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Ma finalmente, quando non si voglino accettare mie giustificazioni in scritture, ma si voglia la viva voce, qui sono Inquisitore, Nunzio, Arcivescovo e altri ministri di S.ta Chiesa, ai quali sono prontissimo ch presentarmi ad ogni richiesta: e pur mi sembra verisimile che anco cause di maggiore affare si trattano avanti questi tribunali; né può parer verisimile che sotto a gl'occhi perspicacissimi e zelantissimi di quelli che veddero il mio libro, con liberissima autorità di levare, aggiugnere e mutare ad arbitrio loro, possa esser passato errore di tanto momento, senza esser veduto, che ecceda la facoltà d'esser corretto e gastigato da i superiori di questa città .
Questi, Em. S. sono i partiti che per salvezza della mia vita e per sodisfazione di cotesto eccelso e venerando Tribunale mi sovvengono. Prego la benignità sua che voglia rappresentargli, con scusare insieme se per mia ignoranza vi avessi commesso veruno errore. E per ultima conclusione, quando né la grave età , né le molte corporali indisposizioni, né afflizzion di mente, né la lunghezza di un viaggio per i presenti sospetti travagliosissimo, siano giudicate da cotesto sacro e eccelso Tribunale scuse bastanti ad impetrar dispensa o proroga alcuna, io mi porrò in viaggio, anteponendo l'ubbidire al vivere. E qui, Em.mo e Rev.mo Sig.re, con ogni umiltà inchinandomi, gli bacio la veste e prego il colmo di felicità .
Di Firenze, li 13 di Ottobre 1632.
Di V. Em.za Rev.ma
Um.mo e Obb.mo Servo
Galileo Galilei.
XVIII
A CESARE MARSILI IN BOLOGNA
(Firenze, 16 ottobre 1632)
Ill.mo Sig.re e Pad.ne Col.mo
Sono poco meno di 2 mesi che il P. Inquisitore di qui commesse, di ordine del R.mo P. Maestro del Sacro Palazzo di Roma, al libraio e a me, che non dovessimo dar fuora più copie del mio Dialogo sino ad altro avviso: e questa fu la prima conferma di una acerbissima persecuzione, che poco avanti avevo inteso che si andava machinando contro di me e 'l mio libro; la quale persecuzione è andata pigliando tanto vigore, che finalmente, 15 giorni sono, mi venne una intimazione dalla S. Congregazione del S.to Offizio, che per tutto questo mese io debba presentarmi a quello eccelso Tribunale. Tale avviso mi affligge gravemente, non perché io non sperassi di potermi appieno giustificare e far palese la mia innocenzia e santissimo zelo verso S.ta Chiesa; ma la grave età , accompagnata con molte corporali indisposizioni, con la giunta di questo travaglio di mente, in un viaggio lungo e travagliosissimo per i presenti sospetti, mi rendono quasi che sicuro che io non mi vi potrei condur con la vita. Ho fatto ogni opera per ottener di sincerarmi con scritture, o vero che la causa mia sia veduta qui, dove sono ministri di S.ta Chiesa; e sto aspettando qualche resoluzione. Intanto ne ho voluto dar conto a V. S. Ill.ma, come a mio padrone affezionatissimo e che so che compassionerà questo mio infortunio.
Ricevei una lunga lettera dal molto R. Padre Buonaventura, piena di scuse, le quali veramente non erano necessarie, perché io non ho mai auto dubbio deila sua bonissima intenzione, ma mi dolevo della mia disgrazia, che mi arrecava disgusto contro alla volontà e opinione di chi me lo cagionava. Io non posso riscrivergli per adesso, trovandomi occupatissimo; e solo prego V. S. a dirgli che non intendo che S. Paternità muti nulla nel suo libro già stampato, anzi che io gli rendo grazie delle onorate menzioni che fa di me. E qui reverentemente inclinandola, gli bacio le mani e prego felicità .
Fir.ze, li 16 di 8bre 1632.
Di V. S. Ill.ma
Ser.re Obblig.mo
Gal.o G.
