LA BOTTEGA DEL CAFFE', di Carlo Goldoni - pagina 4
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EUGENIO (da sé) (Ho inteso, or ora vado in pellegrinaggio ancor io).
Se volete, questa è una buona locanda.
PLACIDA Con che coraggio ho da presentarmi alla locanda, se non ho nemmeno da pagare il dormire?
EUGENIO Cara pellegrina, se volete un mezzo ducato, ve lo posso dare.
(da sé) (Tutto quello che mi è avanzato dal giuoco.)
PLACIDA Ringrazio la vostra pietà.
Ma più del mezzo ducato, più di qual si sia moneta, mi sarebbe cara la vostra protezione.
EUGENIO (da sé) (Non vuole il mezzo ducato; vuole qualche cosa di più.)
Scena quindicesima Don Marzio dal barbiere e detti.
DON MARZIO (da sé) (Eugenio con una pellegrina! Sarà qualche cosa di buono!) (siede al caffè, guardando la pellegrina coll'occhialetto)
PLACIDA Fatemi la carità; introducetemi voi alla locanda.
Raccomandatemi al padrone di essa, acciò, vedendomi così sola, non mi scacci, o non mi maltratti.
EUGENIO Volentieri.
Andiamo, che vi accompagnerò.
Il locandiere mi conosce, e a riguardo mio, spero che vi userà tutte le cortesie che potrà.
DON MARZIO (da sé) (Mi pare d'averla veduta altre volte).
(guarda di lontano coll'occhialetto)
PLACIDA Vi sarò eternamente obbligata.
EUGENIO Quando posso, faccio del bene a tutti.
Se non ritroverete vostro marito, vi assisterò io.
Sono di buon cuore.
DON MARZIO (da sé) (Pagherei qualche cosa di bello a sentir cosa dicono.)
PLACIDA Caro signore, voi mi consolate colle vostre cortesissime esibizioni.
Ma la carità d'un giovane, come voi, ad una donna, che non è ancor vecchia, non vorrei che venisse sinistramente interpretata.
EUGENIO Vi dirò, signora: se in tutti i casi si avesse questo riguardo, si verrebbe a levare agli uomini la libertà di fare delle opere di pietà.
Se la mormorazione è fondata sopra un'apparenza di male, si minora la colpa del mormoratore; ma se la gente cattiva prende motivo di sospettare da un'azione buona o indifferente, tutta la colpa è sua, e non si leva il merito a chi opera bene.
Confesso d'esser anch'io uomo di mondo; ma mi picco insieme d'esser un uomo civile, ed onorato.
PLACIDA Sentimenti d'animo onesto, nobile, e generoso.
DON MARZIO (ad Eugenio) Amico, chi è questa bella pellegrina?
EUGENIO (da sé) (Eccolo qui; vuol dar di naso in tutto).
(a Placida) Andiamo in locanda.
PLACIDA Vi seguo.
(entra in locanda con Eugenio)
Scena sedicesima Don Marzio, poi Eugenio dalla locanda.
DON MARZIO Oh, che caro signor Eugenio! Egli applica a tutto, anche alla pellegrina.
Colei mi pare certamente sia quella dell'anno passato.
Scommetterei che è quella che veniva ogni sera al caffè a domandar l'elemosina.
Ma io però non glie ne ho mai dati, veh! I miei danari, che sono pochi, li voglio spender bene.
Ragazzi, non è ancora tornato Trappola? Non ha riportati gli orecchini, che mi ha dati in pegno per dieci zecchini il signor Eugenio?
EUGENIO Che cosa dice de' fatti miei?
DON MARZIO Bravo, colla pellegrina!
EUGENIO Non si può assistere una povera creatura, che si ritrova in bisogno?
DON MARZIO Sì, anzi fate bene.
Povera diavola! Dall'anno passato in qua, non ha trovato nessuno che la ricoveri?
EUGENIO Come dall'anno passato! La conoscete quella pellegrina?
DON MARZIO Se la conosco? E come! E' vero che ho corta vista, ma la memoria mi serve.
EUGENIO Caro amico, ditemi chi ella è.
DON MARZIO E' una, che veniva l'anno passato a questo caffè ogni sera, a frecciare questo e quello.
EUGENIO Se ella dice che non è mai più stata in Venezia?
DON MARZIO E voi glielo credete? Povero gonzo!
EUGENIO Quella dell'anno passato di che paese era?
DON MARZIO Milanese.
EUGENIO E questa è piemontese.
DON MARZIO Oh sì, è vero; era di Piemonte.
EUGENIO E' moglie d'un certo Flaminio Ardenti.
DON MARZIO Anche l'anno passato aveva con lei uno, che passava per suo marito.
EUGENIO Ora non ha nessuno.
DON MARZIO La vita di costoro; ne mutano uno al mese.
EUGENIO Ma come potete dire che sia quella?
DON MARZIO Se la riconosco!
EUGENIO L'avete ben veduta?
DON MARZIO Il mio occhialetto non isbaglia; e poi l'ho sentita parlare.
EUGENIO Che nome aveva quella dell'anno passato?
DON MARZIO Il nome poi non mi sovviene.
EUGENIO Questa ha nome Placida.
DON MARZIO Appunto; aveva nome Placida.
EUGENIO Se fossi sicuro di questo, vorrei ben dirle quello che ella si merita.
DON MARZIO Quando dico una cosa io, la potete credere.
Colei è una pellegrina, che invece d'essere alloggiata, cerca di alloggiare.
EUGENIO Aspettate, che ora torno.
(Voglio sapere la verità.) (entra in locanda)
Scena diciassettesima Don Marzio, poi Vittoria mascherata.
DON MARZIO Non può essere altro, che quella assolutamente; l'aria, la statura, anche l'abito mi par quello.
Non l'ho veduta bene nel viso, ma è quella senz'altro; e poi quando mi ha veduto, subito si è nascosta nella locanda.
VITTORIA Signor Don Marzio, la riverisco.
(si smaschera)
DON MARZIO Oh signora mascheretta, vi sono schiavo.
VITTORIA A sorte, avreste voi veduto mio marito?
DON MARZIO Sì, signora, l'ho veduto.
VITTORIA Mi sapreste dire dove presentemente egli sia?
DON MARZIO Lo so benissimo.
VITTORIA Vi supplico dirmelo per cortesia.
DON MARZIO Sentite.
(la tira in disparte) E' qui in questa locanda con un pezzo di pellegrina, ma co' fiocchi.
VITTORIA Da quando in qua?
DON MARZIO Or ora, in questo punto, è capitata qui una pellegrina; l'ha veduta, gli è piaciuta, ed è entrato subitamente nella locanda.
VITTORIA Uomo senza giudizio! Vuol perdere affatto la riputazione.
DON MARZIO Questa notte l'avrete aspettato un bel pezzo.
VITTORIA Dubitava gli fosse accaduta qualche disgrazia.
DON MARZIO Chiamate poca disgrazia aver perso cento zecchini in contanti, e trenta sulla parola?
VITTORIA Ha perso tutti questi danari?
DON MARZIO Sì! Ha perso altro! Se giuoca tutto il giorno, e tutta la notte, come un traditore.
VITTORIA (Misera me! Mi sento o strappar il cuore.) (da sé)
DON MARZIO Ora gli converrà vendere a precipizio quel poco di panno, e poi ha finito.
VITTORIA Spero che non sia in istato di andar in rovina.
