[Pagina precedente]...ravato nel male, o pure che così avesse a essere (come si crede) sollecitatagli la morte con veleno da qualche suo emulo che il suo luogo disiderava, del quale traeva scudi 250 di provisione, il che fu tardi dai medici conosciuto, si morì malissimo contento, più per cagione della sua povera famiglia che di se medesimo, vedendo in che mal termine egli la lasciava. Fu dai figliuoli e dagl'amici molto pianto e nella Ritonda appresso a Raffaello da Urbino, dove fu da tutti i pittori, scultori et architettori di Roma onorevolmente pianto et accompagnato, datogli onorata sepoltura con questo epitaffio:
Balthasari Perutio senensi, viro et pictura et architectura,
aliisque ingeniorum artibus adeo
excellenti, ut si priscorum occubuisset temporibus,
nostra illum felicius legerent.
Vixit annos LV. Menses XI. Dies XX.
Lucretia et Io. Salustius optimo coniugi et parenti,
non sine lachrimis
Simonis, Honorii, Claudii AEmiliae ac Sulpitiae
minorum filiorum, dolentes posuerunt.
Die IIII Ianuarii M.D.XXXVI.
Fu maggiore la fama et il nome di Baldassarre essendo morto che non era stato in vita; et allora massimamente fu la sua virtù desiderata che papa Paulo Terzo si risolvé di far finire San Piero, perché l'avidero allora di quanto aiuto egli sarebbe stato ad Antonio da San Gallo; perché, se bene Antonio fece quello che si vede, avrebbe nondimeno (come si crede) meglio veduto in compagnia di Baldassarre alcune difficultà di quell'opera. Rimase erede di molte cose di Baldassarre Sebastiano Serlio bolognese, il quale fece il terzo libro dell'architetture et il quarto dell'antichità di Roma misurate, et in questi le già dette fatiche di Baldassarre furono parte messe in margine e parte furono di molto aiuto all'autore. I quali scritti di Baldassarre rimasero per la maggior parte in mano a Iacopo Melighino ferrarese, che fu poi fatto architetto da papa Paulo detto nelle sue fabbriche; et al detto Francese Sanese, stato suo creato e discepolo, di mano del quale Francesco è in Roma l'arme del cardinale di Trani in Navona molto lodata et alcune altre opere. E da costui avemo avuto il ritratto di Baldassarre e notizia di molte cose che non potei sapere quando uscì la prima volta fuori questo libro. Fu anco discepolo di Baldassarre Virgilio Romano, che nella sua patria fece a mezzo Borgo Nuovo una facciata di granito con alcuni prigioni e molte altre opere belle. Ebbe anco dal medesimo i primi principii d'architettura Antonio del Rozzo, cittadino sanese, et ingegneri eccellentissimo. E seguitollo parimente il Riccio, pittore sanese, se bene ha poi imitato assai la maniera di Giovan Antonio Soddoma da Vercelli. Fu anco suo creato Giovambatista Peloro, architetto sanese, il quale attese molto alle matematiche ed alla cosmografia e fece di sua mano bussole, quadranti e molti ferri e stromenti da misurare, e similmente le piante di molte fortificazioni, che sono per la maggior parte appresso maestro Giuliano orefice sanese, amicissimo suo. Fece questo Giovambatista al Duca Cosimo de' Medici tutto di rilievo e bello affatto il sito di Siena, con le valli e ciò che ha intorno a un miglio e mezzo, le mura, le strade, i forti et insomma del tutto un bellissimo modello. Ma perché era costui instabile, si partì, ancor che avesse buona provisione da quel principe, e, pensando di far meglio, si condusse in Francia dove, avendo seguitato la corte senza alcun frutto molto tempo, si morì finalmente in Avignone. Ma ancor che costui fusse molto pratico et intendente architetto, non si vede però in alcun luogo fabbriche fatte da lui o con suo ordine, stando egli sempre tanto poco in un luogo, che non si poteva risolvere niente; onde consumò tutto il tempo in disegni, capricci, misure e modelli. Ha meritato nondimeno, come professor delle nostre arti, che di lui si faccia memoria.
