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Visse il priore anni LXII e morì l'anno MDXXXVII. Merita infinite lodi il priore, da che per lui in Toscana è condotta l'arte del lavorare i vetri con quella maestria e sottigliezza che desiderare si puote. E perciò, sendoci stato di tanto beneficio, ancora saremo a lui d'onore e d'eterne lode amorevoli esaltandolo nella vita e nell'opere del continovo.
VITA DEL CRONACA ARCHITETTO FIORENTINO
Molti ingegni si perdono, i quali farebbono opere rare e degne, se nel venire al mondo percotessero in persone che sapessino e volessino mettergli in opera a quelle cose dove e' son buoni. Dove egli avviene bene spesso che, chi può, non fa e non vuole; e se pure chi che sia vuole fare una qualche eccellente fabbrica, non si cura altrimenti cercare d'uno architetto rarissimo e d'uno spirito molto elevato; anzi mette lo onore e la gloria sua in mano a certi ingegni ladri che vituperano spesso il nome e la fama delle memorie. E per tirare in grandezza chi dependa tutto da lui (tanto puote la ambizione) dà spesso bando a' disegni buoni che si gli dà nno e mette in opera il più cattivo, onde rimane alla fama sua la goffezza dell'opera, stimandosi, per quegli che sono giudiciosi, l'artefice e chi lo fa operare essere d'uno animo istesso, da che ne l'opere si coniungono. E per lo contrario, quanti sono stati i principi poco intendenti, i quali per essersi incontrati in persone eccellenti e di giudizio, hanno doppo la morte loro non minor fama avuto per le memorie delle fabriche che in vita si avessero per il dominio ne' popoli. Ma veramente il Cronaca fu nel suo tempo avventurato; perciò che egli seppe fare, trovò chi di continuo lo mise in opera, et in cose tutte grandi e magnifiche. Di costui si racconta che mentre Antonio Pollaiuolo era in Roma a lavorare le sepolture di bronzo che sono in San Pietro, gli capitò a casa un giovanetto suo parente, chiamato per proprio nome Simone, fuggitosi da Fiorenza per alcune quistioni, il quale, avendo molta inclinazione all'arte dell'architettura per essere stato con un maestro di legname, cominciò a considerare le bellissime anticaglie di quella città e dilettandosene le andava misurando con grandissima diligenzia. Laonde seguitando, non molto poi che fu stato a Roma, dimostrò avere fatto molto profitto, sì nelle misure e sì nel metterete in opera alcuna cosa; per il che, fatto pensiero di tornarsene a Firenze, si partì di Roma et arrivato alla patria, per essere divenuto assai buon ragionatore, contava le maraviglie di Roma e d'altri luoghi, con tanta accuratezza che fu nominato da indi in poi il Cronaca: parendo veramente a ciascuno che egli fusse una cronaca di cose nel suo ragionamento. Era dunque costui fattosi tale ch'e' fu ne' moderni tenuto il più eccellente architettore che fusse nella città di Fiorenza; per avere nel discernere i luoghi giudizio e per mostrare che era con lo ingegno più elevato che molti altri che attendevano a quel mestiero. Conoscendosi per le opere sue quanto egli fussi buono imitatore delle cose antiche e quanto egli osservasse le regole di Vetruvio e le opere di Filippo di Ser Brunellesco.
