[Pagina precedente]... stretta dimestichezza con pittori, si incaminò di maniera nella nuova strada, che era maraviglia il profitto che faceva di giorno in giorno, e tanto più quanto senza alcuna particolare disciplina di appartato maestro apprendeva facilmente ogni difficile cosa. Laonde, innamorato del suo esercizio et apparati molti segreti della pittura, vedendo solamente alcuna fiata a cotali pittori idioti fare le mestiche et adoperare i pennelli, da se stesso guidato e dalla mano della natura, si pose arditamente a colorire, pigliando una assai vaga maniera e molto simile a quella del nuovo Apelle suo compatriota, ancor che di mano di lui non avesse veduto se non alcune poche cose in Bologna. E così avendo assai felicemente, secondo che il suo buono ingegno e giudizio lo guidava, lavorato alcune cose in tavole et in muro, e parendogli che tutto a comparazione degl'altri pittori gli fosse molto bene riuscito, seguitò animosamente gli studi della pittura per sì fatto modo, che in processo di tempo si trovò aver fermato il piede nell'arte e con buona openione dell'universale in grandissima aspettazione. Tornato dunque alla patria, già uomo di ventisei anni, vi si fermò per alquanti mesi dando bonissimo saggio del saper suo; perciò che fece la prima tavola della Madonna nel Duomo, dentrovi, oltre la Vergine, San Crescenzio e San Vitale, all'altare di Santa Croce, dove è un Angeletto sedente in terra, che suona la viola con grazia veramente angelica e con semplicità fanciullesca, condotta con arte e giudizio. Appresso dipinse un'altra tavola per l'altare maggiore della chiesa della Trinità , con una Santa Apollonia a man sinistra del detto altare. Per queste opere et alcune altre, delle quali non accade far menzione, spargendosi la fama et il nome di Timoteo, egli fu da Raffaello con molta instanza chiamato a Roma; dove andato di bonissima voglia, fu ricevuto con quella amorevolezza et umanità , che fu non meno propria di Raffaello, che si fusse l'eccellenza dell'arte. Lavorando dunque con Raffaello, in poco più d'un anno fece grande acquisto, non solamente nell'arte, ma ancora nella robba; perciò che in detto tempo rimise a casa buone somme di danari. Lavorò col maestro nella chiesa della Pace le Sibille di sua mano et invenzione, che sono nelle lunette a man destra, tanto stimate da tutti i pittori; il che affermano alcuni che ancora si ricordano averle veduto lavorare, e ne fanno fede i cartoni che ancor si ritruovano appresso i suoi successori. Parimente da sua posta fece poi il cataletto e dentrovi il corpo morto con l'altre cose che gli sono intorno tanto lodate, nella scuola di Santa Caterina da Siena; et ancora che alcuni sanesi, troppo amatori della lor patria, attribuischino queste opere ad altri, facilmente si conosce ch'elleno sono fattura di Timoteo, così per la grazia e dolcezza del colorito, come per altre memorie lasciate da lui in quel nobilissimo studio d'eccellentissimi pittori. Ora, benché Timoteo stesse bene et onoratamente in Roma, non potendo, come molti fanno, sopportare la lontananza della patria, essendovi anco chiamato ogni ora e tiratovi dagl'avisi degl'amici e dai preghi della madre già vecchia, se ne tornò a Urbino, con dispiacere di Raffaello, che molto per le sue buone qualità l'amava. Né molto dopo, avendo Timoteo a persuasione de' suoi preso moglie in Urbino et innamoratosi della patria, nella quale si vedeva essere molto onorato, e, che è più, avendo cominciato ad avere figliuoli, fermò l'animo et il proposito di non volere più andare attorno nonostante, come si vede ancora per alcune lettere, che egli fusse da Raffaello richiamato a Roma. Ma non perciò restò di lavorare e fare di molte opere in Urbino e nelle città all'intorno. In Forlì dipinse una cappella insieme con Girolamo Genga suo amico e compatriota. E dopo fece una tavola tutta di sua mano che fu mandata a Città di Castello, et un'altra similmente ai Cagliesi. Lavorò anco in fresco a Castel Durante alcune cose che sono veramente da esser lodate, sì come tutte l'altre opere di costui, le quali fanno fede che fu leggiadro pittore nelle figure, ne' paesi et in tutte l'altre parti della pittura. In Urbino fece in Duomo la cappella di San Martino ad instanza del vescovo Arrivabene mantovano, in compagnia del detto Genga; ma la tavola dell'altare et il mezzo della cappella sono interamente di mano di Timoteo. Dipinse ancora in detta chiesa una Madalena in piedi e vestita con picciol manto e coperta sotto di capelli infino a terra, i quali sono così belli e veri, che pare che il vento gli muova, oltre la divinità del viso, che nell'atto mostra veramente l'amore ch'ella portava al suo Maestro.
