LA BOTTEGA DEL CAFFE', di Carlo Goldoni - pagina 3
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DON MARZIO Io ho saputo tutto.
EUGENIO Come l'avete saputo, caro amico?
DON MARZIO Eh, io so tutto.
Sono informato di tutto.
So quando vi va, quando esce.
So quel che spende, quel che mangia; so tutto.
EUGENIO Il Conte è poi solo?
DON MARZIO Oibò; vi è la porta di dietro.
RIDOLFO (col caffè) Ecco qui il terzo caffè.
(ad Eugenio)
DON MARZIO Ah! che dite, Ridolfo? So tutto io della ballerina?
RIDOLFO Io le ho detto un'altra volta che non me ne intrico.
DON MARZIO Grand'uomo son io, per saper ogni cosa! Chi vuol sapere quel che passa in casa di tutte le virtuose, e di tutte le ballerina, ha da venir da me.
EUGENIO Dunque questa signora ballerina è un capo d'opera?
DON MARZIO L'ho veramente scoperta come va.
E' roba di tutto gusto.
Ah, Ridolfo, lo so io?
RIDOLFO Quando V.
S.
mi chiama in testimonio, bisogna ch'io dica la verità.
Tutta la contrada la tiene per una donna da bene.
DON MARZIO Una donna da bene? una donna da bene?
RIDOLFO Io le dico che in casa sua non vi va nessuno.
DON MARZIO Per la porta di dietro, flusso e riflusso.
EUGENIO E sì ella pare una ragazza più tosto savia.
DON MARZIO Sì savia! Il conte Buonatesta la mantiene.
Poi vi va chi vuole.
EUGENIO Io ho provato qualche volta a dirle delle paroline, e non ho fatto niente.
DON MARZIO Avete un filippo da scommettere? Andiamo.
RIDOLFO (da sé) (Oh che lingua!)
EUGENIO Vengo qui a bever il caffè ogni giorno; e, per dirla, non ho veduto andarvi nessuno.
DON MARZIO Non sapete che ha la porta segreta qui nella strada remota? Vanno per di là.
EUGENIO Sarà così.
DON MARZIO E' senz'altro.
Scena decima Il garzone del barbiere e detti.
GARZONE (a Don Marzio) Illustrissimo, se vuol farsi far la barba, il padrone l'aspetta.
DON MARZIO Vengo.
E' cosi come vi dico.
Vado a farmi la barba, e come torno vi dirò il resto.
(entra dal barbiere, e poi a tempo ritorna)
EUGENIO Che dite, Ridolfo? La ballerina si è tratta fuori.
RIDOLFO Cred'ella al signor Don Marzio? Non sa la lingua ch'egli è?
EUGENIO Lo so, che ha una lingua che taglia e fende.
Ma parla con tanta franchezza, che convien dire che ei sappia quel che dice.
RIDOLFO Osservi, quella è la porta della stradetta.
A star qui la si vede; e giuro da uomo d'onore, che per di là in casa non va nessuno.
EUGENIO Ma il Conte la mantiene?
RIDOLFO Il Conte va per casa, ma si dice che la voglia sposare.
EUGENIO Se fosse cosi, non vi sarebbe male; ma dice il signor Don Marzio, che in casa vi va chi vuole.
RIDOLFO Ed io le dico che non vi va nessuno.
DON MARZIO (esce dal barblere col panno bianco al collo e la saponata sul viso) Vi dico che vanno per la porta di dietro.
GARZONE Illustrissimo, l'acqua si raffredda.
DON MARZIO Per la porta di dietro.
(entra dal barbiere col garzone)
Scena undicesima Eugenio e Ridolfo.
RIDOLFO Vede? E' un uomo di questa fatta.
Colla saponata sul viso...
EUGENIO Sì, quando si è cacciata una cosa in testa vuole che sia in quel modo.
RIDOLFO E dice male di tutti.
EUGENIO Non so come faccia a parlar sempre de' fatti altrui.
RIDOLFO Le dirò: egli ha pochissime facoltà, ha poco da pensare a' fatti suoi, e per questo pensa sempre a quelli degli altri.
EUGENIO Veramente è fortuna il non conoscerlo.
RIDOLFO Caro signor Eugenio, come ha ella fatto a intricarsi con lui? Non aveva altri da domandare dieci zecchini in prestito?