DON MARZIO Se ha impegnato tutto!
VITTORIA Mi perdoni; non è vero.
DON MARZIO Lo volete dire a me?
VITTORIA Io l'avrei a saper più di voi.
DON MARZIO Se ha impegnato a me...
Basta.
Son galantuomo, non voglio dir altro.
VITTORIA Vi prego dirmi che cosa ha impegnato.
Può essere che io non lo sappia.
DON MARZIO Andate, che avete un bel marito.
VITTORIA Mi volete dire che cosa ha impegnato?
DON MARZIO Son galantuomo, non vi voglio dir nulla.
Scena diciottesima Trappola colla scatola degli orecchini e detti.
TRAPPOLA Oh, son qui; il gioielliere...
(Uh! che vedo! La moglie del signor Eugenio; non voglio farmi sentire.) (da sé)
DON MARZIO (piano a Trappola) Ebbene, cosa dice il gioielliere?
TRAPPOLA (piano a Don Marzio) Dice che saranno stati pagati più di dieci zecchini, ma che non glieli darebbe.
DON MARZIO (a Trappola) Dunque non sono al coperto?
TRAPPOLA (a Don Marzio) Ho paura di no.
DON MARZIO (a Vittoria) Vedete le belle baronate che fa vostro marito? Egli mi di in pegno questi orecchini per dieci zecchini, e non vagliono nemmeno sei.
VITTORIA Questi sono i miei orecchini.
DON MARZIO Datemi dieci zecchini, e ve li do.
VITTORIA Ne vagliono più di trenta.
DON MARZIO Eh! trenta fichi! Siete d'accordo anche voi.
VITTORIA Teneteli fin a domani, ch'io troverò i dieci zecchini.
DON MARZIO Fin a domani? Oh non mi corbellate.
Voglio andare a farli vedere da tutti i giolellieri di Venezia.
VITTORIA Almeno non dite che sono miei, per la mia riputazione.
DON MARZIO Che importa a me della vostra riputazione! Chi non vuol che si sappia, non faccia pegni.
(parte)
Scena diciannovesima Vittoria e Trappola.
VITTORIA Che uomo indiscreto, incivile! Trappola, dov'è il vostro padrone?
TRAPPOLA Non lo so; vengo ora a bottega.
VITTORIA Mio marito dunque ha giuocato tutta la notte?
TRAPPOLA Dove l'ho lasciato iersera, l'ho ritrovato questa mattina.
VITTORIA Maledettissimo vizio! E ha perso cento e trenta zecchini?
TRAPPOLA Così dicono.
VITTORIA Indegnissimo gioco! E ora se ne sta con una forestiera in divertimenti?
TRAPPOLA Signora sì, sarà con lei.
L'ho veduto varie volte girarle d'intorno; sarà andato in casa.
VITTORIA Mi dicono che questa forestiera sia arrivata poco fa.
TRAPPOLA No signora; sarà un mese che la c'è.
VITTORIA Non è una pellegrina?
TRAPPOLA Oibò pellegrina; ha sbagliato perché finisce in ina; è una ballerina.
VITTORIA E sta qui alla locanda!
TRAPPOLA Signora no, sta qui in questa casa.
(accennando la casa)
VITTORIA Qui? Se mi ha detto il signor Don Marzio, ch'egli ritrovasi in quella locanda con una pellegrina.
TRAPPOLA Buono! Anche una pellegrina?
VITTORIA Oltre la pellegrina vi è anche la ballerina? Una di qua, e una di là?
TRAPPOLA Sì, signora; farà per navigar col vento sempre in poppa.
Orza, e poggia, secondo soffia la tramontana, o lo scirocco.
VITTORIA E sempre ha da far questa vita? Un uomo di quella sorta, di spirito, di talento, ha da perdere così miseramente il suo tempo, sacrificare le sue sostanze, rovinar la sua casa? Ed io l'ho da soffrire? Ed io mi ho da lasciar maltrattare senza risentirmi? Eh voglio esser buona, ma non balorda; non voglio che il mio tacere faciliti la sua mala condotta.
Parlerò, dirò le mie ragioni; e se le parole non bastano, ricorrerò alla giustizia.
TRAPPOLA E' vero, è vero.
Eccolo, che viene dalla locanda.
VITTORIA Caro amico, lasciatemi sola.
TRAPPOLA Si serva pure, come più le piace.
(entra nell'interno della bottega)
Scena ventesima Vittoria, poi Eugenio dalla locanda.
VITTORIA Voglio accrescere la di lui sorpresa col mascherarmi.
(si maschera)
EUGENIO Io non so quel ch'io m'abbia a dire; questa nega, e quei tien sodo.
Don Marzio so che è una mala lingua.
A queste donne che viaggiano non è da credere.
Mascheretta? A buon'ora! Siete mutola? Volete caffè? Volete niente? Comandate.
VITTORIA Non ho bisogno di caffè, ma di pane.
(si smaschera)
EUGENIO Come! Che cosa fate voi qui?
VITTORIA Eccomi qui strascinata dalla disperazione.
EUGENIO Che novità è questa? A quest'ora in maschera?
VITTORIA Cosa dite eh? Che bel divertimento! A quest'ora in maschera.
EUGENIO Andate subito a casa vostra!
VITTORIA Anderò a casa, e voi resterete al divertimento.
EUGENIO Voi andate a casa, ed io resterò dove mi piacerà di restare.
VITTORIA Bella vita, signor consorte!
EUGENIO Meno ciarle, signora: vada a casa, che farà meglio.
VITTORIA Sì, anderò a casa; ma anderò a casa mia, non a casa vostra.
EUGENIO Dove intendereste d'andare?
VITTORIA Da mio padre; il quale, nauseato dei mali trattamenti che voi mi fate, saprà farsi render ragione del vostro procedere e della mia dote.
EUGENIO Brava, signora, brava.
Questo è il gran bene che mi volete; questa è la premura che avete di me e della mia riputazione.
VITTORIA Ho sempre sentito dire che crudeltà consuma amore.
Ho tanto sofferto, ho tanto pianto, ma ora non posso più.
EUGENIO Finalmente, che cosa vi ho fatto?
VITTORIA Tutta la notte al giuoco!
EUGENIO Chi vi ha detto che io abbia giuocato?
VITTORIA Me l'ha detto il signor Don Marzio, e che avete perduto cento zecchini in contanti, e trenta sulla parola.
EUGENIO Non gli credete, non è vero.
VITTORIA E poi ai divertimenti con la pellegrina.
EUGENIO Chi vi ha detto questo?
VITTORIA Il signor Don Marzio.
EUGENIO (Che tu sia maledetto!) Credetemi, non è vero.
VITTORIA E di più impegnare la roba mia; prendermi un paio di orecchini, senza dirmi niente.
Sono azioni da farsi ad una moglie amorosa, civile e onesta come sono io?
EUGENIO Come avete saputo degli orecchini?
VITTORIA Me l'ha detto il signor Don Marzio.
EUGENIO Ah lingua da tanaglie!
VITTORIA Già dice il signor Don Marzio, e lo diranno tutti, che uno di questi giorni sarete rovinato del tutto; ed io, prima che ciò succeda, voglio assicurarmi della mia dote.
EUGENIO Vittoria, se mi voleste bene, non parlereste così.
VITTORIA Vi voglio bene anche troppo, e se non vi avessi amato tanto, sarebbe stato meglio per me.
EUGENIO Volete andare da vostro padre?
