LA VIRTU' SCONOSCIUTA, di Vittorio Alfieri - pagina 2
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VITTORIO
Ed appunto per ciò traluce in questi tuoi scritti un certo vero, e non affettato né ingrandito senso del bello, dal quale vorrei che con loro vergogna imparassero codesti moderni entusiasti, che le gran parole, grandi cose non sono; e che il caldo dell'anima di chi ha osservato e sentito il bello, non trapassa veramente nel cuore di chi ne legge il resultato, se non per via della più naturale semplicità.
Quindi io avea presso che risoluto in me stesso di dare in luce quelle tue sole descrizioni dei dipinti della sala del palazzo pubblico in Siena; i quali, per essere bei fatti di storia d'amor patrio, e di libertà, non avrebbero meno testimoniato il tuo finissimo tatto nell'arte, che il tuo forte entusiasmo per le vere e sublimi virtù; e mi parea di vederviti in poche tue parole vivamente dipinto te stesso; e mi bastava ciò, per mostrare di te quasi un raggio al volgo degli uomini: e, per tutto in somma svelarti, a quel tuo brevissimo scritto disegnava io di far precedere una tua brevissima vita, in cui dimostrato avrei, ma con modeste parole, del pari il tuo raro valore, e la mia calda amicizia e ammirazione vera per te.
FRANCESCO
Vita? che dici? Per la nostra amicizia caldamente ten prego, nol fare.
Le vite scriveansi altre volte de' santi, affinché le leggessero gl'idioti; e quelle degli uomini politicamente grandi in virtù, affinché leggendole i pochi che di grandezza aveano alcun seme nel cuore, più fortemente, e più tosto, mossi da nobile maraviglia ed invidia, lo sviluppassero; e leggendole gli altri moltissimi impotenti, se ne maravigliassero soltanto.
Le vite si scrivono presentemente d'ogni principe che fatto abbia o disfatto delle leggi, e vinte o perdute delle battaglie; e d'ogni autore, che schiccherato abbia comunque alcuni fogli di carta.
Ma, quali che sian stati costoro, la base pur sempre di questa loro terrena apoteosi si è l'essere essi stati conosciuti almeno, o saputi: ma lo scriver la vita di uno che nulla ha fatto, e che nessuno sa che sia stato, sarebbe giustamente reputato espressa follia: che se fra i termini della mediocrità d'ogni cosa in cui vissi, tu mi rappresentassi dal vero, direbbero i pochi che ti leggessero: Una comune virtù, meritava ella vita? Se, o con lusinga di stile, o con ingrandimento del vero, tu dalla sola e cieca amicizia guidato, imprendessi a ritrarmi, direbbero con più ragione i lettori: Ma, che ha egli fatto costui, per meritar sì grandi laudi?
Tu vedi dunque che le vite vogliono essere scritte di coloro soltanto, che o gran bene o gran male agli uomini han fatto.
E, degli antichi scrivendo, perfetto modello di ciò ne ha lasciato il divino Plutarco: e a scrivere dei moderni (di cui un volume d'assai minor mole farebbesi) non è sorto ancora un Plutarco novello.
Benché tutto dì delle vite si scrivano, non si dà però vita a nessuno, né la ottiene per sé lo scrittore.
Saviamente dunque, e da molto più verace mio amico farai, di me soltanto ricordandoti, se pur ti giova, ma tacitamente nel tuo cuore; e nulla affatto di me mai scrivendo; perché in qualunque modo tu ponessi in carta questo tuo affetto per me, potresti con tuo dolore e mio danno dal tristo esito di un tale tuo scritto ritrarne il disinganno della opinione, in che tu mi tieni.
VITTORIO
E queste stesse cose che ora dicendo mi vai, deh, perché il mondo intero non le ascolta? Dalla tua nobile e natural non curanza di te stesso, quanta grandezza dell'alto tuo animo non trasparirebbe a quei pochi che conoscono il vero, e che non sempre giudicano le cose dall'effetto? Io per l'appunto nell'accennare al pubblico alcuni tuoi tratti, e brevemente sovra essi ragionando, nutriva assai fondata speranza di poter con evidenza dimostrare, che la virtù vi può essere anco nei più servili tempi, e nei più viziosi governi; che tal virtù vi può essere, la quale, anche nulla operando, a quella che il più operasse giammai, si pareggi; e che in somma, quando ella nasce e dimora là dove tutto l'impedisce, la distrugge, o la scaccia, egli è ufficio di retto uomo, non che di verace amico, il manifestarla a tutti per consolare e incoraggire i pochissimi buoni, e per vie più confondere e intimorire i moltissimi rei.
