[Pagina precedente]...rere con Lionardo da Vinci, Michelagnolo Buonaroti, ancora che giovanetto, Giuliano da San Gallo, Baccio d'Agnolo e Simone del Pollaiuolo detto il Cronaca, il quale era molto amico e divoto del Savonarola. Costoro dunque, dopo molte dispute, dettono ordine d'accordo che la sala si facesse in quel modo ch'ell'è poi stata sempre insino che ella si è ai giorni nostri quasi rinovata, come si è detto e si dirà in altro luogo. E di tutta l'opera fu dato il carico al Cronaca, come ingegnoso et anco come amico di fra' Girolamo detto, et egli la condusse con molta prestezza e diligenza e particolarmente mostrò bellissimo ingegno nel fare il tetto, per essere l'edifizio grandissimo per tutti i versi. Fece dunque l'asticciuola del cavallo, che è lunga braccia trentotto da muro a muro, di più travi commesse insieme, augnate et incatenate benissimo, per non esser possibile trovar legni a proposito di tanta grandezza e dove gl'altri cavalli hanno un monaco solo, tutti quelli di questa sala n'hanno tre per ciascuno, uno grande nel mezzo et uno da ciascun lato, minori. Gl'arcali sono lunghi a proporzione e così i puntoni di ciascun monaco, né tacerò che i puntoni de' monaci minori pontano dal lato verso il muro nell'arcale e verso il mezzo nel puntone del monaco maggiore.
Ho voluto raccontare in che modo stanno questi cavalli, perché furono fatti con bella considerazione et io ho veduto disegnargli da molti, per mandare in diversi luoghi. Tirati su questi così fatti cavalli e posti l'uno lontano dall'altro sei braccia e posto similmente in brevissimo tempo il tetto, fu fatto dal Cronaca conficcare il palco, il quale allora fu fatto di legname semplice e compartito a quadri, de' quali ciascuno per ogni verso era braccia quattro, con ricignimento a torno di cornice e pochi membri; e, tanto quanto erano grosse le travi, fu fatto un piano che rigirava intorno ai quadri et a tutta l'opera, con borchioni in su le crociere e cantonate di tutto il palco. E perché le due testate di questa sala, una per ciascun lato, erano fuor di squadra otto braccia, non presono, come arebbono potuto fare, risoluzione d'ingrossare le mura per ridurla in isquadra, ma seguitarono le mura eguali insino al tetto, con fare tre finestre grandi per ciascuna delle facciate delle teste. Ma, finito il tutto, riuscendo loro questa sala per la sua straordinaria grandezza cieca di lumi e, rispetto al corpo così lungo e largo, nana e con poco sfogo d'altezza et insomma quasi tutta sproporzionata, cercarono, ma non giovò molto, l'aiutarla col fare dalla parte di levante due finestre nel mezzo della sala e quattro dalla banda di ponente. Appresso, per darle ultimo fine, feciono in sul piano del mattonato, con molta prestezza, essendo a ciò sollecitati dai cittadini, una ringhiera di legname intorno intorno alle mura di quella, larga et alta tre braccia, con i suoi sederi a uso di teatro e con balaustri dinanzi, sopra la quale ringhiera avevano a stare tutti i magistrati della città . E nel mezzo della facciata, che è volta a levante, era una residenza più eminente, dove col Confaloniere di iustizia stavano i Signori; e da ciascun lato di questo più eminente luogo erano due porte, una delle quali entrava nel segreto e l'altra nello specchio, e nella facciata che è dirimpetto a questa, dal lato di ponente, era un altare dove si diceva messa con una tavola di mano di fra' Bartolomeo, come si è detto, et a canto all'altare la bigoncia da orare. Nel mezzo poi della sala erano panche in fila et a traverso, per i cittadini; e nel mezzo della ringhiera et in su le cantonate erano alcuni passi con sei gradi che facevano salita e commodo ai tavolacini, per raccorre i partiti. In questa sala, che fu allora molto lodata, come fatta con prestezza e con molte belle considerazioni, ha poi meglio scoperto il tempo gli errori dell'esser bassa, scura, malinconica e fuor di squadra. Ma nondimeno meritano il Cronaca e gl'altri di esser scusati, sì per la prestezza con che fu fatta, come volleno i cittadini, con animo d'ornarla col tempo di pitture e metter il palco d'oro, e sì perché infino allora non era stato fatto in Italia la maggior sala, ancor che grandissime siano quella del palazzo di S. Marco in Roma, quella del Vaticano fatta da Pio II et Innocenzio Ottavo, quella del castello di Napoli, del palazzo di Milano, d'Urbino, di Vinezia e di Padoa.