Era allora in Fiorenza quel Filippo Strozzi, che oggi a differenza del figliuolo si chiama il Vecchio, il quale per le sue ricchezze desiderava lassare di sé alla patria et a' figliuoli, tra le altre, memoria di un bel palazzo. Per la qual cosa Benedetto da Maiano, chiamato a questo effetto da lui, gli fece un modello isolato intorno intorno, che poi si mise in opera, ma non interamente, come si dirà di sotto, non volendo alcuni vicini fargli commodità de le case loro. Onde cominciò il palazzo in quel modo che poté e condusse il guscio di fuori, avanti la morte di esso Filippo, presso che alla fine; il quale guscio è d'ordine rustico e graduato, come si vede, perciò che la parte de' bozzi dal primo finestrato in giù, insieme con le porte, è rustica grandemente e la parte che è dal primo finestrato al secondo è meno rustica assai. Ora accadde che, partendosi Benedetto di Fiorenza, tornò a punto il Cronaca da Roma; onde essendo messo per le mani a Filippo, gli piacque tanto per il modello che gli fece del cortile e del cornicione che va di fuori intorno al palazzo, che, conosciuta l'eccellenza di quell'ingegno, volle che poi il tutto passasse per le sue mani, servendosi sempre poi di lui. Fecevi dunque il Cronaca, oltra la bellezza di fuori con ordine toscano, in cima una cornice corinzia molto magnifica, che è per fine del tetto; della quale la metà al presente si vede finita con tanta singolar grazia che non vi si può apporre, né si può più bella disiderare. Questa cornice fu ritratta dal Cronaca e tolta e misurata a punto in Roma da una antica che si truova a Spoglia Cristo, la quale, fra molte che ne sono in quella città , è tenuta bellissima; bene è vero ch'ella fu dal Cronaca ringrandita a proporzione del palazzo, acciò facesse proporzionato fine et anche col suo agetto tetto a quel palazzo, e così l'ingegno del Cronaca seppe servirsi delle cose d'altri e farle quasi diventar sue. Il che non riesce a molti, perché il fatto sta non in aver solamente ritratti e' disegni di cose belle, ma in saperle accommodare secondo che è quello a che hanno a servire, con grazia, misura, proporzione e convenienza. Ma quanto fu e sarà sempre lodata questa cornice del Cronaca, tanto fu biasimata quella che fece nella medesima città al palazzo de' Bartolini Baccio d'Agnolo, il quale pose sopra una facciata piccola e gentile di membra, per imitare il Cronaca, una gran cornice antica misurata a punto dal frontespizio di Monte Cavallo, ma tornò tanto male, per non avere saputo con giudizio accommodarla, che non potrebbe star peggio e pare sopra un capo piccino una gran berretta. Non basta agl'artefici, come molti dicono, fatto ch'egli hanno l'opere, scusarsi con dire: elle sono misurate a punto dall'antico e sono cavate da' buoni maestri, atteso che il buon giudizio e l'occhio più giuoca in tutte le cose, che non fa la misura de le seste.
Il Cronaca dunque condusse la detta cornice con grande arte, insino al mezzo intorno intorno a quel palazzo, col dentello et uovolo, e da due bande la finì tutta, contrapesando le pietre in modo perché venissino bilicate e legate, che non si può veder cosa murata meglio, né condotta con più diligenza a perfezzione. Così anche tutte l'altre pietre di questo palazzo sono tanto finite e ben commesse ch'elle paiono non murate, ma tutte d'un pezzo. E perché ogni cosa corrispondesse fece fare per ornamento del detto palazzo ferri bellissimi per tutto e le lumiere che sono in su' canti, e tutti furono da Niccolò Grosso Caparra, fabro fiorentino, con grandissima diligenza lavorate. Vedesi in quelle lumiere maravigliose le cornici, le colonne, i capitegli e le mensole saldate di ferro con maraviglioso magistero. Né mai ha lavorato moderno alcuno di ferro machine sì grandi e sì difficili con tanta scienza e pratica. Fu Niccolò Grosso persona fantastica e di suo capo, ragionevole nelle sue cose e d'altri, né mai voleva di quel d'altrui. Non volse mai far credenza a nessuno de' suoi lavori, ma sempre voleva l'arra. E per questo Lorenzo de' Medici lo chiamava il Caparra e da molti altri ancora per tal nome era conosciuto. Egli aveva appiccato alla sua bottega una insegna, ne la quale erano libri ch'ardevano; per il che, quando uno gli chiedeva tempo a pagare, gli diceva: "Io non posso, perché i miei libri abbrucciano e non vi si può più scrivere debitori". Gli fu dato a fare, per i signori Capitani di parte Guelfa, un paio d'alari, i quali avendo egli finiti, più volte gli furono mandati a chiedere. Et egli di continuo usava dire: "Io sudo e duro fatica su questa encudine e voglio che qui su mi siano pagati i miei danari". Per che essi di nuovo rimandorno per il lor lavoro et a dirgli che per i danari andasse che subito sarebbe pagato, et egli ostinato rispondeva che prima gli portassero i danari. Laonde il proveditore venuto in collera, perché i capitani gli volevano vedere, gli mandò dicendo ch'esso aveva avuto la metà dei danari e che mandasse gli alari che del rimanente lo sodisfarebbe. Per la qual cosa il Caparra, avvedutosi del vero, diede al donzello uno alar solo, dicendo: "Te' porta questo ch'è il loro e, se piace a essi, porta l'intero pagamento che te gli darò, perciò che questo è mio". Gli ufficiali, veduto l'opera mirabile che in quello aveva fatto, gli mandarono i danari a bottega et esso mandò loro l'altro alare. Dicono ancora che Lorenzo de' Medici volse far fare ferramenti per mandare a donar fuora, acciò che l'eccellenza del Caparra si vedesse; per che andò egli stesso in persona a bottega sua e per avventura trovò che lavorava alcune cose che erano di povere persone da le quali aveva avuto parte del pagamento per arra; richiedendolo dunque Lorenzo, egli mai non gli volse promettere di servirlo se prima non serviva coloro, dicendogli che erano venuti a bottega inanzi a lui e che tanto stimava i danari loro quanto quei di Lorenzo.