E se io dalla tua ignotissima vita, dai privati e semplici tuoi costumi mi riprometteva pure di trarre, senza alterare il vero, luminosi saggi di fortezza ed altezza d'animo, di umanissimo cuore, di acutissimo ingegno, di maschio e libero petto; di ritrarne in somma un raro complesso delle più pregiate cittadine virtù di Roma, o d'Atene, velate da così amabile modestia, e in tempi cotanto ad esse contrarj con sì discreta disinvoltura senza niuno offendere praticate; non avrei io forse con un tale scritto potuto muovere la curiosità degli uomini tutti? non avrei io potuto la malignità dei più ammutolire coll'evidenza? non l'amore e la maraviglia di quelli destare, che dalla piccolezza del muto tuo stato vie più argomentando, come si dee, la grandezza delle tue doti, ed a me pienamente credendo, (perché chi il vero scrive facilmente con colori di verità lo dipinge) avrebbero la tua virtù non de' tempi, doppiamente sentita, e fors'anche, come nuova e inaudita cosa imitata l'avrebbero?
FRANCESCO
Questo lungo tuo sfogo ho io conceduto alla calda amistà: le lodi che dare a me vivo non avresti ardito, (troppo m'amavi per farmi cotanto arrossire) niuno ascoltandoci, soffro che alla ombra mia tu le dii; me non offendono, perché a te un verace affetto le detta; me non lusingano, perché da ogni mortale umana picciolezza son tolto: e purché a chi che sia tu mai non le narri, io godo assai, che la memoria mia sì saldo ed onorato loco entro il tuo petto ritenga.
Quelle virtù che a me presti, poiché sì ben le conosci ed apprezzi, fa che sian tue; e non nel tuo scrivere soltanto, ma nella pratica della vita, per quanto i tempi il comportano: e, poiché tanto me stimi, pensa dunque a tutta meritar la mia stima; pensa che io da te non rivolgo mai gli occhi, e che ogni tuo più interno e nascosto senso io leggo e discopro.
VITTORIO
E ciò sia: e se non sempre, anzi le più rade volte, scorgerai nel mio pur troppo picciolo cuore sane ed alte cagioni che il muovano; a quest'una di parlar di te, d'amarti, e apprezzarti più che cosa del mondo, son certo che niuna vile cagione, nessun basso fine vedrai che mi muova.
Ma, poiché tu mi vieti che io faccia di te mai menzione nel mondo, ed or ora tu stesso parlandomi, notasti il mio ardire, col quale io in faccia ti laudava, cosa che a te vivo non avrei fatta io mai; piacciati per mia consolazione, sollievo, e istruzione rendere a me solo ragione di molte tue particolarità di cui non mi sono attentato in vita richiedertela.
E ciò non sia prova che l'uno amico all'altro nulla tacesse; ma che, siccome base dell'amistà nostra non erano le mutue lusinghe, ma l'amor del vero, non tutte quelle cose ricercavamo noi l'un dall'altro, alle quali per soddisfar pienamente era d'uopo sagrificare in alcuna parte alla verità la modestia.
Quindi io delle tue virtù ogni giorno ne andava discoprendo qualcuna, ma il fonte di esse non sempre ti pregava io di scoprirmi.
Rispondimi ora dunque su alcune; e come quegli che è
Sciolto da tutte qualitati umane,
non mi tacere omai nulla, te ne scongiuro, ancorché alla dilicata e modesta tua indole costar ne potesse non poco.
FRANCESCO
Ogni cosa farò per compiacerti, in questo brevissimo tempo in cui la tua vista a me vien concessa dal fato: ma non bene tu festi di non richiedermene francamente in vita; alto segno d'amicizia vera dato mi avresti; ed io altissimo rendere tel potea snudandoti il vero-vero dell'anima mia.
E forse spessissimo la fonte di ciò che virtù chiamavi, e che tal ti parea, avresti visto esser tale da dovermi costar lo svelartelo, non modestia, no, ma bensì ardire molto e vergogna.
VITTORIO
Conosco la umana natura e me stesso.
Di me, o di tutt'altr'uomo, ciò credo esser vero che or tu mi accenni; ma di te non lo credo; o meno assai, che d'uomo nessuno del mondo.