Dopo questo fece il Cronaca, col consiglio dei medesimi, per salire a questa sala, una scala grande, larga sei braccia, ripiegata in due salite e ricca d'ornamenti di macigno, con pilastri e capitelli corinzi e cornici doppie, e con archi della medesima pietra, le volte a mezza botte e le finestre con colonne di mischio et i capitelli di marmo intagliato. Et ancora che questa opera fusse molto lodata, più sarebbe stata se questa scala non fusse riuscita malagevole e troppo ritta, essendo che si poteva far più dolce, come si sono fatte al tempo del Duca Cosimo, nel medesimo spazio di larghezza e non più, le scale nuove fatte da Giorgio Vasari, dirimpetto a questa del Cronaca, le quali sono tanto dolci et agevoli che è quasi il salirle come andare per piano. E ciò è stato opera del detto signor Duca Cosimo, il quale, come è in tutte le cose e nel governo de' suoi popoli di felicissimo ingegno e di grandissimo giudizio, non perdona né a spesa, né a cosa veruna, perché tutte le fortificazioni et edificii publici e privati corrispondino alla grandezza del suo animo e siano non meno belli che utili, né meno utili che belli. Considerando dunque Sua Eccellenza che il corpo di questa sala è il maggiore e più magnifico e più bello di tutta Europa, si è risoluta, in quelle parti che sono difettose, d'acconciarla et in tutte l'altre col disegno et opera di Giorgio Vasari aretino farla ornatissima sopra tutti gl'edifizii d'Italia; e così, alzata la grandezza delle mura sopra il vecchio dodici braccia, di maniera che è alta, dal pavimento al palco, braccia trentadua, si sono ristaurati i cavalli fatti dal Cronaca, che reggono il tetto, e rimessi in alto con nuovo ordine e rifatto il palco vecchio che era ordinario e semplice e non ben degno di quella sala, con vario spartimento, ricco di cornici, pieno d'intagli e tutto messo d'oro, con trentanove tavole di pitture in quadri, tondi et ottangoli, la maggior parte de' quali sono di nove braccia l'uno et alcuni maggiori, con istorie di pitture a olio, di figure, di sette o otto braccia le maggiori. Nelle quali storie, cominciandosi dal primo principio, sono gl'accrescimenti e gl'onori, le vittorie e tutti i fatti egregii della città di Fiorenza e del dominio; e particolarmente la guerra di Pisa e di Siena con una infinità d'altre cose, che troppo sarei lungo a raccontarle. E si è lasciato conveniente spazio di sessanta braccia per ciascuna delle facciate dalle bande, per fare in ciascuna tre storie che corrispondino al palco quanto tiene lo spazio di sette quadri da ciascun lato che trattano delle guerre di Pisa e di Siena. I quali spartimenti delle facciate sono tanto grandi che non si sono anco veduti maggiori spazii per fare istorie di pitture, né dagl'antichi, né dai moderni. E sono i detti spartimenti ornati di pietre grandissime, le quali si congiungono alle teste della sala, dove da una parte, cioè verso tramontana, ha fatto finire il signor Duca, secondo che era stata cominciata e condotta a buon termine da Baccio Bandinelli, una facciata piena di colonne e pilastri e di nicchie piene di statue di marmo, il quale appartamento ha da servire per udienza publica, come a suo luogo si dirà . Dall'altra banda dirimpetto a questa, ha da esser in un'altra simile facciata, che si fa dall'Amannato, scultore et architetto, una fonte che getti acqua nella sala, con ricco e bellissimo ornamento di colonne e di statue di marmo e di bronzo. Non tacerò che per essersi alzato il tetto di questa sala dodici braccia, ella n'ha acquistato non solamente sfogo, ma lumi assaissimi, perciò che oltre gl'altri, che sono più in alto, in ciascuna di queste testate vanno tre grandissime finestre, che verranno col piano sopra un corridore, che fa loggia dentro la sala e da un lato, sopra l'opera del Bandinello, donde si scoprirà tutta la piazza con bellissima veduta. Ma di questa sala e degli altri acconcimi che in questo palazzo si sono fatti e fanno si ragionerà in altro luogo più lungamente. Questo per ora dirò io, che, se il Cronaca e quegli altri ingegnosi artefici che dettono il disegno di questa sala potessino ritornar vivi, per mio credere non riconoscerebbero né il palazzo, né la sala, né cosa che vi sia; la qual sala, cioè quella parte che è in isquadra, è lunga braccia novanta e larga braccia trentotto, senza l'opere del Bandinello e dell'Amannato.