In Santa Agata è un'altra tavola di mano del medesimo, con assai buone figure; et in San Bernardino fuor della città fece quella tanto lodata opera, che è a man diritta all'altare de' Bonaventuri, gentiluomini urbinati; nella quale è con bellissima grazia per l'Annunziata, figurata la Vergine in piedi con la faccia e con le mani giunte e gl'occhi levati al cielo; e di sopra in aria in mezzo a un gran cerchio di splendore è un Fanciullo diritto, che tiene il piede sopra lo Spirito Santo in forma di colomba, e nella man sinistra una palla figurata per l'imperio del mondo; e con l'altra elevata, dà la benedizione; e dalla destra del Fanciullo è un Angelo, che mostra alla Madonna co 'l dito il detto Fanciullo. Abbasso, cioè al pari della Madonna, sono dal lato destro il Battista vestito d'una pelle di camelo squarciata a studio, per mostrare il nudo della figura, e dal sinistro un San Sebastiano tutto nudo, legato con bella attitudine a un arbore e fatto con tanta diligenza che non potrebbe aver più rilievo, né essere in tutte le parti più bello. Nella corte degl'illustrissimi d'Urbino sono di sua mano Apollo e due Muse mezze nude, in uno studiolo secreto, belle a maraviglia. Lavorò per i medesimi molti quadri e fece alcuni ornamenti di camere, che sono bellissimi. E dopo in compagnia del Genga dipinse alcune barde da cavalli, che furono mandate al re di Francia, con figure di diversi animali sì belli, che pareva ai riguardanti che avessino movimento e vita. Fece ancora alcuni archi trionfali simili agl'antichi quando andò a marito l'illustrissima Duchessa Leonora, moglie del signor Duca Francesco Maria, al quale piacquero infinitamente, sì come ancora a tutta la corte; onde fu molti anni della famiglia di detto signore con onorevole provisione.
Fu Timoteo gagliardo disegnatore, ma molto più dolce e vago coloritore, in tanto che non potrebbono essere le sue opere più pulitamente, né con più diligenza lavorate. Fu allegro uomo e di natura gioconda e festevole, destro della persona, e nei motti e ragionamenti arguto e facetissimo. Si dilettò sonare d'ogni sorte strumento, ma particolarmente di lira, in su la quale cantava all'improvviso con grazia straordinaria. Morì l'anno di nostra salute MDXXIIII e della sua vita cinquantaquattresimo, lasciando la patria ricca del suo nome e delle sue virtù, quanto dolente della sua perdita. Lasciò in Urbino alcune opere imperfette, le quali essendo poi state finite da altri, mostrano col paragone quanto fusse il valore e la virtù di Timoteo; di mano del quale sono alcuni disegni nel nostro libro, i quali ho avuto dal molto virtuoso e gentile Messer Giovan Maria, suo figliuolo, molto belli e certamente lodevoli, cioè uno schizzo del ritratto del Magnifico Giuliano de' Medici in penna, il quale fece Timoteo mentre che esso Giuliano si riparava nella corte d'Urbino in quella famosissima accademia, et un Noli me tangere et un Giovanni Evangelista che dorme, mentre che Cristo ora nell'orto, tutti bellissimi.