VITTORIA Sì, certamente.
EUGENIO Non volete più star con me?
VITTORIA Vi sarò quando avrete messo giudizio.
EUGENIO (alterato) Oh, signora dottoressa, non mi stia ora a seccare.
VITTORIA Zitto; non facciamo scene per la strada.
EUGENIO Se aveste riputazione non verreste a cimentare vostro marito in una bottega da caffè.
VITTORIA Non dubitate, non ci verrò più.
EUGENIO Animo! via di qua.
VITTORIA Vado, vi obbedisco, perché una moglie onesta deve obbedire anche un marito indiscreto.
Ma forse, forse sospirerete d'avermi quando non mi potrete vedere.
Chiamerete forse per nome la vostra cara consorte, quando ella non sarà più in grado di rispondervi e di aiutarvi.
Non vi potrete dolere dell'amor mio.
Ho fatto quanto far poteva una moglie innamorata di suo marito.
M'avete con ingratitudine corrisposto; pazienza.
Piangerò da voi lontana, ma non saprò così spesso i torti che voi mi fate.
V'amerò sempre, ma non mi vedrete mai più.
(parte)
EUGENIO Povera donna! Mi ha intenerito.
So che lo dice, ma non è capace di farlo; le andrò dietro alla lontana, e la piglierò con le buone.
S'ella mi porta via la dote, son rovinato.
Ma non avra cuore di farlo.
Quando la moglie è in collera, quattro carezze bastano per consolarla.
(parte)
ATTO SECONDO
Scena prima Ridolfo dalla strada, poi Trappola dalla bottega interna.
RIDOLFO Ehi, giovani, dove siete?
TRAPPOLA Son qui, padrone.
RIDOLFO Si lascia la bottega sola, eh?
TRAPPOLA Ero lì coll'occhio attento, e coll'orecchio in veglia.
E poi che volete voi che rubino? Dietro al banco non vien nessuno.
RIDOLFO Possono rubar le chicchere.
So io, che vi è qualcheduno che si fa l'assortimento di chicchere, sgraffignandone una alla volta a danno dei poveri bottegai.
TRAPPOLA Come quelli che vanno dove sono rinfreschi, per farsi provvisione di tazze, e di tondini.
RIDOLFO Il signor Eugenio è andato via?
TRAPPOLA Oh se sapeste! E' venuta sua moglie.
Oh che pianti! Oh che lamenti! Barbaro, traditore, crudele! Un poco amorosa, un poco sdegnata.
Ha fatto tanto che lo ha intenerito.
RIDOLFO E dove è andato?
TRAPPOLA Che domande? Stanotte non è stato a casa.
Sua moglie lo viene a ricercare; e domandate dove è andato?
RIDOLFO Ha lasciato nessun ordine?
TRAPPOLA E' tornato per la porticina di dietro a dirmi che a voi si raccomanda per il negozio de' panni, perché non ne ha uno.
RIDOLFO Le due pezze di panno le ho vendute a tredici lire il braccio, ed ho tirato il denaro, ma non voglio ch'egli lo sappia; non glieli voglio dar tutti, perché se gli ha nelle mani, gli fara saltare in un giorno.
TRAPPOLA Quando sa che li avete, li vorrà subito.
RIDOLFO Non gli dirò d'averli avuti, gli darò il suo bisogno, e mi regolerò con prudenza.
TRAPPOLA Eccolo che viene: Lupus est in fabula.
RIDOLFO Cosa vuol dire questo latino?
TRAPPOLA Vuol dire: il lupo pesta la fava.
(si ritira in bottega sorridendo)
RIDOLFO E' curioso costui.
Vuol parlar latino, e non sa nemmeno parlare italiano.
Scena seconda Ridolfo, ed Eugenio.
EUGENIO Ebbene, amico Ridolfo, avete fatto niente?
RIDOLFO Ho fatto qualche cosa.
EUGENIO So che avete avute le due pezze di panno, il giovine me lo ha detto.
Le avete esitate?
RIDOLFO Le ho esitate.
EUGENIO A quanto?
RIDOLFO A tredici lire il braccio.
EUGENIO Mi contento: danari subito?
RIDOLFO Parte alla mano, e parte col respiro.
EUGENIO Oimè! Quanto alla mano?
RIDOLFO Quaranta zecchini.
EUGENIO Via non vi è male.
Datemeli, che vengono a tempo.
RIDOLFO Ma piano, signor Eugenio: V.
S.
sa pure che le ho prestati trenta zecchini.
EUGENIO Bene, vi pagherete quando verrà il restante del panno.
RIDOLFO Questo, la mi perdoni, non è un sentimento onesto da par suo.
Ella sa come l'ho servita, con prontezza, spontaneamente, senza interesse, e la mi vuol far aspettare? Anch'io, o signore, ho bisogno del mio.
EUGENIO Via, avete ragione.
Compatitemi, avete ragione.
Tenete li trenta zecchini, e date quei dieci a me.
RIDOLFO Con questi dieci zecchini non vuol pagare il signor Don Marzio? Non si vuol levar d'intorno codesto diavolo tormentatore?
EUGENIO Ha il pegno in mano, aspetterà.
RIDOLFO Così poco stima V.
S.
la sua riputazione? Si vuol lasciar malmenare dalla lingua d'un chiacchierone? Da uno che fa servizio a posta per vantarsi d'averlo fatto, e che non ha altro piacere, che mettere in discredito i galantuomini?
EUGENIO Dite bene, bisogna pagarlo.
Ma ho io da restar senza danari? Quanto respiro avete accordato al compratore?
RIDOLFO Di quanto avrebbe bisogno?
EUGENIO Che so io? Dieci, o dodici zecchini.
RIDOLFO Servita subito; questi sono dieci zecchini, e quando viene il signor Don Marzio, io ricupererò gli orecchini.
EUGENIO Questi dieci zecchini che mi date, di qual ragione s'intende che sieno?
RIDOLFO Li tenga, e non pensi altro.
A suo tempo conteggeremo.
EUGENIO Ma quando tireremo il resto del panno?
RIDOLFO La non ci pensi.
Spenda quelli, e poi qualche cosa sarà; ma badi bene di spenderli a dovere, di non gettarli.
EUGENIO Sì, amico, vi sono obbligato.
Ricordatevi nel conto del panno tenervi la vostra senseria.
RIDOLFO Mi maraviglio; fo il caffettiere, e non fo il sensale.
Se m'incomodo per un padrone, per un amico, non pretendo di farlo per interesse.
Ogni uomo è in obbligo di aiutare l'altro quando può, ed io principalmente ho obbligo di farlo con V.
S.
per gratitudine del bene che ho ricevuto dal suo signor padre.
Mi chiamerò bastantemente ricompensato, se di questi danari, che onoratamente le ho procurati, se ne servirà per profitto della sua casa, per risarcire il suo decoro e la sua estimazione.
EUGENIO Voi siete un uomo molto proprio e civile; è peccato che facciate questo mestiere; meritereste miglior stato e fortuna maggiore.
RIDOLFO Io mi contento di quello che il cielo mi concede, e non cambierei il mio stato con tanti altri, che hanno più apparenza e meno sostanza.
A me nel mio grado non manca niente.
Fo un mestiere onorato, un mestiere nell'ordine degli artigiani pulito, decoroso e civile.
Un mestiere che, esercitato con buona maniera e con riputazione, si rende grato a tutti gli ordini delle persone.