Ma tornando al Cronaca, ne gl'ultimi anni della sua vita, eragli entrato nel capo tanta frenesia delle cose di fra' Girolamo Savonarola che altro che di quelle sue cose non voleva ragionare. E così vivendo, finalmente d'anni LV d'una infirmità assai lunga si morì. E fu onoratamente sepolto nella chiesa di Santo Ambruogio di Fiorenza nel MDIX, e non dopo lungo spazio di tempo gli fu fatto questo epitaffio da Messer Giovanbattista Strozzi:
CRONACA
Vivo, e mille, e mille anni, e mille ancora
mercé de' vivi miei palazzi e tempi
bella Roma vivrà l'alma mia Flora.
Ebbe il Cronaca un fratello chiamato Matteo, che attese alla scultura e stette con Antonio Rossellino scultore, et ancor che fusse di bello e buono ingegno, disegnasse bene et avesse buona pratica ne lavorare di marmo, non lasciò alcuna opera finita perché, togliendolo al mondo la morte d'anni XIX, non poté adempiere quello che di lui, chiunque lo conobbe, si prometteva.
VITA DI DOMENICO PULIGO PITTORE FIORENTINO
È cosa maravigliosa, anzi stupenda, che molti nell'arte della pittura, nel continuo esercitare e maneggiare i colori, per instinto di natura, o per un uso di buona maniera presa senza disegno alcuno o fondamento, conducono le cose loro a sì fatto termine che elle si abbattono molte volte a essere così buone che, ancor che gl'artefici loro non siano de' rari, elle sforzano gl'uomini ad averle in somma venerazione e lodarle. E si è veduto già molte volte et in molti nostri pittori che coloro che fanno l'opere loro più vivaci e più perfette, i quali hanno naturalmente bella maniera e si esercitano con fatica e studio continuamente, perché ha tanta forza questo dono della natura che, benché costoro stracurino e lascino gli studi dell'arte et altro non seguino che l'uso solo del dipignere e del maneggiare i colori con grazia infuso dalla natura, apparisce nel primo aspetto dell'opere loro ch'ella mostrano tutte le parti eccellenti e maravigliose che sogliono minutamente apparire ne' lavori di que' maestri che noi tenghiamo migliori. E che ciò sia vero l'esperienza ce lo dimostra a' tempi nostri nell'opere di Domenico Puligo, pittore fiorentino, nelle quali da chi ha notizia delle cose dell'arte si conosce quello che si è detto di sopra chiaramente.
Mentre che Ridolfo di Domenico Grillandaio lavorava in Firenze assai cose di pittura, come si dirà , seguitando l'umore del padre, tenne sempre in bottega molti giovani a dipignere, il che fu cagione, per concorrenza l'uno dell'altro, che assai ne riuscirono bonissimi maestri, alcuni in fare ritratti di naturale, altri in lavorare a fresco et altri a tempera et in dipignere speditamente drappi. A costoro facendo Ridolfo lavorare quadri, tavole e tele, in pochi anni ne mandò con suo molto utile una infinità in Inghilterra, nell'Alemagna et in Ispagna. E Baccio Gotti e Toto del Nunziata, suoi discepoli, furono condotti, uno in Francia al re Francesco e l'altro in Inghilterra al re, che gli chiesono per aver prima veduto dell'opere loro. Due altri discepoli del medesimo restarono e si stettono molti anni con Ridolfo, perché, ancora che avessero molte richieste da mercanti e da altri in Ispagna et in Ungheria, non vollono mai, né per promesse, né per danari privarsi delle dolcezze della patria, nella quale avevano da lavorare pi...
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