XIX
AD ANDREA CIOLI IN LIVORNO
(Roma, 19 febbraio 1633)
Ill.mo Sig.re e Pad.ne Col.mo
De gl'accidenti occorsimi ne i 25 giorni del mio viaggio so che V. S. Ill.ma ne averà inteso dal S. Geri Bocchineri al quale in più lettere ne ho dato conto; però non ne replico altri. Giunto qui in Roma, fui ricevuto dall'Ecc.mo S. Ambasciatore con quella benignità che non si può descrivere, dove con la medesima vo continuando di trattenermi. Circa lo stato delle cose mie non posso dir nulla; salvo che per coniettura pare a me, e anco al S. Ambasciatore e suoi ministri di casa, che la travagliosa procella sia, o almeno si mostri tranquillata assai onde non sia da sbigottirsi del tutto per qualche inevitabil naufragio, e disperar di esser per condursi in porto, e massime mentre, conforme al mio dottore, tra l'onde alterate
Scorrendo me ne vo con umil vele.
Io mi trattengo perpetuamente in casa, parendo che non convenga in questo tempo andar vagando e a mostra per la città . Sin ora non mi è stato imposto o detto nulla ex offitio; anzi uno di quei SS.ri della Congregazione è stato due volte da me con molta umanità dandomi destramente occasione di dir qualche cosa in dichiarazione e confermazione della mia sincerissima e ossequentissima mente, stata sempre tale verso S.ta Chiesa e suoi ministri e tutto da esso con attenzione, e, per quanto ho potuto comprendere, con approbazione, ascoltato: e se la sua visita è stata (come ragionevolmente par che sia credibile) con consenso e forse con ordine della Sa.a Congregazione, questo pare un principio di trattamento molto mansueto e benigno, e del tutto dissimile alle comminate corde, catene e carceri etc. Il sentire anco da molti e in parte avere io stesso veduto, che non manchino di quelli, e de i potenti l'affetto de i quali verso di me e i miei affari non si mostri se non ben disposto, mi è di consolazione: e perché io stimo assai più facile il confermar questi nella buona intenzione che il rimuovere altri dalla sinistra, però io stimerei (e cosi è parere anco al S. Ambasciatore) che fusser buone due lettere del Ser.mo Padrone alli Em.mi SS.i Card.li Scaglia e Bentivoglio; sopra di che io supplico il favore di V. S. Ill.ma, tutta volta che ella concorra nell'istesso senso.
Di Roma, li 19 di Feb. 1633.
Di V. S. Ill.ma
Dev.mo e Obblig.mo Ser.re
Galileo Galilei.
XX
A GERI BOCCHINERI IN FIRENZE
(Roma, 23 aprile 1633)
Molto Ill.re Sig.re Osser.mo
Scrivo del letto dove mi trovo da 16 ore in qua, ritenuto da dolori eccessivi in una coscia; li quali per la pratica che ne ho, doveranno in altrettanto tempo svanire. Mi sono poco fa venuti a visitare il Commissario e il Fiscale, a che son quelli che mi disaminano; e mi hanno dato parola e ferma intenzione di spedirmi subito che io levi del letto, replicandomi più volte che io stia di buono animo e allegramente. Io fo più capitale di questa promessa che di quante speranze mi sono state date per il passato, le quali si è visto per esperienza essere state fondate più su le conietture che sopra la scienza. Che la mia innocenza e sincerità sia per essere conosciuta, io l'ho sempre sperato, e ora più che mai. Scrivo con incomodo, però finisco.
All'mo S. Bali un reverentissimo baciamani: a sé stessa e suoi fratelli il simile. Desidero che le mie monache vegghino questa, e Vincenzio ancora.
Roma, 23 di Aprile 1633.
Di V. S. molto I.
Par.te e Serv.re Obblig.mo
G. G.
XXI
AD ANDREA CIOLI IN FIRENZE
(Siena, 23 luglio 1633)
Ill.mo Sig.re e Pad.n Col.mo
Non ho passato ordinario senza scrivere al S. Geri Bocchineri intorno a i progressi del mio negozio, il quale non averà passato accidente alcuno di momento senza participarlo a V. S. Ill.ma, ché tale era il nostro appuntamento; e però rare volte ho scritto a lei in proprio, in riguardo anco alle molte e continue sue occupazioni da non doversi accresciere senza necessità . Gli scrivo adesso, spinto dal desiderio di liberarmi dal lungo tedio di una carcere di più di 6 mesi già passati a giunta al travaglio e afflizzion di mente di un anno intero, e anco non senza molti incomodi e pericoli corporali; e tutto addossatomi per quei miei demeriti che son noti a tutti, fuor che a quelli che mi hanno di questo e di maggior castigo giudicato colpevole. Ma di questo altra volta.