Un mestiere reso necessario al decoro delle città, alla salute degli uomini e all'onesto divertimento di chi ha bisogno di respirare.
(entra in bottega)
EUGENIO Costui è un uomo di garbo; non vorrei però che qualcheduno dicesse che è troppo dottore.
In fatti per un caffettiere pare che dica troppo; ma in tutte le professioni ci sono degli uomini di talento e di probità.
Finalmente non parla nè di filosofia, nè di matematica: parla da uomo di buon giudizio; e volesse il cielo che io ne avessi tanto, quanto egli ne ha.
Scena terza Conte Leandro di casa di Lisaura ed Eugenio.
LEANDRO Signor Eugenio, questi sono i vostri denari; eccoli qui tutti in questa borsa; se volete che ve gli renda, andiamo.
EUGENIO Son troppo sfortunato, non giuoco più.
LEANDRO Dice il proverbio: una volta corre il cane, e l'altra la lepre.
EUGENIO Ma io sono sempre la lepre, e voi sempre il cane.
LEANDRO Ho un sonno che non ci vedo.
Son sicuro di non poter tenere le carte in mano; eppure per questo maledetto vizio non m'importa di perdere, purché giuochi.
EUGENIO Anch'io ho sonno.
Oggi non giuoco certo.
LEANDRO Se non avete denari, non m'importa, io vi credo.
EUGENIO Credete, che sia senza denari? Questi sono zecchini; ma non voglio giuocare.
(mostra la borsa con i dieci zecchini)
LEANDRO Giuochiamo almeno una cioccolata.
EUGENIO Non ne ho volontà.
LEANDRO Una cioccolata per servizio.
EUGENIO Ma se vi dico...
LEANDRO Una cioccolata sola, e chi parla di giuocar di più perda un ducato.
EUGENIO Via, per una cioccolata, andiamo.
(da sé) (Già.
Ridolfo non mi vede.)
LEANDRO (Il merlotto è nella rete.) (entra con Eugenio nella bottega del giuoco)
Scena quarta Don Marzio, poi Ridolfo dalla bottega.
DON MARZIO Tutti gli orefici gioiellieri mi dicono che non vagliono dieci zecchini.
Tutti si maravigliano che Eugenio m'abbia gabbato.
Non si può far servizio: non do più, più un soldo a nessuno, se lo vedessi crepare.
Dove diavolo sarà costui? Si sarà nascosto per non pagarmi.
RIDOLFO Signore, ha ella gli orecchini del signor Eugenio?
DON MARZIO Eccoli qui; questi belli orecchini non vagliono un corno; mi ha trappolato.
Briccone! si è ritirato per non pagarmi; è fallito, è fallito.
RIDOLFO Prenda, signore, e non faccia altro fracasso; questi sono dieci zecchini, favorisca darmi i pendenti.
DON MARZIO Sono di peso? (osserva coll'occhialetto)
RIDOLFO Glieli mantengo di peso e se calano son qua io.
DON MARZIO Li mettete fuori voi?
RIDOLFO Io non c'entro: questi sono denari del signor Eugenio.
DON MARZIO Come ha fatto a trovare questi denari?
RIDOLFO Io non so i fatti suoi.
DON MARZIO Gli ha vinti al giuoco?
RIDOLFO Le dico che non lo so.
DON MARZIO Ah, ora che ci penso, avrà venduto il panno.
Sì, sì, ha venduto il panno; gliel'ha fatto vender messer Pandolfo.
RIDOLFO Sia come esser si voglia, prenda i denari, e favorisca rendere a me gli orecchini.
DON MARZIO Ve gli ha dati da sé il signor Eugenio, o ve gli ha dati Pandolfo?
RIDOLFO Oh l'è lunga! Gli vuole, o non gli vuole?
DON MARZIO Date qua, date qua.
Povero panno! L'avrà precipitato.
RIDOLFO Mi dà gli orecchini?
DON MARZIO Gli avete a portar a lui?
RIDOLFO A lui.
DON MARZIO A lui, o a sua moglie?
RIDOLFO (con impazienza) O a lui, o a sua moglie.
DON MARZIO Egli dov'è?
RIDOLFO Non lo so.
DON MARZIO Dunque gli porterete a sua moglie?
RIDOLFO Gli porterò a sua moglie.
DON MARZIO Voglio venire anch'io.
RIDOLFO Gli dia a me, e non pensi altro.
Sono un galantuomo.
DON MARZIO Andiamo, andiamo, portiamoli a sua moglie.
(s'incammina)
RIDOLFO So andarvi senza di lei.
DON MARZIO Voglio farle questa finezza.
Andiamo, andiamo.(parte)
RIDOLFO Quando vuole una cosa, non vi è rimedio.
Giovani badate alla bottega.
(lo segue)
Scena quinta Garzoni in bottega, Eugenio dalla biscazza.
EUGENIO Maledetta fortuna! Gli ho persi tutti.
Per una cioccolata ho perso dieci zecchini.
Ma l'azione che mi ha fatto mi dispiace più della perdita.
Tirarmi sotto, vincermi tutti i denari, e poi non volermi credere sulla parola? Ora sì, che son punto; ora sì, che darei dentro a giuocare sino a domani.
Dica Ridolfo quel che sa dire; bisogna che mi dia degli altri denari.
Giovani, dov'è il padrone?
GARZONI E' andato via in questo punto.
EUGENIO Dov'è andato?
GARZONI Non lo so, signore.
EUGENIO Maledetto Ridolfo! Dove diavolo sarà andato? (alla porta della bisca) Signor Conte, aspettatemi, che or ora torno.
(in atto di partire) Voglio veder se trovo questo diavolo di Ridolfo.
Scena sesta Pandolfo dalla strada e detto.>
PANDOLFO Dove, dove, signor Eugenio, così riscaldato?
EUGENIO Avete veduto Ridolfo?
PANDOLFO Io no.
EUGENIO Avete fatto niente del panno?
PANDOLFO Signor sì, ho fatto.
EUGENIO Via bravo, che avete fatto?
PANDOLFO Ho ritrovato il compratore del panno; ma con che fatica! L'ho fatto vedere da più di dieci, e tutti lo stimano poco.
EUGENIO Questo compratore, quanto vuol dare?
PANDOLFO A forza di parole l'ho tirato a darmi otto lire al braccio.
EUGENIO Che diavolo dite? Otto lire il braccio? Ridolfo me ne ha fatto vendere due pezze a tredici lire.
PANDOLFO Denari subito?
EUGENIO Parte subito, e il resto con respiro.
PANDOLFO Oh che buon negozio! Col respiro! Io vi fo dare tutti i denari uno sopra l'altro.
Tante braccia di panno, tanti bei ducati d'argento veneziani.
EUGENIO (da sé) (Ridolfo non si vede! Vorrei denari; son punto.)
PANDOLFO Se avessi voluto vendere il panno a credenza, l'avrei venduto anche sedici lire.
Ma col denaro alla mano, al di d'oggi, quando si possono pigliare, si pigliano.
EUGENIO Ma se costa a me dieci lire?
PANDOLFO Cosa importa perder due lire al braccio nel panno, se avete i quattrini per fare i fatti vostri, e da potervi riscattare di quel che avete perduto?
EUGENIO Non si potrebbe migliorare il negozio? Darlo per il costo?
PANDOLFO Non vi è speranza di crescere un quattrinello.
EUGENIO (da sé) (Bisogna farlo per necessità.) Via, quel che s'ha da fare si faccia subito.
