LA VITA DI CASTRUCCIO CASTRACANI, di Niccolo' Machiavelli - pagina 1
LA VITA
DI CASTRUCCIO CASTRACANI
DA LUCCA
descritta da Niccolò Machiavelli e mandata da Zanobi Buondelmonte e a Luigi Alamanni suoi amicissimi.
E' pare, Zanobi e Luigi carissimi, a quegli che la considerano, cosa maravigliosa che tutti coloro, o la maggiore parte di essi, che hanno in questo mondo operato grandissime cose, e intra gli altri della loro età siano stati eccellenti, abbino avuto il principio e il nascimento loro basso e oscuro, o vero dalla fortuna fuora d'ogni modo travagliato; perché tutti o ei sono stati esposti alle fiere, o egli hanno avuto sì vil padre che, vergognatisi di quello, si sono fatti figliuoli di Giove o di qualche altro Dio.
Quali sieno stati questi, sendone a ciascheduno noti molti, sarebbe cosa a replicare fastidiosa e poco accetta a chi leggessi; perciò come superflua la omettereno.
Credo bene che questo nasca che, volendo la fortuna dimostrare al mondo di essere quella che faccia gli uomini grandi, e non la prudenza, comincia a dimostrare le sue forze in tempo che la prudenza non ci possa avere alcuna parte, anzi da lei si abbi a ricognoscere il tutto.
Fu adunque Castruccio Castracani da Lucca uno di quegli; el quale, secondo i tempi in ne' quali visse e la città donde nacque fece cose grandissime e, come gli altri, non ebbe più felice né più noto nascimento, come nel ragionare del corso della sua vita si intenderà.
La quale mi è parso ridurre alla memoria delli uomini, parendomi avere trovato in essa molte cose, e quanto alla virtù e quanto alla fortuna, di grandissimo esemplo.
E mi è parso indirizzarla a voi, come a quegli che più che altri uomini che io cognosca, delle azioni virtuose vi dilettate.
Dico, adunque, che la famiglia de' Castracani è connumerata intra le famiglie nobili della città di Lucca, ancora ch'ella sia in questi tempi, secondo l'ordine di tutte le mondane cose, mancata.
Di questa nacque già uno Antonio che, diventato religioso, fu calonaco di San Michele di Lucca, e in segno di onore era chiamato messer Antonio.
Non aveva costui altri che una sirocchia, la quale maritò già a Buonaccorso Cennami; ma sendo Buonaccorso morto ed essa rimasta vedova, si ridusse a stare col fratello, con animo di non più rimaritarsi.
Aveva messer Antonio, dietro alla casa che egli abitava, una vigna; in la quale, per avere a' confini di molti orti, da molte parti e sanza molta difficultà si poteva entrare.
Occorse che andando una mattina, poco poi levata di sole, madonna Dianora (ché così si chiamava la sirocchia di messer Antonio) a spasso per la vigna, cogliendo, secondo el costume delle donne, certe erbe per farne certi suoi condimenti, sentì frascheggiare sotto una vite intra e' pampani, e, rivolti verso quella parte gli occhi, sentì come piangere.
Onde che, tiratasi verso quello romore, scoperse le mani e il viso d'uno bambino che, rinvolto nelle foglie, pareva che aiuto le domandasse.
Tale che essa, parte maravigliata, parte sbigottita, ripiena di compassione e di stupore, lo ricolse e, portatolo a casa e lavatolo e rinvoltolo in panni bianchi come si costuma, lo presentò, alla tornata in casa, a messer Antonio.
Il quale, udendo el caso e vedendo il fanciullo, non meno si riempié di maraviglia e di pietade che si fusse ripiena la donna, e consigliatisi intra loro quale partito dovessero pigliare, deliberorono allevarlo, sendo esso prete e quella non avendo figliuoli.
Presa adunque in casa una nutrice, con quello amore che se loro figliuolo fusse, lo nutrirono; e avendolo fatto battezzare, per il nome di Castruccio loro padre lo nominorono.
Cresceva in Castruccio con gli anni la grazia, e in ogni cosa dimostrava ingegno e prudenza; e presto, secondo la età, imparò quelle cose a che da messer Antonio era indirizzato.
Il quale, disegnando di farlo sacerdote e con il tempo rinunziargli il calonacato e altri suoi benefizii, secondo tale fine lo ammaestrava.