EUGENIO Anche voi lo sapete?
RIDOLFO L'ha detto qui pubblicamente in bottega.
EUGENIO Caro amico, sapete come va: quando uno ha bisogno si attacca a tutto.
RIDOLFO Anche questa mattina, per quel che ho sentito, V.
S.
si è attaccata poco bene.
EUGENIO Credete che messer Pandolfo mi voglia gabbare?
RIDOLFO Vedrà che razza di negozio le verrà a proporre.
EUGENIO Ma che devo fare? Bisogna che io paghi trenta zecchini, che li ho persi sulla parola.
Mi vorrei liberare dal tormento di Don Marzio.
Ho qualche altra premura; se posso vendere due pezze di panno, fo' tutti i fatti miei.
RIDOLFO Che qualità di panno è quello che vorrebbe esitare?
EUGENIO Panno padovano, che vale quattordici lire il braccio.
RIDOLFO Vuol ella che veda io di farglielo vendere con riputazione?
EUGENIO Vi sarei bene obbligato.
RIDOLFO Mi dia un poco di tempo, e lasci operare a me.
EUGENIO Tempo? Volentieri.
Ma quello aspetta i trenta zecchini.
RIDOLFO Venga qui, favorisca, mi faccia un ordine, che mi sieno consegnate due pezze di panno, ed io medesimo le presterò i trenta zecchini.
EUGENIO Sì, caro, vi sarò obbligato.
Saprò le mie obbligazioni.
RIDOLFO Mi maraviglio, non pretendo nemmeno un soldo.
Lo farò per le obbligazioni ch'io ho colla buona memoria del suo signor padre, che è stato mio buon padrone, e dal quale riconosco la mia fortuna.
Non ho cuor di vederla assassinare da questi cani.
EUGENIO Voi siete un gran galantuomo.
RIDOLFO Favorisca di stender l'ordine in carta.
EUGENIO Son qui; dettatelo voi, ch'io scriverò.
RIDOLFO Che nome ha il primo giovane del suo negozio?
EUGENIO Pasquino de' Cavoli.
RIDOLFO (detta, ed Eugenio scrive) Pasquino de' Cavoli...
consegnerete a Messer Ridolfo Gamboni...
pezze due panno padovano...
a sua elezione, acciò egli ne faccia esito per conto mio...
avendomi prestato gratuitamente...
zecchini trenta. Vi metta la data e si sottoscriva.
EUGENIO Ecco fatto.
RIDOLFO Si fida ella di me?
EUGENIO Capperi! Non volete?
RIDOLFO Ed io mi fido di lei.
Tenga, questi sono trenta zecchini.
(gli numera trenta zecchini)
EUGENIO Caro amico, vi sono obbligato.
RIDOLFO Signor Eugenio, glieli do, acciò possa comparire puntuale e onorato; le venderò il panno io, acciò non le venga mangiato, e vado subito senza perder tempo: ma la mi permetta che faccia con lei un piccolo sfogo d'amore, per l'antica servitù che le professo.
Questa che V.
S.
tiene, è la vera strada di andare in rovina.
Presto presto si perde il credito e si fallisce.
Lasci andare il giuoco, lasci le male pratiche, attenda al suo negozio, alla sua famiglia, e si regoli con giudizio.
Poche parole, ma buone, dette da un uomo ordinario, ma di buon cuore; se le ascolterà, sarà meglio per lei.
(parte)
Scena dodicesima Eugenio solo, poi Lisaura alla finestra.
EUGENIO Non dice male; confesso che non dice male.
Mia moglie, povera disgraziata, che mai dirà? Questa notte non mi ha veduto; quanti lunari ella avrà fatti? Già le donne, quando non vedono il marito in casa, pensano cento cose una peggio dell'altra.
Avrà pensato, o che io fossi con altre donne, o che fossi caduto in qualche canale, o che per i debiti me ne fossi andato.
So che l'amore, ch'ella ha per me, la fa sospirare; le voglio bene ancor io, ma mi piace la mia libertà.
Vedo però, che da questa mia libertà ne ricavo più mal che bene, e che se facessi a modo di mia moglie, le faccende di casa mia andrebbero meglio.
Bisognerà poi risolversi, e metter giudizio.
