[Pagina precedente]...a sepoltura di marmo che fu mandata similmente in Strigonia città d'Ungheria, nella quale era una Nostra Donna molto ben condotta con altre figure, nella quale sepoltura fu poi riposto il corpo del cardinale di Strigonia. A Volterra mandò Andrea due Angeli tondi di marmo, et a Marco del Nero, fiorentino, fece un Crocifisso di legno grande quanto il vivo, che è oggi in Fiorenza nella chiesa di Santa Felicita. Un altro minore ne fece per la Compagnia dell'Assunta di Fiesole. Dilettossi anco Andrea dell'architettura e fu maestro del Mangone, scarpellino et architetto, che poi in Roma condusse molti palazzi et altre fabriche assai acconciamente. Andrea finalmente, essendo fatto vecchio, attese solamente alle cose di quadro, come quello che, essendo persona modesta e da bene, più amava di vivere quietamente che alcun'altra cosa. Gli fu allogata da Madonna Antonia Vespucci la sepoltura di Messer Antonio Strozzi suo marito, ma non potendo egli molto lavorare da per sé, gli fece i due Angeli Maso Boscoli da Fiesole, suo creato, che ha poi molte opere lavorato in Roma et altrove; e la Madonna fece Silvio Cosini da Fiesole, ma non fu messa su subito che fu fatta, il che fu l'anno MDXXII, perché Andrea si morì e fu sotterrato dalla Compagnia dello Scalzo ne' Servi.
E Silvio poi, posta su la detta Madonna e finita di tutto punto la detta sepoltura dello Strozzi, seguitò l'arte della scultura con fierezza straordinaria, onde ha poi molte cose lavorato leggiadramente e con bella maniera, et ha passato infiniti e massimamente in bizzarria di cose alla grottesca, come si può vedere nella sagrestia di Michelagnolo Buonarroti in alcuni capitelli di marmo intagliati sopra i pilastri delle sepolture con alcune maschere tanto bene straforate che non è possibile veder meglio. Nel medesimo luogo fece alcune fregiature di maschere che gridano, molto belle; per che, veduto il Buonarroto l'ingegno e la pratica di Silvio, gli fece cominciare alcuni trofei per fine di quelle sepolture, ma rimasono imperfetti insieme con altre cose per l'assedio di Firenze. Lavorò Silvio una sepoltura per i Minerbetti nella loro cappella nel tramezzo della chiesa di Santa Maria Novella, tanto bene quanto sia possibile, perché, oltre la cassa, che è di bel garbo, vi sono intagliate alcune targhe, cimieri et altre bizzarrie con tanto disegno quanto si possa in simile cosa desiderare. Essendo Silvio a Pisa, l'anno MDXXVIII, vi fece un Angelo che mancava sopra una colonna all'altare maggiore del Duomo, per riscontro di quello del Tribolo, tanto simile al detto che non potrebbe essere più quando fussero d'una medesima mano. Nella chiesa di Monte Nero vicino a Livorno fece una tavoletta di marmo con due figure ai frati Ingesuati; et in Volterra fece la sepoltura di Messer Raffaello Volaterrano, uomo dottissimo, nella quale lo ritrasse di naturale sopra una cassa di marmo con alcuni ornamenti e figure. Essendo poi mentre era l'assedio intorno a Firenze, Niccolò Caponi onoratissimo cittadino, morto in Castel Nuovo della Garfagnana nel ritornare da Genoa, dove era stato ambasciatore della sua republica all'imperatore, fu mandato con molta fretta Silvio a formarne la testa, perché poi ne facesse una di marmo, sì come n'aveva condotto una di cera bellissima. E perché abitò Silvio qualche tempo con tutta la famiglia in Pisa, essendo della Compagnia della Misericordia, che in quella città accompagna i condannati alla morte insino al luogo della iustizia, gli venne una volta capriccio, essendo sagrestano, della più strana cosa del mondo. Trasse una notte il corpo d'uno, che era stato impiccato il giorno inanzi, della sepoltura, e dopo averne fatto notomia per conto dell'arte, come capriccioso e forse maliastro e persona che prestava fede agl'incanti e simili sciocchezze, lo scorticò tutto, et acconciata la pelle, secondo che gl'era stato insegnato, se ne fece, pensando che avesse qualche gran virtù, un coietto, e quello portò per alcun tempo sopra la camicia, senza che nessuno lo sapesse già mai. Ma essendone una volta sgridato da un buon padre, a cui confessò la cosa, si trasse costui di dosso il coietto e, secondo che dal frate gli fu imposto, lo ripose in una sepoltura. Molte altre simili cose si potrebbono raccontare di costui, ma non facendo al proposito della nostra storia si passono con silenzio.