Il tempo della mia carcerazione non ha altro limite che la volontà di S. S.tà , la quale, alle richieste e intercessioni del S. Amb.re Niccolini, si contentò che in luogo delle carcere del S.to Offizio mi fusse assegnato il palazzo e giardino de' Medici alla Trinità , dove stetti alcuni giorni; fatta poi, per alcuni miei rispetti, nuova instanza dal medesimo S. Ambasciatore, fui rimesso qui in Siena nell'Arcivescovado, dove sono da 15 giorni in qua tra gl'inesplicabili eccessi di cortesia di questo Ill.mo Arcivescovo. Io però, oltre al desiderio, averei gran necessità di tornare a casa mia e di esser restituito nella mia libertà , la quale si va conietturando da molti che sia riserbata per grazia speciale alla domanda del S. G. D., da non gl'esser negata, mentre si vede quanto si è impetrato alle sole dimande del S. Ambasciatore. Prego per tanto V. S. Ill.ma, e per lei il Ser.mo Padrone, a restar servito di favorirmi di una domanda a S. S.tà o al S. Card. Barberino per la mia liberazione; dove per maggiore efficacia potrà inserirsi la mancanza del mio servizio di tanto tempo, figurandola di qualche maggior progiudizio per la Casa di S. Alt.za di quello che veramente è. Si crede, come ho detto, da tutti quelli con i quali ne ho parlato e da gl'istessi ministri del S.o Offizio, che la grazia a tanto intercessore non sarà negata.
Confido tanto nella benignità del S. G. D. mio Signore e nel favore di V. S. Ill.ma, che reputerei superfluo l'aggiugnere altre preghiere. Starò per tanto attendendone l'effetto, mentre con umiltà alla S. A. bacio la veste, e nella buona grazia e protezione di V. S. Ill.ma mi raccomando.
Di Siena, li 23 di Luglio 1633.
Di V. S. Ill.ma
Dev.mo e Obblig.mo Ser.re
Galileo Galilei.
XXII
A ELIA DIODATI IN PARIGI
Arcetri, 7 marzo 1634)
Vengo ora alla sua lettera: e perché ella replicatamente mi domanda qualche ragguaglio de' miei passati travagli, non posso se non sommariamente dirgli, che da che fui chiamato a Roma sino al presente, sono, la Dio grazia, stato di sanità meglio che da molti anni in qua. Fui ritenuto a Roma in carcere 5 mesi, e la carcere fu la casa del Sig. Amb. di Toscana; dal quale e dalla Signora sua consorte fui visto e trattato in modo, che con affetto maggiore non avrebbero potuto trattare i padri loro. Spedita che fu la mia causa, restai condennato in carcere all'arbitrio di Sua Santità ; e fu la carcere il palazzo e giardino del G. Duca alla Trinità de' Monti per alcuni giorni, ma pur permutata poi in Siena in casa Monsig. Arcivescovo, dove parimenti stetti 5 mesi, trattato da padre di Sua Sig.a Ill.a e in continue visite della nobiltà di quella città ; dove composi un trattato di un argomento nuovo, in materia di meccaniche, pieno di molte specolazioni curiose ed utili. Di Siena mi fu permesso tornarmene alla mia villa, dove ancora mi trovo, con divieto di scendere alla città ; e questa esclusione mi vien fatta per tenermi assente dalla Corte e da i Principi. Ma tornato alla villa in tempo che la Corte era a Pisa, venuto il G. Duca in Firenze, due giorni dopo il suo arrivo mi mandò uno staffieri ad avvisare come era per strada per venire a visitarmi; e mez'ora dopo arrivò con un solo gentil'uomo in una piccola carrozzina, e smontato in casa mia si trattenne a ragionar meco in camera mia con estrema soavità poco manco di 2 ore. Stante dunque il non aver patito punto nelle due cose, che sole devono da noi esser sopra tutte l'altre stimate, dico nella vita e nella reputazione (come in questa il raddoppiato affetto dei Padroni e di tutti gl'amici mi accertano), i torti e l'ingiustizie, che l'invidia e la malignità mi hanno machinato contro, non mi hanno travagliato né mi travagliano. Anzi (restando illesa la vita e l'onore) la grandezza dell'ingiurie mi è più presto di sollevamento, ed è come una spezie di vendetta, e l'infamia ricade sopra i traditori e i costituiti nel più sublime grado dell'ignoranza, madre della malignità , dell'invidia, della rabbia e di tutti gli altri vizii e peccati scelerati e brutti. Bisogna che ...
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