Al medesimo portarono alcuni cittadini giovani un disegno perché facesse loro un ferro da sbarrare e rompere altri ferri con una vite, ma egli non gli volle altrimenti servire, anzi sgridandogli disse loro: "Io non voglio per niun modo in così fatta cosa servirvi, perciò che non sono se non instrumenti da ladri e da rubare o svergognare fanciulle. Non sono vi dico cosa per me, né per voi, i quali mi parete uomini da bene". Costoro, veggendo che il Caparra non voleva servirgli, dimandarono chi fusse in Fiorenza che potesse servirgli; per che venuto egli in collera con dir loro una gran villania se gli levò d'intorno. Non volle mai costui lavorare a Giudei, anzi usava dire che i loro danari erano fraccidi e putivano. Fu persona buona e religiosa, ma di cervello fantastico et ostinato: né volendo mai partirsi di Firenze, per offerte che gli fussero fatte, in quella visse e morì. Ho di costui voluto fare questa memoria, perché invero nell'esercizio suo fu singolare e non ha mai avuto, né averà pari, come si può particolarmente vedere ne' ferri e nelle bellissime lumiere di questo palazzo degli Strozzi, il quale fu condotto a fine dal Cronaca et adornato d'un ricchissimo cortile d'ordine corinzio e dorico con ornamenti di colonne, capitelli, cornici, fenestre e porte bellissime. E se a qualcuno paresse che il didentro di questo palazzo non corrispondesse al difuori, sappia che la colpa non è del Cronaca, perciò che fu forzato accommodarsi dentro al guscio principiato da altri e seguitare in gran parte quello che da altri era stato messo inanzi, e non fu poco che lo riducesse a tanta bellezza, quanta è quella che vi si vede. Il medesimo si risponde a coloro che dicessino che la salita delle scale non è dolce, né di giusta misura, ma troppo erta e repente; e così anco a chi dicesse che le stanze e gl'altri apartamenti di dentro non corrispondessino, come si è detto, alla grandezza e magnificenza di fuori. Ma non perciò sarà mai tenuto questo palazzo, se non veramente magnifico e pari a qualsivoglia privata fabrica, che sia stata in Italia a' nostri tempi edificata. Onde meritò e merita il Cronaca, per questa opera, infinita comendazione.
Fece il medesimo la sagrestia di Santo Spirito in Fiorenza, che è un tempio a otto facce, con bella proporzione e condotto molto pulitamente. E fra l'altre cose, che in questa opera si veggiono, vi sono alcuni capitelli condotti dalla felice mano d'Andrea dal Monte Sansovino, che sono lavorati con somma perfezzione. E similmente il ricetto della detta sagrestia, che è tenuto di bellissima invenzione, se bene il partimento come si dirà non è su le colonne ben partito. Fece anco il medesimo la chiesa di S. Francesco dell'Osservanza in sul poggio di San Miniato fuor di Firenze e similmente tutto il convento de' frati de' Servi, che è cosa molto lodata. Ne' medesimi tempi, dovendosi fare, per consiglio di fra' Ieronimo Savonarola, allora famosissimo predicatore, la gran sala del Consiglio nel palazzo della Signoria di Firenze, ne fu preso pa...
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