Né ingannarmi tu puoi a quest'ora di te stesso parlandomi, come forse in vita fatto lo avresti (non dico, narrandomi il falso, ma non tutto il vero del sublime tuo animo discoprendomi) per non offender forse, discreto troppo, la minoranza del mio.
Ora dunque tacermi nulla tu puoi di te stesso: divisi siamo, e il siam per sempre, pur troppo! nulla di te mi rimane che la memoria del valor tuo; fa dunque che me l'abbia io intera.
E da prima rispondimi: Tu nato non nobile, ma cittadino in tempi che questo nobilissimo nome, di cui si fregiava un Scipione, per non v'essere più vera città, vien dato in suono di sprezzo alla classe posta fra i nobili e il popolo, deh, dimmi; tu nato non nobile, co' nobili che in cuore giustamente sprezzar tu dovevi, come, donde cavavi quel tuo dignitoso contegno, per cui tacitamente, senza però offenderli mai, ti venivi a mostrare tu il vero patrizio, ed essi nel tuo cospetto confessarsi pareano d'esser meno che plebe?
FRANCESCO
Delicato tasto mi tocchi, e questo soltanto ben festi forse di non ricercarmi in vita.
Risponderotti pur ora assai francamente.
Ancorché nella natura umana inevitabile sia (benché ascondibile, e dai più scaltri amatori di sé stessi nascoso) quell'odio che si porta ai maggiori di noi, o creduti tali, non odiava io perciò i nobili, perché paragonandomi con essi, in nessuna cosa mi ritrovava io minore di loro, ed in molte maggiore.
Dal mio negozio, dove, più per rispetti di famiglia, che per avidità di guadagno, mi stava trafficando di seta, vedeva io spesso pel maggior foro della città scioperati, e carichi oppressi d'ozio e di noja codesti nobili passeggiare; ed io li vedea standomi tal volta con Tacito, o con altro sommo classico in mano: come mai odiarli potea? Tacito, o altro libro dicevami, che né io, né essi in questi governi eravamo, né essere potevamo giammai veri uomini: niuna differenza passava tra essi e me nel servire, se non che io d'esser servo sapeva, e doleamene, e vergognava; essi nol sapeano, o se ne gloriavano.
Indegno sarei stato del tutto di poter essere un vero uomo, se più assai compatita non avessi tal gente che odiata.
E in ciò ti svelo schietto il mio cuore; o fosse natura, o fosse in me frutto del molto leggere, e del più pensare, io gli uomini tutti amava davvero: i pochi buoni, perché tali; i tanti rei, perché rei non son quasi mai per sé stessi, ma per fatalità di circostanze, e insufficienza di leggi.
Odiava io bensì sommamente quelle prime cagioni, che gli uomini fanno, o lasciano esser rei, ma non gli uomini mai.
Era dunque tale lo stato dell'anima mia, che io neppure i più disprezzabili dispregiava; nessuna cosa abborriva fuorché la violenza usata agli uomini fuor dell'aspetto di legittima legge; molto conosceva, e poco apprezzava me stesso; e non invidiava pure nessuno, cotanti vedendone a me sovrastare; e non desiderava altro al mondo che il poter praticar la virtù: di quella parlo, che sola è la vera, poiché agli altri uomini giova; quella, che conoscer si può, ma immedesimarsela non mai, se non col continuo, pubblico, libero, e laudato esercizio di essa.
Tale era io, standomi umilmente a bottega; e non aveva altro sollievo al mondo, che l'andar leggendo i pochi ottimi libri; ed altro martirio al mondo non aveva ad un tempo, che il paragonare me, e i miei tempi, con quegli uomini e tempi, di cui leggeva.
L'umiltà dei natali doluta forse mi sarebbe oltre modo, se avendo io una vera patria, mi avesse ciò escluso dal poterla servire, e giovarle; il che, dove vera patria fu, non accadde pur mai: ma dove la chiarezza del sangue prerogativa altra non dà, che di lasciar rimirar più da presso la fucina vile, in cui le comuni catene di tutti si temprano, somma ventura io reputai il non averla sortita; poiché quindi alla oscurità del mio nascere io poteva più assai facilmente congiungere la purità della mia, non ardirò già dir libera, ma ignorata e indipendente esistenza.
Da tutto ciò, forse, nacque, senza che io me ne avvedessi, quel mio contegno, qual ch'ei fosse, co' nobili, di cui tu mi chiedi ragione.