PANDOLFO Fatemi l'ordine per aver le due pezze di panno, e in mezz'ora vi porto qui il denaro.
EUGENIO Son qui subito.
Giovani, datemi da scrivere.
(I garzoni portano il tavolino col bisogno per scrivere)
PANDOLFO Scrivete al giovane che mi dia quelle due pezze di panno che ho segnate io.
EUGENIO Benissimo, per me è tutt'uno.
(scrive)
PANDOLFO (da sé) (Oh che bell'abito, che mi voglio fare.)
Scena settima Ridolfo dalla strada e detti.
RIDOLFO (da sé) (Il signor Eugenio scrive d'accordo con messer Pandolfo.
Vi è qualche novità.)
PANDOLFO (da sé vedendo Ridolfo) (Non vorrei che costui mi venisse a interrompere sul più bello.)
RIDOLFO Signor Eugenio, servitor suo.
EUGENIO (seguitando a scrivere) Oh, vi saluto.
RIDOLFO Negozi, negozi, signor Eugenio? negozi?
EUGENIO (scrivendo) Un piccolo negozietto.
RIDOLFO Posso esser degno di saper qualche cosa?
EUGENIO Vedete cosa vuol dire dar la roba a credenza? Non mi posso prevalere del mio, ho bisogno di denari, e conviene ch'io rompa il collo ad altre due pezze di panno.
PANDOLFO Non si dice che rompa il collo a due pezze di panno, ma che le vende come si può.
RIDOLFO Quanto le danno il braccio?
EUGENIO Mi vergogno a dirlo.
Otto lire.
PANDOLFO Ma i suoi quattrini l'un sopra all'altro.
RIDOLFO E vossignoria vuol precipitar la roba così miseramente?
EUGENIO Ma se non posso far a meno.
Ho bisogno di denari.
PANDOLFO Non è anche poco da un'ora all'altra trovar i denari che gli bisognano.
RIDOLFO (ad Eugenio) Di quanto avrebbe bisogno?
EUGENIO Che? avete da darmene?
PANDOLFO (da sé) (Sta a vedere che costui mi rovina il negozio.)
RIDOLFO Se bastassero sei o sette zecchini, li troverei.
EUGENIO Eh via! Freddure, freddure! Ho bisogno di denari.
(scrive)
PANDOLFO (da sé) (Manco male!)
RIDOLFO Aspetti; quanto importeranno le due pezze di panno a otto lire il braccio?
EUGENIO Facciamo il conto.
Le pezze tirano sessanta braccia l'una: e due via sessanta, cento e venti.
Cento e venti ducati d'argento.
PANDOLFO Ma vi è poi la senseria da pagare.
RIDOLFO (a Pandolfo) A chi si paga la senseria?
PANDOLFO (a Ridolfo) A me, signore, a me.
RIDOLFO Benissimo.
Cento e venti ducati d'argento, a lire otto l'uno, quanti zecchini fanno?
EUGENIO Ogni undici quattro zecchini.
Dieci via undici cento e dieci; e undici, cento e vent'uno.
Quattro via undici, quarantaquattro.
Quarantaquattro zecchini meno un ducato.
Quarantatré e quattordici lire, moneta veneziana.
PANDOLFO Dica pure quaranta zecchini.
I rotti vanno per la senseria.
EUGENIO Anche i tre zecchini vanno ne' rotti?
PANDOLFO Certo; ma i denari subito.
EUGENIO Via, via, non importa.
Ve li dono.
RIDOLFO (O che ladro!) Faccia ora il conto, signor Eugenio, quanto importano le due pezze di panno a tredici lire?
EUGENIO Oh, importano molto più.
PANDOLFO Ma col respiro; e non può fare i fatti suoi.
RIDOLFO Faccia il conto.
EUGENIO Ora il farò colla penna.
Cento e venti braccia, a lire tredici il braccio.
Tre via nulla; due via tre sei; un via tre; un via nulla; un via due; un via uno.
Somma: nulla; sei; due e tre cinque; uno.
Mille cinquecento e sessanta lire.
RIDOLFO Quanti zecchini fanno?
EUGENIO Subito ve lo so dire.
(conteggia) Settanta zecchini e venti lire.
RIDOLFO Senza la senseria?
EUGENIO Senza la senseria.
PANDOLFO Ma aspettarli chi sa quanto.
Val più una pollastra oggi che un cappone domani.
RIDOLFO Ella ha avuto da me: prima trenta zecchini, e poi dieci, che fan quaranta; e dieci degli orecchini che ho ricuperati, che sono cinquanta; dunque ha avuto da me, a quest'ora dieci zecchini di più di quello che gli dà subito, alla mano, un sopra l'altro, questo onoratissimo signor sensale!
PANDOLFO (da sé) (Che tu sia maledetto!)
EUGENIO E', vero, avete ragione; ma adesso ho necessità di danari.
RIDOLFO Ha necessità di danari? ecco i danari: questi sono venti zecchini e venti lire che formano il resto di settanta zecchini e venti lire, prezzo delle cento e venti braccia di panno, a tredici lire il braccio, senza pagare un soldo di senseria; subito, alla mano, un sopra l'altro, senza ladronerie, senza scrocchi, senza bricconate da truffatori.
EUGENIO Quand'è cosi, Ridolfo caro, sempre più vi ringrazio; straccio quest'ordine, (a Pandolfo) e da voi, signor sensale, non mi occorre altro.
PANDOLFO (da sé) (Il diavolo l'ha condotto qui.
L'abito è andato in fumo.) Bene, non importa, avrò gettati via i miei passi.
EUGENIO Mi dispiace del vostro incomodo.
PANDOLFO Almeno da bevere l'acquavite.
EUGENIO Aspettate; tenete questo ducato (cava un ducato dalla borsa, che gli ha dato Ridolfo.)
PANDOLFO Obbligatissimo.
(da sé) (Già vi cascherà un'altra volta.) (ad Eugenio) Mi comanda altro?
EUGENIO La grazia vostra.
PANDOLFO (Vuole?) (gli fa cenno se vuol giuocare, in maniera che Ridolfo non veda)
EUGENIO (di nascosto egli pure a Pandolfo) (Andate, che vengo.)
PANDOLFO (Già se gli giuoca prima del desinare.) (va nella sua bottega e poi torna fuori)
EUGENIO Come è andata, Ridolfo? Avete veduto il debitore cosi presto? Vi ha dati subito i danari?
RIDOLFO Per dirgli la verità, gli avevo in tasca sin dalla prima volta; ma io non glieli voleva dar tutti subito, acciò non gli mandasse a male sì presto.
EUGENIO Mi fate torto a dirmi così; non sono già un ragazzo.
Basta...
dove sono gli orecchini?
RIDOLFO Quel caro, signor Don Marzio, dopo aver avuti i dieci zecchini, ha voluto per forza portar gli orecchini colle sue mani alla signora Vittoria.
EUGENIO Avete parlato voi con mia moglie?
RIDOLFO Ho parlato certo; sono andato anch'io col signor Don Marzio.
EUGENIO Che dice?
RIDOLFO Non fa altro che piangere poverina! Fa compassione.
EUGENIO Se sapeste come era arrabbiala contro di me! Voleva andar da suo padre, voleva la sua dote, voleva far delle cose grandi.
RIDOLFO Come l'ha accomodata?
EUGENIO Con quattro carezze.