Oh quante volte ho detto così! (vede Lisaura alla finestra) (Capperi! Grand'aria! Ho paura di si io, che vi sia la porticina col giuocolino) Padrona mia riverita!
LISAURA Serva umilissima!
EUGENIO E' molto, signora, che è alzata dal letto?
LISAURA In questo punto.
EUGENIO Ha bevuto il caffè?
LISAURA E' ancora presto.
Non l'ho bevuto.
EUGENIO Comanda che io la faccia servire?
LISAURA Bene obbligata: non s'incomodi.
EUGENIO Niente, mi maraviglio.
Giovani, portate a quella signora caffè, cioccolata; tutto quel ch'ella vuole, pago io.
LISAURA La ringrazio, la ringrazio.
Il caffè e la cioccolata li faccio in casa.
EUGENIO Avrà della cioccolata buona?
LISAURA Per dirla, è perfetta.
EUGENIO La sa far bene?
LISAURA La mia serva s'ingegna.
EUGENIO Vuole che venga io a darle una frullatina?
LISAURA E' superfluo che s'incomodi.
EUGENIO Verrò a beverla con lei, se mi permette.
LISAURA Non è per lei, signore.
EUGENIO Io mi degno di tutto; apra, via, che staremo un'oretta insieme.
LISAURA Mi perdoni, non apro con questa facilità.
EUGENIO Ehi, dica, vuole che io venga per la porta di dietro?
LISAURA Le persone, che vengono da me, vengono pubblicamente.
EUGENIO Apra, via, non facciamo scene.
LISAURA Dica in grazia, signor Eugenio: ha veduto ella il conte Leandro?
EUGENIO Così non lo avessi veduto.
LISAURA Hanno forse giuocato insieme la scorsa notte?
EUGENIO Pur troppo; ma che serve, che stiamo qui a far sentire a tutti i fatti nostri? Apra, che le dirò ogni cosa.
LISAURA Vi dico, signore, che io non apro a nessuno.
EUGENIO Ha forse bisogno che il signor Conte le dia licenza? Lo chiamerò.
LISAURA Se cerco del signor Conte, ho ragione di farlo.
EUGENIO Ora la servo subito.
E' qui in bottega, che dorme.
LISAURA Se dorme, lasciatelo dormire.
Scena tredicesima Leandro dalla bottega del giuoco e detti.
LEANDRO Non dormo, no, non dormo.
Son qui che godo la bella disinvoltura del signor Eugenio.
EUGENIO Che ne dite dell'indiscretezza di questa signora? Non mi vuole aprire la porta.
LEANDRO Chi vi credete ch'ella sia?
EUGENIO Per quel che dice Don Marzio, flusso e riflusso.
LEANDRO Mente don Marzio, e chi lo crede.
EUGENIO Bene.
Non sarà così; ma col vostro mezzo non potrei io aver la grazia di riverirla?
LEANDRO Fareste meglio a darmi i miei trenta zecchini.
EUGENIO I trenta zecchini ve li darò.
Quando si perde sulla parola, vi è tempo a pagare ventiquattr'ore.
LEANDRO Vedete, signora Lisaura? Questi sono quei gran soggetti, che si piccano d'onoratezza.
Non ha un soldo, e pretende di fare il grazioso.
EUGENIO I giovani della mia sorta, signor Conte caro, non sono capaci di mettersi in un impegno senza fondamento di comparir con onore.
S'ella mi avesse aperto, non avrebbe perduto il suo tempo, e voi non sareste restato al di sotto coi vostri incerti.
Questi sono danari, questi sono trenta zecchini, e queste facce quando non ne hanno, ne trovano.
Tenete i vostri trenta zecchini, e imparate a parlare coi galantuomini della mia sorta.
(va a sedere in bottega del caffè)
LEANDRO (da sé) (Mi ha pagato, dica che che vuole, che non m'importa.) (a Lisaura) Aprite!
LISAURA Dove siete stato tutta questa notte?
LEANDRO Aprite!
LISAURA Andate al diavolo!
LEANDRO Aprite! (versa gli zecchini nel Cappello, acciò Lisaura gli veda.)
LISAURA Per questa volta vi apro.
(si ritira ed apre)
LEANDRO Mi fa grazia, mediante la raccomandazione di queste belle monete.