VITTORIO
Oh anima veramente sublime, che tutto innalza quanto ella tocca! anima, che per nulla aver fatto, ed ogni cosa sentito, tanto è maggiore d'ogni altra, e direi, di sé stessa!
FRANCESCO
Deh, modera questi tuoi affettuosi trasporti.
Tanti altri uomini vi sarà, che così pensano e praticano tutto dì...
VITTORIO
Ed ecco ancora un'altra particolar tua grandezza.
Gli uomini conosci, ed i tempi; e sì pure ti ostini a reputare non rara cosa la virtù, ed il vero.
Senza avvedertene, tu giudichi altrui da te stesso; e così, senza volerlo, te sovra ogni altro fai grande.
Ma, dimmi ancora: come mai col cuore e la mente così pieni e infiammati del bello (cioè del vero); con una tempra di carattere così magnanimamente sdegnoso, impaziente, e bollente; come potevi tu essere coi dotti, o pretesi tali, cotanto modesto; cogli ignoranti così umano; coi saputi così discreto; e coi soverchiatori in fine cotanto signor del tuo sdegno?
FRANCESCO
Non fare mai, né dir nulla invano, fu sempre la principale mia massima.
E siccome, per mostrarmi io erudito, (se pure stato lo fossi) già non avrei in tutti costoro scemato l'orgoglio, ma di gran lunga bensì accresciuto in essi l'odio e la rabbia della lor dimostrata insufficienza, mi solea perciò tacere, o non parlare, se non richiesto: e ciò brevemente facea, e accompagnando sempre le parole mie col mi pare; formola, che tengono essi cotanto cara in altrui, mentre pure non esce mai di lor bocca.
Ma, non crederai tu per ciò, che io avessi concepito il puerile e basso disegno di piacere a tutti, compiacendo ai più, che son di costoro; no; di pochissimi volli, e giovommi, aver l'amore e la stima; degli altri soltanto non volli aver l'odio, il quale, anche non meritato, sempre ad un uomo buono riesce uno spiacevole carico; e sempre suppone che molti hai offeso: e quand'anche ciò facciasi, non se ne accorgendo l'uomo, o col solo valer più degli altri, o col lasciarlo conoscere, a ogni modo viver dovendo fra gli uomini, e non potendo loro giovare offendendoli, se pure d'alcun pensiero si è fatto tesoro, va goduto per sé, o coi pochissimi amici, e interamente dissimulato coi rimanenti.
Queste regole del bene, o per dir meglio, del queto vivere, alquanto debilette parranno alla tua indomita impetuosa indole: ma, non si vuole, né si può vivere in Siena e nella presente Italia, come già in Roma, in Sparta, e in Atene: e siccome in quelle città molti forse, che per sé amata non l'avrebbero, praticavano, od onoravano almeno la virtù, perché ciò voleva la imperiosa opinione dei più; così nelle presenti città, dove i più non la conoscono, ovvero l'abborriscono, è forza il fingere di non conoscerla, o di non apprezzarla molto più che essi l'apprezzino.
Confesso però, che tra quelle quattro specie d'uomini che mi hai mentovate, i dotti, gl'ignoranti, e i saputi, mi hanno fatto ridere alcuna volta, e più spesso a compassione destato; ma i soverchiatori mi hanno assai volte infiammato di sdegno: non udirono per ciò essi mai da me quelle brevissime e forti verità, che di vergogna e confusione riempiendoli, lievemente ammutoliti gli avrebbero; tacque il mio labbro, e non ch'io parlare temessi, ma vano il reputava del tutto; parlò con essi tacitamente il mio aspetto; e ciò mi bastò per non essere quasi mai soverchiato.
VITTORIO
Ciò ch'io più pregio in te ed ammiro, si è, che tu nato buono, e fatto poi ottimo dal molto pensare, e dal molto conoscere le umane cose, godevi pur d'esserlo per te stesso; e se mostrar tale ti dovevi, sempre di alquanto minor valore che il tuo non era, ti mostravi.
Tu fra questi presenti uomini mi parevi quasi una gemma nel fango, che per meno rilucere vi si nasconde; ma per esser bruttata non perde già ella il suo splendore e virtù; e chiunque la raccoglie e terge, sel vede.
Da questo tuo parlare ben ora comprendo perché allor quando l'acerba morte rapivati, ancorché da pochissimi ben conosciuto, e da tutti dissimile, tu eri pur pianto e desiderato da tutti.