Ma aveva trovato subietto allo animo sacerdotale al tutto disforme; perché, come prima Castruccio pervenne alla età di quattordici anni, e che incominciò a pigliare uno poco di animo sopra messer Antonio, e madonna Dianora non temere punto, lasciati e' libri ecclesiastici da parte, cominciò a trattare le armi; né di altro si dilettava che o di maneggiare quelle, o con gli altri suoi equali correre, saltare, fare alle braccia, e simili esercizii; dove ei mostrava virtù di animo e di corpo grandissima, e di lunga tutti gli altri della sua età superava.
E se pure ei leggeva alcuna volta, altre lezioni non gli piacevano che quelle che di guerre o di cose fatte da grandissimi uomini ragionassino; per la qual cosa messer Antonio ne riportava dolore e noia inestimabile.
Era nella città di Lucca uno gentile uomo della famiglia de' Guinigi, chiamato messer Francesco, il quale per ricchezza e per grazia e per virtù passava di lunga tutti gli altri Lucchesi.
Lo esercizio del quale era la guerra, e sotto i Visconti di Milano aveva lungamente militato; e perché ghibellino era, sopra tutti gli altri che quella parte in Lucca seguitavano, era stimato.
Costui, trovandosi in Lucca, e ragunandosi sera e mattina con gli altri cittadini sotto la loggia del podestà, la quale è in testa della piazza di San Michele che è la prima piazza di Lucca, vidde più volte Castruccio con gli altri fanciulli della contrada in quegli esercizii che io dissi di sopra esercitarsi; e parendogli che oltre al superargli, egli avessi sopra di loro una autorità regia, e che quelli in certo modo lo amassino e riverissino, diventò sommamente desideroso di intendere di suo essere.
Di che sendo informato dai circunstanti, si accese di maggiore desiderio di averlo appresso di sé.
E un giorno chiamatolo, il dimandò dove più volentieri starebbe: o in casa d'uno gentile uomo che gli insegnasse cavalcare e trattare armi, o in casa di uno prete dove non si udisse mai altro che uffizii e messe.
Cognobbe messer Francesco quanto Castruccio si rallegrò sentendo ricordare cavagli e armi; pure, stando un poco vergognoso, e dandogli animo messer Francesco a parlare, rispose che, quando piacesse al suo messere, che non potrebbe avere maggiore grazia che lasciare gli studii del prete e pigliare quelli del soldato.
Piacque assai a messer Francesco la risposta, e in brevissimi giorni operò tanto che messer Antonio gliele concedette.
A che lo spinse, più che alcuna altra cosa, la natura del fanciullo, giudicando non lo potere tenere molto tempo così.
Passato pertanto Castruccio di casa messer Antonio Castracani calonaco in casa messer Francesco Guinigi condottiere, è cosa straordinaria a pensare in quanto brevissimo tempo ei diventò pieno di tutte quelle virtù e costumi che in uno vero gentile uomo si richieggono.
In prima ei si fece uno eccellente cavalcatore, perché ogni ferocissimo cavallo con somma destrezza maneggiava: e nelle giostre e ne' torniamenti, ancora che giovinetto, era più che alcuno altro riguardevole; tanto che in ogni azione, o forte o destra, non trovava uomo che lo superasse.
A che si aggiugnevano i costumi, dove si vedeva una modestia inestimabile; perché mai non se gli vedeva fare atto o sentivasegli dire parola che dispiacesse; ed era riverente ai maggiori, modesto cogli equali e cogli inferiori piacevole.
Le quali cose lo facevano non solamente da tutta la famiglia de' Guinigi, ma da tutta la città di Lucca, amare.
Occorse in quelli tempi, sendo già Castruccio di diciotto anni, che e' Ghibellini furono cacciati da e' Guelfi di Pavia; in favore de' quali fu mandato dai Visconti di Milano messer Francesco Guinigi.
Con il quale andò Castruccio, come quello che aveva el pondo di tutta la compagnia sua.
Nella quale espedizione Castruccio dette tanti saggi di sé di prudenza e di animo, che niuno che in quella impresa si trovassi ne acquistò grazia appresso di qualunque, quanta ne riportò egli, e non solo el nome suo in Pavia, ma in tutta la Lombardia diventò grande e onorato.
Tornato adunque in Lucca Castruccio, assai più stimato che al partire suo non era, non mancava, in quanto a lui era possibile, di farsi amici, osservando tutti quelli modi che a guadagnarsi uomini sono necessarii.