RIDOLFO Si vede che le vuol bene: è assai di buon cuore.
EUGENIO Ma quando va in collera, diventa una bestia.
RIDOLFO Non bisogna poi maltrattarla.
E' una signora nata bene, allevata bene.
M'ha detto, che s'io lo vedo, gli dica che vada a pranzo a buon'ora.
EUGENIO Sì, sì, ora vado.
RIDOLFO Caro signor Eugenio, la prego, badi al sodo, lasci andar il giuoco; non si perda dietro alle donne; giacchè V.S.
ha una moglie giovine, bella, e che le vuol bene; che vuol cercare di più?
EUGENIO Dite bene, vi ringrazio davvero.
PANDOLFO (dalla sua bottega si spurga, acciò Eugenio lo senta e lo guardi.
Eugenio si volta.
Pandolfo fa cenno che Leandro l'aspetta a giuocare, Eugenio fa cenno che anderà.
Pandolfo torna in bottega; Ridolfo non se ne avvede)
RIDOLFO Io lo consiglierei andar a casa adesso.
Poco manca al mezzogiorno.
Vada, consoli la sua cara sposa.
EUGENIO Sì, vado, subito.
Oggi ci rivedremo.
RIDOLFO Dove posso servirla, la mi comandi.
EUGENIO Vi sono tanto obbligato.
(vorrebbe andare al giuoco ma teme che Ridolfo lo veda)
RIDOLFO Comanda niente? Ha bisogno di niente?
EUGENIO Niente, niente.
A rivedervi.
RIDOLFO Le son servitore.
(si volta verso la sua bottega)
EUGENIO (vedendo che Ridolfo non l'osserva, entra nella bottega del giuoco)
Scena ottava Ridolfo, poi Don Marzio.
RIDOLFO Spero un poco alla volta tirarlo in buona strada.
Mi dirà qualcuno: perchè vuoi tu romperti il capo per un giovine, che non è tuo parente, che non è niente del tuo? E per questo? Non si può voler bene ad un amico? Non si può far del bene a una famiglia, verso la quale ho delle obbligazioni? Questo nostro mestiere ha dell'ozio assai.
Il tempo, che avanza, molti l'impiegano o a giuocare, o a dir male del prossimo.
Io l'impiego a far del bene se posso.
DON MARZIO Oh che bestia! Oh che bestia! Oh che asino!
RIDOLFO Con chi l'ha signor Don Marzio?
DON MARZIO Senti, senti, Ridolfo, se vuoi ridere.
Un medico vuol sostenere che l'acqua calda sia più sana dell'acqua fredda.
RIDOLFO Ella non è di quest'opinione?
DON MARZIO L'acqua calda debilita lo stomaco.
RIDOLFO Certamente rilassa la fibra.
DON MARZIO Cos'è questa fibra?
RIDOLFO Ho sentito dire che nel nostro stomaco vi sono due fibre, quasi come due nervi, dalle quali si macina il cibo, e quando queste fibre si rallentano, si fa una cattiva digestione.
DON MARZIO Sì, signore; sì, signore; l'acqua calda rilassa il ventricolo, e la sistole e la diastole non possono triturare il cibo.
RIDOLFO Come c'entra la sistole e la diastole?
DON MARZIO Che cosa sai tu, che sei un somaro? Sistole e diastole sono i nomi delle due fibre, che fanno la triturazione del cibo digestivo.
RIDOLFO (da sé)(Oh che spropositi! altro che il mio Trappola!)
Scena nona Lisaura alla finestra e detti.
DON MARZIO (a Ridolfo) Ehi? L'amica della porta di dietro.
RIDOLFO Con sua licenza, vado a badare al caffè.
(va nell'interno della bottega)
DON MARZIO Costui è un asino, vuol serrar presto la bottega.
(a Lisaura, guardandola di quando in quando col solito occhialetto) Servitor suo, padrona mia.
LISAURA Serva umilissima.
DON MARZIO Sta bene?
LISAURA Per servirla.
DON MARZIO Quant'è che non ha veduto il conte Leandro?
LISAURA Un'ora circa.
DON MARZIO E' mio amico il conte.
LISAURA Me ne rallegro.
DON MARZIO Che degno galantuomo!
LISAURA E' tutta sua bontà.
DON MARZIO Ehi! E' vostro marito?
LISAURA I fatti miei non li dico sulla finestra.
DON MARZIO Aprite, aprite, che parleremo.
LISAURA Mi scusi, io non ricevo visite.
DON MARZIO Eh via!
LISAURA No davvero.
DON MARZIO Verrò per la porta di dietro.
LISAURA Anche ella si sogna della porta di dietro? Io non apro a nessuno.
DON MARZIO A me non avete a dir così.
So benissimo che introducete la gente per di là.
LISAURA Io sono una donna onorata.
DON MARZIO Volete che vi regali quattro castagne secche? (le cava dalla tasca)
LISAURA La ringrazio infinitamente.
DON MARZIO Sono buone, sapete? Le fo seccare io ne' miei beni.
LISAURA Si vede che ha buona mano a seccare.
DON MARZIO Perché?
LISAURA Perchè ha seccato anche me.
DON MARZIO Brava! Spiritosa! Se siete cosi pronta a fare le capriole, sarete una brava ballerina.
LISAURA A lei non deve premere che sia brava, o non brava.
DON MARZIO In verità non me ne importa un fico.
Scena decima Placida, da pellegrina, alla finestra della locanda, e detti.
PLACIDA (da sé) (Non vedo più il signor Eugenio.)
DON MARZIO (a Lisaura dopo avere osservato Placida coll'occhialetto) Ehi! Avete veduto la pellegrina?
LISAURA E chi è colei?
DON MARZIO Una di quelle del buon tempo.
LISAURA E il locandiere riceve gente di quella sorta?
DON MARZIO E' mantenuta.
LISAURA Da chi?
DON MARZIO Dal signor Eugenio.
LISAURA Da un uomo ammogliato? Meglio!
DON MARZIO L'anno passato ha fatto le sue.
LISAURA (ritirandosi) Serva sua.
DON MARZIO Andate via?
LISAURA Non voglio stare alla finestra, quando in faccia vi è una donna di quel carattere.
(si ritira)
Scena undicesima Placida alla finestra, Don Marzio nella strada.
DON MARZIO Oh, oh, oh, questa è bella! La ballerina si ritira per paura di perdere il suo decoro! (coll'occhialetto) Signora pellegrina, la riverisco.
PLACIDA Serva devota.
DON MARZIO Dov'è il signor Eugenio?
PLACIDA Lo conosce ella il signor Eugenio?
DON MARZIO Oh, siamo amicissimi.
Sono stato, poco fa, a ritrovare sua moglie.
PLACIDA Dunque il signor Eugenio ha moglie?
DON MARZIO Sicuro, che ha moglie; ma ciò non ostante gli piace divertirsi coi bei visetti: avete veduto quella signora che era a quella finestra?
PLACIDA L'ho veduta; mi ha fatto la finezza di chiudermi la finestra in faccia, senza fare alcun motto, dopo avermi ben bene guardata.
SON MARZIO Quella è una, che passa per ballerina, ma! m'intendete.
PLACIDA E' una poco di buono?
DON MARZIO Sì; e il signor Eugenio è uno dei suoi protettori.
PLACIDA E ha moglie!
DON MARZIO E bella ancora.
PLACIDA Per tutto il mondo vi sono de' giovani scapestrati.