Disegnò Baldassare eccellentemente in tutt'i modi e con gran giudizio e diligenza, ma più di penna, d'acquerello e chiaro scuro che d'altro, come si vede in molti disegni suoi, che sono appresso gl'artefici e particolarmente nel nostro libro in diverse carte: in una delle quali è una storia finta per capriccio, cioè una piazza piena d'archi, colossi, teatri, obelisci, piramidi, tempii di diverse maniere, portici et altre cose tutte fatte all'antica, e sopra una base è Mercurio al quale correndo intorno tutte le sorti d'archimisti con soffietti, mantici, bocce et altri instrumenti da stillare, gli fanno un serviziale per farlo andar del corpo, con non meno ridicola che bella invenzione e capriccio.
Furono amici e molto domestici di Baldassarre, il quale fu con ognuno sempre cortese, modesto e gentile, Domenico Beccafumi sanese, pittore eccellente, et il Capanna, il quale, oltre molte cose che dipinse in Siena, fece la facciata de' Turchi et un'altra che v'è sopra la piazza.
VITA DI GIOVAN FRANCESCO DETTO IL FATTORE FIORENTINO E DI PELLEGRINO DA MODANA PITTORI
Giovanfrancesco Penni, detto il Fattore, pittor fiorentino, non fu manco obligato alla fortuna che egli si fusse alla bontà della sua natura, poiché i costumi, l'inclinazione alla pittura e l'altre sue virtù, furono cagione che Raffaello da Urbino se lo prese in casa et insieme con Giulio Romano se l'allevò e tenne poi sempre l'uno e l'altro come figliuoli, dimostrando alla sua morte quanto conto tenesse d'amendue, nel lasciargli eredi delle virtù sue e delle facultadi insieme. Giovanfrancesco dunque, il quale cominciando da putto, quando prima andò in casa di Raffaello, a esser chiamato il Fattore, si ritenne sempre quel nome, immitò ne' suoi disegni la maniera di Raffaello e quella osservò del continuo, come ne possono far fede alcuni suoi disegni che sono nel nostro libro. E non è gran fatto che molti se ne veggiano e tutti con diligenza finiti, perché si dilettò molto più di disegnare che di colorire. Furono le prime cose di Giovan Francesco da lui lavorate nelle logge del papa a Roma in compagnia di Giovanni da Udine, di Perino del Vaga e d'altri eccellenti maestri. Nelle quali opere si vede una bonissima grazia e di maestro che attendesse alla perfezzione delle cose; fu universale e dilettossi molto di far paesi e casamenti; colorì bene a olio, a fresco et a tempera e ritrasse di naturale eccellentemente e fu in ogni cosa molto aiutato dalla natura, intanto che senza molto studio intendeva bene tutte le cose dell'arte, onde fu di grande aiuto a Raffaello a dipignere gran parte de' cartoni dei panni d'arazzo della cappella del papa e del Concistoro, e particolarmente le fregiature. Lavorò anco molte altre cose con i cartoni et ordine di Raffaello, come la volta d'Agostino Chigi in Trastevere e molti quadri, tavole et altre opere diverse. Nelle quali si portò tanto bene, che meritò più l'un giorno che l'altro da Raffaello essere amato.
Fece in Monte Giordano in Roma una facciata di chiaro scuro et in Santa Maria di Anima, alla porta del fianco che va alla Pace, in fresco un San Cristofano d'otto braccia, che è bonissima figura; et in quest'opera è un romito in una grotta con una lanterna in mano, con buon disegno e grazia unitamente condotto. Venuto poi Giovan Francesco a Firenze, fece a Lodovico Capponi a Montughi, luogo fuor della porta a San Gallo, un tabernacolo con una Nostra Donna molto lodata. Intanto, venuto a morte Raffaello, Giulio Romano e Giovan Francesco, stati suoi discepoli, stettono molto tempo insieme e finirono di compagnia l'opere che di Raffaello erano rimase imperfette, e particolarmente quelle che egli aveva cominciato nella vigna del papa e similmente quelle della sala grande di palazzo; dove sono di mano di questi due dipinti le storie di Gostantino con bonissime figure e condotte con bella pratica e maniera, ancor che le invenzioni e gli schizzi delle storie venissero in parte da Raffaello. Mentre che questi lavori si facevano, Perino del Vaga, pittore molto eccellente, tolse per moglie una sorella di Giovan Francesco, onde fecero molti lavori insieme, e seguitando