(entra in casa)
EUGENIO Egli sì, ed io no? Non sono chi sono, se non gliela faccio vedere.
Scena quattordicesima Placida da Pellegrino ed Eugenio.
PLACIDA Un poco di carità alla povera pellegrina.
EUGENIO (da sé) (Ecco qui; corre la moda delle pellegrine.)
PLACIDA (ad Eugenio) Signore, per amor del cielo, mi dia qualche cosa.
EUGENIO Che vuol dir questo, signora pellegrina? Si va cosi per divertimento o per pretesto?
PLACIDA Né per l'un, né per l'altro.
EUGENIO Dunque per qual causa si gira il mondo?
PLACIDA Per bisogno.
EUGENIO Bisogno, di che?
PLACIDA Di tutto.
EUGENIO Anche di compagnia.
PLACIDA Di questa non avrei bisogno, se mio marito non mi avesse abbandonata.
EUGENIO La solita canzonetta.
Mio marito mi ha abbandonata.
Di che paese siete, signora?
PIACIDA Piemontese.
EUGENIO E vostro marito?
PLACIDA Piemontese egli pure.
EUGENIO Che facev'egli al suo paese?
PLACIDA Era scritturale d'un mercante.
EUGENIO E perché se n'è andato via?
PLACIDA Per poca volonta di far bene.
EUGENIO Questa è una malattia che l'ho provata anch'io, e non sono ancora guarito.
PLACIDA Signore, aiutatemi per carità.
Sono arrivata in questo punto a Venezia.
Non so dove andare, non conosco nessuno, non ho danari, son disperata.
EUGENIO Che cosa siete venuta a fare a Venezia?
PLACIDA A vedere se trovo quel disgraziato di mio marito.
EUGENIO Come si chiama?
PLACIDA Flaminio Ardenti.
EUGENIO Non ho mai sentito un tal nome.
PLACIDA Ho timore che il nome se lo sia cambiato.
EUGENIO Girando per la città, può darsi che, se vi è, lo troviate.
PLACIDA Se mi vedrà, fuggirà.
EUGENIO Dovreste far cosi.
Siamo ora di carnovale, dovreste mascherarvi, e così più facilmente lo trovereste.
PLACIDA Ma come posso farlo, se non ho alcuno che mi assista? Non so nemmeno dove alloggiare.
EUGENIO (da sé) (Ho inteso, or ora vado in pellegrinaggio ancor io).
Se volete, questa è una buona locanda.
PLACIDA Con che coraggio ho da presentarmi alla locanda, se non ho nemmeno da pagare il dormire?
EUGENIO Cara pellegrina, se volete un mezzo ducato, ve lo posso dare.
(da sé) (Tutto quello che mi è avanzato dal giuoco.)
PLACIDA Ringrazio la vostra pietà.
Ma più del mezzo ducato, più di qual si sia moneta, mi sarebbe cara la vostra protezione.
EUGENIO (da sé) (Non vuole il mezzo ducato; vuole qualche cosa di più.)
Scena quindicesima Don Marzio dal barbiere e detti.
DON MARZIO (da sé) (Eugenio con una pellegrina! Sarà qualche cosa di buono!) (siede al caffè, guardando la pellegrina coll'occhialetto)
PLACIDA Fatemi la carità; introducetemi voi alla locanda.
Raccomandatemi al padrone di essa, acciò, vedendomi così sola, non mi scacci, o non mi maltratti.
EUGENIO Volentieri.
Andiamo, che vi accompagnerò.
Il locandiere mi conosce, e a riguardo mio, spero che vi userà tutte le cortesie che potrà.
DON MARZIO (da sé) (Mi pare d'averla veduta altre volte).
(guarda di lontano coll'occhialetto)
PLACIDA Vi sarò eternamente obbligata.
EUGENIO Quando posso, faccio del bene a tutti.
Se non ritroverete vostro marito, vi assisterò io.
Sono di buon cuore.
DON MARZIO (da sé) (Pagherei qualche cosa di bello a sentir cosa dicono.)
PLACIDA Caro signore, voi mi consolate colle vostre cortesissime esibizioni.
Ma la carità d'un giovane, come voi, ad una donna, che non è ancor vecchia, non vorrei che venisse sinistramente interpretata.