DON MARZIO Vi ha forse dato ad intendere che non era ammogliato?
PLACIDA A me poco preme che lo sia, o non lo sia.
DON MARZIO Voi siete indifferente.
Lo ricevete com'è.
PLACIDA Per quello che ne ho da far io, mi è tutt'uno.
DON MARZIO Già si sa.
Oggi uno, domani un altro.
PLACIDA Come sarebbe a dire? Si spieghi.
DON MARZIO Volete quattro castagne secche? (le cava di tasca)
PLACIDA Bene obbligata.
DON MARZIO Davvero se volete, ve le do.
PLACIDA E' molto generoso, signore.
DON MARZIO Veramente al vostro merito quattro castagne sono poche.
Se volete, aggiungerò alle castagne un paio di lire.
PLACIDA Asino senza creanza.
(serra la finestra e parte)
DON MARZIO Non si degna di due lire, e l'anno passato si degnava di meno.
(chiama forte) Ridolfo?
Scena dodicesima Ridolfo e detto.
RIDOLFO Signore?
DON MARZIO Carestia di donne.
Non si degnano di due lire.
RIDOLFO Ma ella le mette tutte in un mazzo.
DON MARZIO Roba che gira il mondo? Me ne rido.
RIDOLFO Gira il mondo anche della gente onorata.
DON MARZIO Pellegrina! Ah, buffone!
RIDOLFO Non si può saper chi sia quella pellegrina.
DON MARZIO Lo so.
E' quella dell'anno passato.
RIDOLFO Io non l'ho più veduta.
DON MARZIO Perché sei un balordo.
RIDOLFO Grazie alla sua gentilezza.
(da sé) (Mi vien volontà di
pettinargli quella parrucca.)
Scena tredicesima Eugenio dal giuoco e detti.
EUGENIO (allegro e ridente) Schiavo, signori, padroni cari.
RIDOLFO Come! Qui il signor Eugenio?
EUGENIO (ridendo) Certo, qui sono.
DON MARZIO Avete vinto?
EUGENIO Sì, signore, ho vinto, sì, signore.
DON MARZIO Oh! Che miracolo!
EUGENIO Che gran caso! Non posso vincere io? Chi sono io? Sono uno stordito?
RIDOLFO Signor Eugenio, è questo il proponimento di non giuocare?
EUGENIO State zitto.
Ho vinto.
RIDOLFO E se perdeva?
EUGENIO Oggi non potevo perdere.
RIDOLFO No? Perché?
EUGENIO Quando ho da perdere me lo sento.
RIDOLFO E quando se lo sente, perché giuoca?
EUGENIO Perché ho da perdere.
RIDOLFO E a casa quando si va?
EUGENIO Via, mi principierete a seccare?
RIDOLFO Non dico altro.
(da sé) (Povere le mie parole)
Scena quattordicesima Leandro dalla bottega del giuoco e detti.
LEANDRO Bravo, bravo; mi ha guadagnati i miei denari; e s'io non lasciava stare, mi sbancava.
EUGENIO Ah? Son uomo io? In tre tagli ho fatto il servizio.
LEANDRO Mette da disperato.
EUGENIO Metto da giuocatore.
DON MARZIO (a Leandro) Quanto vi ha guadagnato?
LEANDRO Assai.
DONN MARZIO (ad Eugenio) Ma pure quanto avete vinto?
EUGENIO (con allegria) Ehi, sei zecchini.
RIDOLFO (da sé) (Oh pazzo maledetto! Da jeri in qua ne ha perduti cento e trenta, e gli pare aver vinto un tesoro, ad averne guadagnati sei.)
LEANDRO (da sé) (Qualche volta bisogna lasciarsi vincere per allettare.)
DON MARZIO (ad Eugenio) Che volete voi fare di questi sei zecchini.
EUGENIO Se volete che li mangiamo, io ci sono.
DON MARZIO Mangiamoli pure.
RIDOLFO (da sé) (O povere le mie fatiche!)
EUGENIO Andiamo all'osteria? Ognuno pagherà la sua parte.
RIDOLFO (piano ad Eugenio) (Non vi vada, la tireranno a giuocare.)
EUGENIO (piano a Ridolfo) (Lasciateli fare; oggi sono in fortuna.)
RIDOLFO (da sé) (Il male non ha rimedio.)
LEANDRO In vece di andare all'osteria, potremo far preparare qui sopra nei camerini di messer Pandolfo.
EUGENIO Sì, dove volete, ordineremo il pranzo qui alla locanda, e lo faremo portar là sopra.
DON MARZIO Io con voi altri, che siete galantuomini, vengo per tutto.
RIDOLFO (da sé) (Povero gonzo! non se ne accorge.)
LEADRO Ehi, messer, Pandolfo?
Scena quindicesima Pandolfo dal giuoco e detti.
PANDOLFO Sono qui a servirla.
LEANDRO Volete farci il piacere di prestarci i vostri stanzini per desinare?
PANDOLFO Sono padroni; ma vede, anch'io...
pago la pigione.
LEANDRO Si sa, pagheremo l'incomodo.
EUGENIO Con chi credete aver che fare? Pagheremo tutto.
PANDOLFO Benissimo; che si servano.
Vado a far ripulire.
(va in bottega del giuoco)
EUGENIO Via, chi va a ordinare?
LEANDRO (ad Eugenio) Tocca a voi come il più pratico del paese.
DON MARZIO (ad Eugenio) Sì, fate voi.
EUGENIO Che cosa ho da ordinare?
LEANDRO Fate voi.
EUGENIO Ma dice la canzone: L'allegria non è perfetta, quando manca la donnetta.
RIDOLFO (Anche di più vuol la donna!)
DON MARZIO Il signor Conte potrebbe far venire la ballerina.
LEANDRO Perché no? In una compagnia d'amici non ho difficoltà di farla venire.
DON MARZIO (a Leandro) E' vero che la volete sposare?
LEANDRO Ora non è tempo di parlare di queste cose.
EUGENIO E io vedrò di far venire la pellegrina.
LEANDRO Chi è questa pellegrina?
EUGENIO Una donna civile e onorata.
DON MARZIO (da sé) (Sì, sì, l'informerò io di tutto.)
LEANDRO Via, andate a ordinare il pranzo?
EUGENIO Quanti siamo? Noi tre, due donne, che fanno cinque; signor Don Marzio, avete dama?
DON MARZIO Io no.
Sono con voi.
EUGENIO Ridolfo, verrete anche voi a mangiare un boccone con noi?
RIDOLFO Le rendo grazie; io ho da badare alla mia bottega.
EUGENIO Eh via, non vi fate pregare.
RIDOLFO (piano ad Eugenio) Mi pare assai, che abbia tanto cuore.
EUGENIO Che volete voi fare? Giacché ho vinto, voglio godere.
RIDOLFO E poi?
EUGENIO E poi, buona notte; all'avvenire ci pensano gli astrologi.
(entra nella locanda)
RIDOLFO (Pazienza.
Ho gettato via la fatica.) (si ritira)
Scena sedicesima Don Marzio e il Conte Leandro.
DON MARZIO Via, andate a prendere la ballerina.
LEANDRO Quando sarà preparato, la farò venire.
DON MARZIO Sediamo.
Che cosa v'è di nuovo delle cose di mondo?
LEANDRO Io di nuove non me ne diletto.
(siedono)
DON MARZIO Avete saputo che le truppe moscovite sono andate a' quartieri d'inverno?