Essendogli morta la prima moglie in Pisa, se n'andò a Carrara e qui standosi a lavorare alcune cose, prese un'altra donna, colla quale non molto dopo se n'andò a Genoa, dove, stando a' servigii del Principe Doria, fece di marmo sopra la porta del suo palazzo un'arme bellissima e per tutto il palazzo molti ornamenti di stucchi, secondo che da Perino del Vaga pittore gli erano ordinati; fecevi anco un bellissimo ritratto di marmo di Carlo V imperatore. Ma perché Silvio per suo natural costume non dimorava mai lungo tempo in un luogo, né aveva fermezza, increscendogli lo stare troppo bene in Genova, si mise in cammino per andare in Francia, ma partitosi prima che fusse al Monsanese tornò indietro e, fermatosi in Milano, lavorò nel Duomo alcune storie e figure e molti ornamenti con sua molta lode. E finalmente vi si morì d'età d'anni quarantacinque.
Fu costui di bello ingegno, capriccioso e molto destro in ogni cosa e persona che seppe condurre con molta diligenza qualunche cosa si metteva fra mano; si dilettò di comporre sonetti e di cantare all'improvviso, e nella sua prima giovanezza attese all'armi. Ma se egli avesse fermo il pensiero alla scultura et al disegno, non arebbe avuto pari; e come passò Andrea Ferruzzi suo maestro, così arebbe ancora, vivendo, passato molti altri ch'hanno avuto nome d'eccellenti maestri.
Fiorì ne' medesimi tempi d'Andrea e di Silvio un altro scultore fiesolano, detto il Cicilia, il quale fu persona molto pratica; vedesi di sua mano nella chiesa di San Iacopo in campo Corbolini di Fiorenza la sepoltura di Messer Luigi Tornabuoni cavaliere, la quale è molto lodata e massimamente per avere egli fatto lo scudo dell'arme di quel cavaliere nella testa d'un cavallo, quasi per mostrare, secondo gl'antichi, che dalla testa del cavallo fu primieramente tolta la forma degli scudi. Ne' medesimi tempi ancora Antonio da Carrara, scultore rarissimo, fece in Palermo al Duca di Monte Lione, di casa Pignatella napoletano e viceré di Cicilia, tre statue, cioè tre Nostre Donne in diversi atti e maniere, le quali furono poste sopra tre altari nel Duomo di Monte Lione in Calabria. Fece al medesimo alcune storie di marmo che sono in Palermo. Di costui rimase un figliuolo, che è oggi scultore, anch'egli, e non meno eccellente che si fusse il padre.
VITA DI VINCENZIO DA SAN GIMIGNANO E TIMOTEO DA URBINO PITTORI
Dovendo io scrivere, dopo Andrea da Fiesole scultore, la vita di due eccellenti pittori, cioè di Vincenzio da S. Gimignano di Toscana e di Timoteo da Urbino, ragionerò prima di Vincenzo, essendo quello che è di sopra il suo ritratto e poi immediate di Timoteo, essendo stati quasi in un medesimo tempo et ambidue discepoli et amici di Raffaello. Vincenzio dunque, il quale per il grazioso Raffaello da Urbino lavorò in compagnia di molti altri nelle logge papali, si portò di maniera che fu da Raffaello e da tutti gl'altri molto lodato. Onde, essendo perciò messo a lavorare in Borgo dirimpetto al palazzo di Messer Giovanbattista dall'Aquila, fece con molta sua lode in una faccia di terretta un fregio, nel quale figurò le nove Muse con Apollo in mezzo e sopra alcuni leoni, impresa del papa, i quali sono tenuti bellissimi. Aveva Vincenzio la sua maniera diligentissima, morbida nel colorito e le figure sue erano molto grate nell'aspetto, et insomma egli si sforzò sempre d'imitare la maniera di Raffaello da Urbino; il che si vede anco nel medesimo Borgo dirimpetto al palazzo del cardinale d'Ancona in una facciata della casa che fabricò Messer Giovanantonio Battiferro da Urbino, il quale, per la stretta amicizia che ebbe con Raffaello, ebbe da lui il disegno di quella facciata, et in corte per mezzo di lui molti benefici e grosse entrate. Fece dunque Raffaello in questo disegno, che poi fu messo in opera da Vincenzio, alludendo al casato de' Battiferri, i Ciclopi che battono i fulmini a Giove; et