La virtù, benché occulta, gli animi dunque tutti, ed i men virtuosi, pienamente, e mal grado loro, soggioga.
Ma vero è, ch'ella era di sì gran vaglia la tua, che occulta parendo, non l'era.
Ignote eran forse le tue parti sublimi di verace antica virtù che ti avrebbero fatto di tua propria luce brillare in mezzo ai più sommi uomini di Roma libera; ma quelle virtù secondarie, che altro non sono se non se negazione di vizj, e che nella presente nostra meschinità pur somme si chiamano, (e, visti i governi nostri, forse elle il sono) quelle possedevi pur tutte, e ogni giorno, come corrente moneta, senza avvedertene, le spendevi.
Quindi nasceva il rispetto, quindi l'universale amore sì grande e verace, che quando io mi accompagnava con te per le vie, dal più infimo fino al più grande, io vedeva in ogni volto manifestamente nel salutarti scolpita quella tacita venerazione, che non si può aver dagli uomini mai per altr'uomo, se non per chi non ha macchia nessuna.
Nel volto dei buoni, che erano per lo più i bassi, la rimirava io mista d'amore; in quel degli altri traspariva fra un nuvoletto di sdegno; ma così picciolo egli era, che io l'avrei creduto acceso più contro sé stessi, che contro di te: guai però, guai, se coloro ti avessero creduto ricco delle tue tante altre virtù! ti si perdonavano le triviali e morali, perché ad ognuno parea di poterle, volendolo, praticare.
Tacitamente frattanto io osservava in me stesso, e giubilava di doppia gioja, ravvisando in te due così ben distinti, e così raramente accozzati personaggi: il Gori di tutti, e il Gori di sé stesso; e direi, il Gori mio, se questa parola mio in contrapposto del tutti non suonasse qui forse orgoglio e baldanza.
FRANCESCO
Ed io, per provarti che amico vero in morte ti sono come già in vita ti fui, render ti voglio, non grazie per lodi, ma biasimo: e dirti voglio, che se pure in me tu commendi l'aver cogli antichi pensato, e ai moderni non dispiaciuto, in ciò solo imitarmi dovresti.
Giacché pure incominciato hai di scrivere, e del tutto forse non sei fuor di strada, libero e sublime sfogo nelle sole tue carte concedi alla splendida e soverchia tua bile; sottilmente, e con discrezione negli scritti adoprata, ella è codesta bile il più incalzante maestro d'ogni alto insegnamento: ma fra gli uomini viventi raffrenarla si debbe: nessuno mai correggerai coll'offenderlo; né maggiore de' tuoi stessi minori mostrarti potrai, se maggiore in prima non ti fai di te stesso.
Pensa coi classici; coll'intelletto e coll'anima spazia, se il puoi, infra Greci e Romani; scrivi, se il sai, come se da quei grandi soli tu dovessi esser letto; ma vivi, e parla, co' tuoi.
Di questo secolo servile ed ozioso, tutto, ben so, ti è nausea e noja; nulla t'inalza; nulla ti punge; nulla ti lusinga: ma, né cangiarlo tu puoi, né in un altro tu esistere, se non col pensiero, e coi scritti.
Pensa dunque, ancor tel ridico, pensa, e scrivi, a tuo senno; ma parla, e vivi, ed opera cogli uomini a senno dei più.
E su ciò fortemente t'incalzo, perché ti vorrei amato dai pochi bensì, e dai soli buoni stimato, ma non odiato mai da nessuno.
VITTORIO
Comune non è questo pregio, poich'egli era il tuo.
Io non ho in me quella umanità, agevolezza, e blanda natura, che era pur tutta tua: sovrana dote, per cui, senza lusinga, né sforzo nessuno, in vece di abbassar te fino agli altri, parevi gli altri innalzar fino a te.
E questa, credilo, è l'arte sola, che fa e lascia convivere i grandi co' piccioli: ma dei veri grandi parlo io, e dei veri piccioli; che mai non son quelli, chiamati tali dal mondo.
Ma, che laudo io in te queste sociali virtù secondarie, mentre un solo esempio ch'io recassi d'una delle altre tue, basterebbe per porti sovra ogni uomo del nostro secolo guasto? Qual fu la cagione della immatura tua morte? la pietà vera, e il raro amore che pel tuo fratello nutrivi.