VITA DI ANDREA DAL MONTE SANSOVINO SCULTORE ET ARCHITETTO
Ancor che Andrea di Domenico Contucci dal Monte Sansovino fusse nato di poverissimo padre, lavoratore di terra e levato da guardare gl'armenti, fu nondimeno di concetti tanto alti, d'ingegno sì raro e d'animo sì pronto nell'opere e nei ragionamenti delle difficultà dell'architettura e della prospettiva, che non fu nel suo tempo, né il migliore, né il più sottile e raro intelletto del suo, né chi rendesse i maggiori dubbii più chiari et aperti di quello che fece egli. Onde meritò essere tenuto ne' suoi tempi da tutti gl'intendenti singolarissimo nelle dette professioni. Nacque Andrea, secondo che si dice, l'anno MCCCCLX, e nella fanciullezza guardando gl'armenti, sì come anco si dice di Giotto, disegnava tutto giorno nel sabbione e ritraeva di terra qualcuna delle bestie che guardava. Onde avvenne che, passando un giorno dove costui si stava guardando le sue bestiuole, un cittadino fiorentino, il quale dicono essere stato Simone Vespucci, podestà allora del Monte, che egli vide questo putto starsi tutto intento a disegnare o formare di terra; per che chiamatolo a sé, poi che ebbe veduta l'inclinazione del putto et inteso di cui fusse figliuolo, lo chiese a Domenico Contucci e da lui l'ottenne graziosamente, promettendo di volerlo far attendere agli studii del disegno, per vedere quanto potesse quella inclinazione naturale aiutata dal continuo studio. Tornato dunque Simone a Firenze, lo pose all'arte con Antonio del Pollaiuolo, appresso al quale imparò tanto Andrea, che in pochi anni divenne bonissimo maestro. Et in casa del detto Simone al ponte Vecchio si vede ancora un cartone da lui lavorato in quel tempo, dove Cristo è battuto alla colonna, condotto con molta diligenza, et oltre ciò due teste di terra cotta mirabili, ritratte da medaglie antiche: l'una è di Nerone, l'altra di Galba imperatori; le quali teste servivano per ornamento d'un camino; ma il Galba è oggi in Arezzo nelle case di Giorgio Vasari. Fece dopo, standosi pure in Firenze, una tavola di terra cotta, per la chiesa di Santa Agata del Monte Sansovino, con un San Lorenzo et alcuni altri Santi, e picciole storiette benissimo lavorate. Et indi a non molto ne fece un'altra simile, dentrovi l'Assunzione di Nostra Donna, molto bella, Santa Agata, Santa Lucia e San Romualdo, la quale tavola fu poi invetriata da quegli Della Robbia. Seguitando poi l'arte della scultura, fece nella sua giovanezza per Simone Pollaiuolo, altrimenti il Cronaca, due capitelli di pilastri per la sagrestia di Santo Spirito, che gl'acquistarono grandissima fama e furono cagione che gli fu dato a fare il ricetto, che è fra la detta sagrestia e la chiesa; e perché il luogo era stretto, bisognò che Andrea andasse molto ghiribizzando. Vi fece dunque di macigno un componimento d'ordine corinto, con dodici colonne tonde, cioè sei da ogni banda; e sopra le colonne posto l'architrave, fregio e cornice, fece una volta a botte, tutta della medesima pietra, con uno spartimento pieno d'intagli, che fu cosa nuova, varia, ricca e molto lodata. Ben è vero che se il detto spartimento della volta fusse ne' diritti delle colonne venuto a cascare con le cornici, che vanno facendo divisione intorno ai quadri e tondi che ornano quello spartimento con più giusta misura e proporzione, questa opera sarebbe in tutte le parti perfettissima e sarebbe stato cosa agevole il ciò fare. Ma secondo che io già intesi da certi vecchi amici d'Andrea, egli si difendeva con dire l'avere osservato nella volta il modo del partimento della Ritonda di Roma, dove le costole, che si partono dal tondo del mezzo di sopra, cioè dove ha il lume quel tempio, fanno dall'una all'altra i quadri degli sfondati dei rosoni, che a poco a poco diminuiscono, et il medesimo fa la costola, perché non casca in su la dirittura delle colonne. Aggiugneva Andrea, se chi fece quel tempio della Ritonda, che è il meglio inteso e misurato che sia e fatto con più proporzione, non tenne di ciò conto in una volta di maggior grandezza e di tanta importanza, molto meno dovea tenerne egli in uno spartimento di sfondati minori. Nondimeno molti artefici, e particolarmente Michelagnolo Buonarotti, sono stati d'opinione che la ritonda fusse fatta da tre architetti e che il primo la conducesse al fine della cornice, che è sopra le colonne; l'altro dalla cornice in su, d...
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