in un'altra parte Vulcano che fabrica le saette a Cupido, con alcuni ignudi bellissimi et altre storie e statue bellissime. Fece il medesimo Vincenzo, in su la piazza di San Luigi de' Franzesi in Roma, in una facciata, moltissime storie: la morte di Cesare et un trionfo della Giustizia, et in un fregio una battaglia di cavalli fieramente e con molta diligenza condotti. Et in questa opera, vicino al tetto fra le finestre, fece alcune virtù molto ben lavorate. Similmente nella facciata degl'Epifanii dietro alla curia di Pompeo, e vicino a Campo di Fiore fece i Magi che seguono la stella et infiniti altri lavori per quella città , la cui aria e sito par che sia in gran parte cagione che gl'animi operino cose maravigliose. E l'esperienza fa conoscere che molte volte uno stesso uomo non ha la medesima maniera, né fa le cose della medesima bontà in tutti i luoghi, ma migliori e peggiori secondo la qualità del luogo.
Essendo Vincenzio in bonissimo credito in Roma, seguì l'anno MDXXVII la rovina et il sacco di quella misera città , stata signora delle genti. Perché egli oltre modo dolente se ne tornò alla sua patria, San Gimignano. Là dove fra i disagi patiti e l'amore venutogli, meno delle cose dell'arti, essendo fuor dell'aria che i begli ingegni alimentando fa loro operare cose rarissime, fece alcune cose, le quali io mi tacerò per non coprire con queste la lode et il gran nome che s'aveva in Roma onorevolmente acquistato. Basta, che si vede espressamente che le violenze deviano forte i pellegrini ingegni da quel primo obietto e le fanno torcere la strada in contrario; il che si vede anco in un compagno di costui chiamato Schizzone, il quale fece in Borgo alcune cose molto lodate, e così in Camposanto di Roma et in Santo Stefano degl'Indiani. E poi anch'egli dalla poca discrezione de' soldati fu fatto deviare dall'arte et indi a poco perdere la vita.
Morì Vincenzio in San Gimignano sua patria, essendo vissuto sempre poco lieto, dopo la sua partita di Roma.
Timoteo pittore da Urbino nacque di Bartolomeo della Vite, cittadino d'onesta condizione, e di Calliope, figliuola di maestro Antonio Alberto da Ferrara, assai buon pittore del tempo suo, secondo che le sue opere in Urbino et altrove ne dimostrano. Ma essendo ancor fanciullo Timoteo, mortogli il padre, rimase al governo della madre Calliope con buono e felice augurio, per essere Calliope una delle nove Muse e per la conformità che hanno in fra di loro la pittura e la poesia. Poi, dunque, che fu il fanciullo allevato dalla prudente madre costumatamente, e da lei incaminato nei studi delle prime arti e del disegno parimente, venne apunto il giovane in cognizione del mondo quando fioriva il divino Raffaello Sanzio, et attendendo nella sua prima età all'orefice, fu chiamato da Messer Pierantonio suo maggiore fratello, che allora studiava in Bologna, in quella nobilissima patria, acciò sotto la disciplina di qualche buon maestro seguitasse quell'arte a che pareva fusse inclinato da natura. Abitando dunque in Bologna, nella quale città dimorò assai tempo e fu molto onorato e trattenuto in casa con ogni sorte di cortesia dal magnifico e nobile Messer Francesco Gombruti, praticava continuamente Timoteo con uomini virtuosi e di bello ingegno; per ché, essendo in pochi mesi per giovane giudizioso conosciuto et inchinato molto più alle cose di pittura che all'orefice, per averne dato saggio in alcuni molto ben condotti ritratti d'amici suoi e d'altri, parve al detto suo fratello, per seguitare il genio del giovane, essendo anco a ciò persuaso dagl'amici, levarlo dalle lime e dagli scarpelli e che si desse tutto allo studio del disegnare. Di che essendo egli contentissimo, si diede subito al disegno et alle fatiche dell'arte, ritraendo e disegnando tutte le migliori opere di quella città , e, tenendo...
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