In questi tempi, in cui noi tutti pur troppo dal vorace lusso incalzati, noi tutti quasi, non che piangere di vero cuore la morte dei nostri, crudelmente la desideriamo, od almen l'aspettiamo; la insaziabile abbominevol peste della cupidità delle ricchezze altrui (peste altre volte nelle sole case dei re meritamente albergata) ora, dacché dai moltiplicati bisogni più servi siam fatti, invaso anche ha i più umili tetti: e, tolto il nobile, e sempre di noi men servo agricoltore, il quale nella sua numerosa famiglia la ricchezza amore e felicità sua piena ripone, gli altri tutti barbaramente s'invidiano fra loro la vita; del troppo longevo padre la invidiano i figli, della moglie il marito, del fratello il fratello; e nessuno in somma ben vivo si reputa, fin che non ha i suoi tutti sepolto.
Ma tu, diverso in tutto da tutti, fosti anco in ciò diverso dai pochi sommi uomini, che per lo più tenerissimi esser non sogliono dei loro congiunti: né dir saprei se in te fosse maggiore la sublimità della mente, o quella del cuore.
Questo fratello tuo, minore di te in ogni cosa come negli anni, di cui tu, quasi amoroso padre, cotanta cura pigliavi; per cui solo attendevi a quel tuo così a te dispiacevole traffico, che necessario non t'era per vivere agiato, e di tanto disturbo ti riusciva per viver pensante; questo tuo fratello in somma, ottimo giovine e di nobil'indole anch'egli, ma in nessuna cosa superiore né al suo stato, né ai tempi, ed in nessunissima a te vicino, egli era pure la sola remora, l'ostacolo solo alla tua intera felicità: poiché tu, come saggio, in null'altro riponendola che nel viver libero, e pensare e dire a tuo senno, disegnavi acquistartela, emendando il tuo nascere, col ricercarla e goderla in quelle contrade dove ella in tutta securtà si ritrova e s'alligna.
Eppure quando la morte, percotendo da prima il tuo fratello, pareva aprirtene la via, poteva nel tuo petto assai più la pietà e il dolor per altrui, che non l'amor per te stesso.
Non t'adirare, deh, se io qui a virtù grande ti ascrivo que' sensi, che in migliori tempi, e fra miglior gente, verrebbe tenuto mostruosità il non averli: ma così rara cosa mi pare fra noi la cagion di tua morte, e di così naturale e nuova grandezza ripiena, che ai nostri tempi dove né vivere né morire da grandi mai non si può, parmi, direi così, che la natura in te solo sfoggiando impreso abbia a deridere le tirannidi nostre; col tuo chiaro esempio mostrando, che ogni picciol tetto può esser campo a magnanimità e virtù, ancorché ad esse tolto ne venga ogni altro pubblico campo.
E se il dolore di un fratello semplicemente di sangue, e non di virtù, cotanto pure potea nella ben nata e calda tua anima, chi negarmi ardirà, che tu, in altra più felice contrada nato, per la patria, per la virtù, e per la verace gloria, di ogni più sublime sforzo non saresti stato capace?
FRANCESCO
Deh, basti.
Non so se il solo dolore del premorto fratello mi uccidesse, e nol credo; ma certo il mio corpo, già non robustissimo, gran crollo ne riceveva.
Doleami il fratello, poco curava io di me stesso, e tu presente non eri; propizio era il punto.
All'età mia non m'era possibile oramai di rinascere a vera vita; tu sai che il dolor di non vivere quale potuto forse l'avrei, andava consumando i miei giorni; l'aggiunta dell'estraneo dolore fu quella forse che colmò la misura; e morte, che in petto mi albergava pur sempre, trovò in quelI'istante tutte dischiuse le vie a diffondersi pel debil mio corpo.
E ciò fu il meglio per me: alle tante mie noje non v'ho aggiunto vecchiezza, e i suoi fastidj moltissimi.
VITTORIO
Ah, crudele! ma non era già il meglio per me, che nel perderti, la metà, e la migliore, dell'esser mio smarrita ho per sempre; e altro sollievo non serbo, che il sempre pascermi piangendo della tua memoria ed immagine.
FRANCESCO
Doler non mi posso dell'immenso amor tuo; ma ti biasmerò bensì molto del lasciarti così in preda al dolore, e del dirmi, o pensare, che in me tu perdesti la metà del tuo essere.
Nel fior de' tuoi anni; acquistata (ancorché a carissimo prezzo) a te stesso quella libertà, che se a farti vero cittadino insufficiente è pur sempre, poiché tal non sei nato, a non impedirti di essere e dimostrarti uomo pur ba
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