LEANDRO Hanno fatto bene; la stagione lo richiedeva.
DON MARZIO Signor no, hanno fatto male; non dovevano abbandonare il posto che avevano occupato.
LEANDRO E' vero.
Dovevano soffrire il freddo, per non perdere l'acquistato.
DON MARZIO Signor no; non avevano da arrischiarsi a star lì con il pericolo di morire nel ghiaccio.
LEANDRO Dovevano dunque tirare avanti.
DON MARZIO Signor no.
Oh che bravo intendente di guerra! Marciar nella stagione d'inverno!
LEANDRO Dunque che cosa avevano da fare?
DON MARZIO Lasciate ch'io veda la carta geografica, e poi vi dirò per l'appunto dove avevano da andare.
LEANDRO (Oh che bel pazzo!)
DON MARZIO Siete stato all'Opera?
LEANDRO Signor sì.
DON MARZIO Vi piace?
LEANDRO Assai.
DON MARZIO Siete di cattivo gusto.
LEANDRO Pazienza.
DON MARZIO Di che paese siete?
LEANDRO Di Torino.
DON MARZIO Brutta città.
LEANDRO Anzi passa per una delle belle d'Italia.
DON MARZIO Io son napolitano.
Vedi Napoli e poi muori.
LEANDRO Vi darei la risposta del Veneziano.
DON MARZIO Avete tabacco?
LEANDRO (gli apre la scatola) Eccolo.
DON MARZIO Oh! che cattivo tabacco.
LEANDRO A me piace così.
DON MARZIO Non ve n'intendete.
Il vero tabacco è rapè.
LEANDRO A me piace il tabacco di Spagna.
DON MARZIO Il tabacco di Spagna è una porcheria.
LEANDRO Ed io dico che è il miglior tabacco che si possa prendere.
DON MARZIO Come! A me volete insegnare che cosa è tabacco? Io ne faccio, ne faccio fare, ne compro di qua, ne compro di là.
So quel che è questo, so quel che è quello.
(gridando forte) Rapè, rapè vuol essere, rapè.
LEANDRO (forte ancor esso) Signor sì, rapè, rapè è vero; il miglior tabacco è il rapè.
DON MARZIO Signor no.
Il miglior tabacco non è sempre il rapè.
Bisogna distinguere, non sapete quel che vi dite.
Scena diciassettesima Eugenio ritorna dalla locanda e detti.
EUGENIO Che è questo strepito?
DON MARZIO Di tabacco non la cedo a nessuno.
LEANDRO (ad Eugenio) Come va il desinare?
EUGENIO Sarà presto fatto.
DON MARZIO Viene la pellegrina?
EUGENIO Non vuol venire.
DON MARZIO Via, signor dilettante di tabacco, andate a prendere la vostra signora.
LEANDRO Vado.
(da sé)(Se a tavola fa così gli tiro un tondo nel mostaccio.) (picchia dalla ballerina)
DON MARZIO Non avete le chiavi?
LEANDRO Signor no.
(gli aprono ed entra)
DON MARZIO (ad Eugenio) Avrà quella della porta di dietro.
EUGENIO Mi dispiace che la pellegrina non vuol venire.
DON MARZIO Farà per farsi pregare.
EUGENIO Dice che assolutamente non è più stata in Venezia.
DON MARZIO A me non lo direbbe.
EUGENIO Siete sicuro che sia quella?
DON MARZIO Sicurissimo; e poi, se, poco fa, ho parlato con lei, e mi voleva aprire...
Basta, non sono andato, per non far torto all'amico.
EUGENIO Avete parlato con lei?
DON MARZIO E come!
EUGENIO Vi ha conosciuto?
DON MARZIO E chi non mi conosce? Sono conosciuto più della bettonica.
EUGENIO Dunque fate una cosa.
Andate voi a farla venire.
DON MARZIO Se vi vado io, avrà soggezione.
Fate così: aspettate che sia in tavola; andatela a prendere, e senza dir nulla conducetela su.
EUGENIO Ho fatto quanto ho potuto, e m'ha detto liberamente che non vuol venire.
Scena diciottesima Camerieri di locanda che portano tovaglia, tovaglioli, tondini, posate, vino, pane, bicchieri e pietanze in bottega di Pandolfo, andando e tornando varie volte, poi Leandro, Lisaura e detti.
UN CAMERIERE Signori, la minestra è in tavola.
(va cogli altri in bottega del giuoco)
EUGENIO (a don Marzio) Il Conte dov'è?
DON MARZIO (batte forte alla porta di Lisaura) Animo, presto, la zuppa si fredda.
LEANDRO (dando mano a Lisaura) Eccoci, eccoci.
EUGENIO (a Lisaura) Padrona mia riverita.
DON MARZIO Schiavo suo.
(a Lisaura, guardandola con l'occhialetto)
LISAURA Serva di lor signori.
EUGENIO (a Lisaura) Godo che siamo degni della sua compagnia.
LISAURA Per compiacere il signor Conte.
DON MARZIO E per noi niente.
LISAURA Per lei particolarmente, niente affatto.
DON MARZIO Siamo d'accordo (piano ad Eugenio) (Di questa sorta di roba non mi degno.)
EUGENIO (a Lisaura) Via, andiamo, che la minestra patisce; resti servita.
LISAURA Con sua licenza.
(entra con Leandro nella bottega del giuoco)
DON MARZIO Ehi! che roba! Non ho mai veduta la peggio.
(ad Eugenio, col suo occhialetto, poi entra nella bisca)
EUGENIO Né anche la volpe non voleva le ciliege.
Io per altro mi degnerei.
(entra ancor esso)
Scena diciannovesima Ridolfo dalla bottega.
RIDOLFO Eccolo lì, pazzo più che mai.
A tripudiare con donne, e sua moglie sospira, e sua moglie patisce.
Povera donna! Quanto mi fa compassione.
Scena ventesima Eugenio, Don Marzio, Leandro, e Lisaura negli stanzini della bisca, aprono le tre finestre che sono sopra le tre botteghe, ove sta preparato il pranzo, e si fanno vedere dalle medesime.
Ridolfo in istrada, poi Trappola.
EUGENIO (alla finestra) Oh che bell'aria! Oh che bel sole! Oggi non è niente freddo.
DON MARZIO (ad altra finestra) Pare propriamente di primavera.
LEANDRO (ad altra finestra) Qui almeno si gode la gente, che passa.
LISAURA (vicino a Leandro) Dopo pranzo vedremo le maschere.
EUGENIO A tavola, a tavola.
(siedono, restando Eugenio e Leandro vicini alla finestra)
TRAPPOLA (a Ridolfo) Signor padrone, che cos'è questo strepito?
RIDOLFO Quel pazzo del signor Eugenio col signor Don Marzio, ed il Conte colla ballerina, che pranzano qui sopra nei camerini di messer Pandolfo.
TRAPPOLA (vien fuori e guarda in alto) Oh bella! (verso le finestre) Buon pro a lor signori.
EUGENIO (dalla finestra) Trappola, evviva.
TRAPPOLA Hanno bisogno d'aiuto?
EUGENIO Vôi venire a dar da bere?
TRAPPOLA Darò da bere, se mi daranno da mangiare.
EUGENIO Vieni, vieni che mangerai.
TRAPPOLA (a Ridolfo) Signor padrone, con licenza.
(va per entrare nella bisca, ed un cameriere lo tratti
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