Ma sendo venuto messer Francesco Guinigi a morte, e avendo lasciato uno suo figliuolo di età di anni tredici, chiamato Pagolo, lasciò tutore e governatore de' suoi beni Castruccio, avendolo innanzi al morire fatto venire a sé e pregatolo che fussi contento allevare el suo figliuolo con quella fede che era stato allevato egli, e quegli meriti che e' non aveva potuto rendere al padre, rendesse al figliuolo.
Morto pertanto messer Francesco Guinigi, e rimaso Castruccio governatore e tutore di Pagolo, accrebbe tanto in reputazione e in potenzia, che quella grazia che soleva avere in Lucca si convertì parte in invidia; talmente che molti, come uomo sospettoso e che avessi l'animo tirannico, lo calunniavano.
Intra quali el primo era messer Giorgio degli Opizi, capo della parte guelfa.
Costui sperando per la morte di messer Francesco rimanere come principe di Lucca, gli pareva che Castruccio, sendo rimasto in quel governo per la grazia che gli davano le sua qualità, gliene avessi tolta ogni occasione; e per questo andava seminando cose che gli togliessino grazia.
Di che Castruccio prese prima sdegno; al quale poco di poi si aggiunse il sospetto; perché ei pensava che messer Giorgio non poserebbe mai di metterlo in disgrazia al vicario del re Ruberto di Napoli, che lo farebbe cacciare di Lucca.
Era signore di Pisa in quel tempo Uguccione della Faggiuola d'Arezzo, il quale, prima, era stato eletto da e' Pisani loro capitano, di poi se ne era fatto signore.
Appresso di Uguccione si trovavano alcuni fuori usciti lucchesi della parte ghibellina, con i quali Castruccio tenne pratica di rimettergli con lo aiuto di Uguccione, e comunicò ancora questo suo disegno con suoi amici di dentro, i quali non potevono sopportare la potenza delli Opizi.
Dato pertanto ordine a quello ch'ei dovevano fare, Castruccio cautamente affortificò la torre degli Onesti, e quella riempié di munizione e di molta vettovaglia, per potere, bisognando, mantenersi in quella qualche giorno.
E venuta la notte che si era composto con Uguccione, dette il segno a quello, il quale era sceso nel piano con di molta gente intra i monti e Lucca; e veduto il segno, si accostò alla porta a San Piero, e misse fuoco nello antiporto.
Castruccio dall'altra parte levò il romore, chiamando il popolo all'arme, e sforzò la porta dalla parte di dentro; tale che, entrato Uguccione e le sue genti, corsono la terra e ammazzorono messer Giorgio con tutti quegli della sua famiglia e con molti altri suoi amici e partigiani; e il governatore cacciorono; e lo Stato della città si riformò secondo che a Uguccione piacque; con grandissimo danno di quella, perché si trova che più di cento famiglie furono cacciate allora di Lucca.
Quegli che fuggirono, una parte ne andò a Firenze, un'altra a Pistoia; le quali città erono rette da parte guelfa, e per questo venivono a essere inimiche a Uguccione e ai Lucchesi.
E parendo ai Fiorentini e agli altri Guelfi che la parte ghibellina avessi preso in Toscana troppa autorità, convennono insieme di rimettere i fuora usciti lucchesi; e fatto uno grosso esercito, ne vennono in Val di Nievole e occuporono Montecatini; e di quivi ne andorono a campo a Montecarlo, per avere libero el passo di Lucca.
Pertanto Uguccione, ragunata assai gente pisana e lucchese e di più molti cavagli tedeschi che trasse di Lombardia, andò a trovare el campo de' Fiorentini; il quale sentendo venire e' nemici, si era partito da Montecarlo e postosi intra Montecatini e Pescia; e Uguccione si misse sotto Montecarlo, propinquo a' nimici a due miglia.
Dove qualche giorno intra i cavagli dell'uno e dell'altro esercito si fece alcuna leggieri zuffa, perché, sendo ammalato Uguccione, i Pisani e i Lucchesi fuggivono di fare la giornata con gli inimici.
Ma sendo Uguccione aggravato nel male, si ritirò per curarsi a Montecarlo, e lasciò a Castruccio la cura dello esercito.
La qual cosa fu cagione della rovina de' Guelfi; perché quegli presono animo, parendo loro che lo esercito inimico fussi rimaso sanza capitano.
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