e similmente l'altre due. Dopo queste opere, partendosi Andrea et il Francia dalla piazza del Grano, presono nuove stanze vicino al convento della Nunziata, nella Sapienza; onde avvenne che Andrea et Iacopo Sansovino allora giovane, il quale nel medesimo luogo lavorava di scultura sotto Andrea Contucci suo maestro, feciono sì grande e stretta amicizia insieme che né giorno né notte si staccava l'uno dall'altro, e per lo più i loro ragionamenti erano delle difficultà dell'arte; onde non è maraviglia se l'uno e l'altro sono poi stati eccellentissimi, come si dice ora d'Andrea e come a suo luogo si dirà di Iacopo.
Stando in quel tempo medesimo nel detto convento de' Servi et al banco delle candele un frate sagrestano, chiamato fra' Mariano dal canto alle macine, egli sentiva molto lodare a ognuno Andrea e dire che egli andava facendo maraviglioso acquisto nella pittura, perché pensò di cavarsi una voglia con non molta spesa. E così, tentando Andrea (che dolce e buono uomo era) nelle cose dell'onore, cominciò a mostrargli sotto spezie di carità di volerlo aiutare in cosa che egli recarebbe onore et utile e lo farebbe conoscere per sì fatta maniera, che non sarebbe mai più povero. Aveva già molti anni innanzi, nel primo cortile de' Servi, fatto Alesso Baldovinetti nella facciata, che fa spalle alla Nunziata, una Natività di Cristo, come si è detto di sopra; e Cosimo Rosselli dall'altra parte aveva cominciato nel medesimo cortile una storia, dove San Filippo autore di quell'Ordine de' Servi piglia l'abito, la quale storia non aveva Cosimo condotta a fine per essere, mentre appunto la lavorava, venuto a morte. Il frate dunque, avendo volontà grande di seguitare il resto, pensò di fare con suo utile che Andrea et il Francia, i quali erano d'amici venuti concorrenti nell'arte, gareggiassino insieme e ne facessino ciascun di loro una parte; il che, oltre all'essere servito benissimo, averebbe fatto la spesa minore et a loro le fatiche più grandi. Laonde, aperto l'animo suo ad Andrea, lo persuase a pigliare quel carico, mostrandogli che per essere quel luogo publico e molto frequentato, egli sarebbe, mediante cotale opera, conosciuto non meno dai forestieri che dai fiorentini e che egli per ciò che doveva pensare a prezzo nessuno, anzi neanco di esserne pregato, ma più tosto di pregare altrui e che, quando egli a ciò che non volesse attendere, aveva il Francia, che, per farsi conoscere, aveva offerto di farle e del prezzo rimettersi in lui. Furono questi stimoli molto gagliardi a far che Andrea si risolvesse a pigliare quel carico, essendo egli massimamente di poco animo. Ma questo ultimo del Francia l'indusse a risolversi affatto et ad essere d'accordo, mediante una scritta, di tutta l'opera, perché niun altro v'entrasse. Così dunque avendolo il frate imbarcato e datogli danari, volle che per la prima cosa egli seguitasse la vita di San Filippo e non avesse per prezzo da lui altro che dieci ducati per ciascuna storia, dicendo che anco quelli gli dava di suo e che ciò faceva più per bene e commodo di lui, che per utile o bisogno del convento. Seguitando dunque quell'opera con grandissima diligenza, come quello che più pensava all'onore che all'utile, finì del tutto, in non molto tempo, le prime tre storie e le scoperse: cioè in una quando San Filippo già frate riveste quell'ignudo, nell'altra quando egli sgridando alcuni giuocatori che biastemmano Dio e si ridevano di S. Filippo, facendosi beffe del suo ammonirgli, viene in un tempo una saetta dal cielo, e percosso un albero dove eglino stavano sotto all'ombra, ne uccide due e mette negl'altri incredibile spavento: alcuni con le mani alla testa si gettano sbalorditi innanzi et altri si mettono gridando in fuga tutti spaventati; et una femmina, uscita di sé per lo tuono della saetta e per la paura et in fuga tanto naturale, che pare ch'ella veramente viva; et un cavallo scioltosi a tanto rumore e spavento, fa con i salti e con un orribile movimento vedere quanto le cose improvise e che non si aspettino rec...
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