poi Giulio e Giovan Francesco fecero in compagnia una tavola di due pezzi, drentovi l'assunzione di Nostra Donna che andò a Perugia a Monteluci, e così altri lavori e quadri per diversi luoghi. Avendo poi commessione da Papa Clemente di fare una tavola simile a quella di Raffaello che è a San Piero a Montorio, la quale si aveva a mandare in Francia, dove quella era prima stata da Raffaello destinata, la cominciarono et appresso venuti a divisione e partita la roba, i disegni et ogni altra cosa lasciata loro a Raffaello, Giulio se n'andò a Mantova, dove al Marchese lavorò infinite cose; là dove, non molto dopo, capitando ancor Giovan Francesco, o tiratovi dall'amicizia di Giulio o da speranza di dovervi lavorare, fu sì poco da Giulio accarezzato, che se ne partì tostamente e, girata la Lombardia, se ne tornò a Roma; e da Roma in sulle galee se n'andò a Napoli dietro al Marchese del Vasto, portando seco la tavola finita, che era imposta, di San Piero a Montorio et altre cose, le quali fece posare in Ischia, isola del Marchese. Ma la tavola fu posta poi, dove è oggi, in Napoli nella chiesa di Santo Spirito degl'Incurabili. Fermatosi dunque Giovan Francesco in Napoli et attendendo a disegnare e dipignere, si tratteneva, essendo da lui molto carezzato, con Tommaso Cambi, mercante fiorentino che governava le cose di quel signore. Ma non vi dimorò lungamente perché, essendo di mala complessione, ammalatosi vi si morì con incredibile dispiacere di quel signor Marchese e di chiunche lo conosceva.
Ebbe costui un fratello, similmente dipintore, chiamato Luca, il quale lavorò in Genoa con Perino suo cognato et in Lucca et in molti altri luoghi d'Italia. E finalmente se n'andò in Inghilterra dove avendo alcune cose lavorato al re e per alcuni mercanti, si diede finalmente a far disegni per mandar fuori stampe di rame che si conoscono, oltre alla maniera, al nome suo: e fra l'altre è sua opera una carta, dove alcune femmine sono in un bagno, l'originale della quale di propria mano di Luca è nel nostro libro. Fu discepolo di Giovan Francesco Lionardo, detto il Pistoia per esser pistolese, il quale lavorò alcune cose in Lucca et in Roma fece molti ritratti di naturale; et in Napoli per il vescovo d'Ariano Diomede Caraffa, oggi cardinale, fece in San Domenico una tavola della lapidazione di Santo Stefano in una sua cappella. Et in Monte Oliveto ne fece un'altra, che fu posta all'altar maggiore, e levatane poi per dar luogo a un'altra di simile invenzione di mano di Giorgio Vasari aretino. Guadagnò Lionardo molti danari con que' signori napoletani, ma ne fece poco capitale, perché se gli giocava di mano in mano. E finalmente si morì in Napoli, lasciando nome di essere stato buono coloritore, ma non già d'avere avuto molto buon disegno. Visse Giovan Francesco anni 40, e l'opere sue furono circa al 1528.
Fu amico di Giovan Francesco e discepolo anch'egli di Raffaello, Pellegrino da Modana, il quale avendosi nella pittura acquistato nome di bello ingegno nella patria, deliberò, udite le maraviglie di Raffaello da Urbino, per corrispondere mediante l'affaticarsi alla speranza già conceputa di lui, andarsene a Roma; là dove, giunto, si pose con Raffaello, che niuna cosa negò mai agl'uomini virtuosi. Erano allora in Roma infiniti giovani che attendevano alla pittura et emulando fra loro cercavano l'uno l'altro avanzare nel disegno, per venire in grazia di Raffaello e guadagnarsi nome fra i popoli, per che attendendo continuamente Pellegrino agli studi, divenne, oltre al disegno, di pratica maestrevole nell'arte. E quando Leone Decimo fece dipignere le logge a Raffaello, vi lavorò anch'egli in compagnia degl'altri giovani e riuscì tanto bene che Raffaello si servì poi di lui in molte altre cose. Fece Pellegrino in Santo Eustachio di Roma, entrando in chiesa, tre figure in fresco a uno altare, e nella chiesa de' Portughesi alla Scrofa la cappella dell'altare maggiore in fresco, insieme con la tavola. Dopo, avendo in San Iacopo della nazione spagnuola fatta fare il cardinale Alborense una cappella adorna di molti mar...
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