EUGENIO Vi dirò, signora: se in tutti i casi si avesse questo riguardo, si verrebbe a levare agli uomini la libertà di fare delle opere di pietà.
Se la mormorazione è fondata sopra un'apparenza di male, si minora la colpa del mormoratore; ma se la gente cattiva prende motivo di sospettare da un'azione buona o indifferente, tutta la colpa è sua, e non si leva il merito a chi opera bene.
Confesso d'esser anch'io uomo di mondo; ma mi picco insieme d'esser un uomo civile, ed onorato.
PLACIDA Sentimenti d'animo onesto, nobile, e generoso.
DON MARZIO (ad Eugenio) Amico, chi è questa bella pellegrina?
EUGENIO (da sé) (Eccolo qui; vuol dar di naso in tutto).
(a Placida) Andiamo in locanda.
PLACIDA Vi seguo.
(entra in locanda con Eugenio)
Scena sedicesima Don Marzio, poi Eugenio dalla locanda.
DON MARZIO Oh, che caro signor Eugenio! Egli applica a tutto, anche alla pellegrina.
Colei mi pare certamente sia quella dell'anno passato.
Scommetterei che è quella che veniva ogni sera al caffè a domandar l'elemosina.
Ma io però non glie ne ho mai dati, veh! I miei danari, che sono pochi, li voglio spender bene.
Ragazzi, non è ancora tornato Trappola? Non ha riportati gli orecchini, che mi ha dati in pegno per dieci zecchini il signor Eugenio?
EUGENIO Che cosa dice de' fatti miei?
DON MARZIO Bravo, colla pellegrina!
EUGENIO Non si può assistere una povera creatura, che si ritrova in bisogno?
DON MARZIO Sì, anzi fate bene.
Povera diavola! Dall'anno passato in qua, non ha trovato nessuno che la ricoveri?
EUGENIO Come dall'anno passato! La conoscete quella pellegrina?
DON MARZIO Se la conosco? E come! E' vero che ho corta vista, ma la memoria mi serve.
EUGENIO Caro amico, ditemi chi ella è.
DON MARZIO E' una, che veniva l'anno passato a questo caffè ogni sera, a frecciare questo e quello.
EUGENIO Se ella dice che non è mai più stata in Venezia?
DON MARZIO E voi glielo credete? Povero gonzo!
EUGENIO Quella dell'anno passato di che paese era?
DON MARZIO Milanese.
EUGENIO E questa è piemontese.
DON MARZIO Oh sì, è vero; era di Piemonte.
EUGENIO E' moglie d'un certo Flaminio Ardenti.
DON MARZIO Anche l'anno passato aveva con lei uno, che passava per suo marito.
EUGENIO Ora non ha nessuno.
DON MARZIO La vita di costoro; ne mutano uno al mese.
EUGENIO Ma come potete dire che sia quella?
DON MARZIO Se la riconosco!
EUGENIO L'avete ben veduta?
DON MARZIO Il mio occhialetto non isbaglia; e poi l'ho sentita parlare.
EUGENIO Che nome aveva quella dell'anno passato?
DON MARZIO Il nome poi non mi sovviene.
EUGENIO Questa ha nome Placida.
DON MARZIO Appunto; aveva nome Placida.
EUGENIO Se fossi sicuro di questo, vorrei ben dirle quello che ella si merita.
DON MARZIO Quando dico una cosa io, la potete credere.
Colei è una pellegrina, che invece d'essere alloggiata, cerca di alloggiare.
EUGENIO Aspettate, che ora torno.
(Voglio sapere la verità.) (entra in locanda)
Scena diciassettesima Don Marzio, poi Vittoria mascherata.
DON MARZIO Non può essere altro, che quella assolutamente; l'aria, la statura, anche l'abito mi par quello.
Non l'ho veduta bene nel viso, ma è quella senz'altro; e poi quando mi ha veduto, subito si è nascosta nella locanda.
VITTORIA Signor Don Marzio, la riverisco.
(si smaschera)
DON MARZIO Oh signora mascheretta, vi sono schiavo.
VITTORIA A sorte, avreste voi veduto mio marito?
DON MARZIO Sì, signora, l'ho veduto.
VITTORIA Mi sapreste dire dove presentemente egli sia?
DON MARZIO Lo so benissimo.
VITTORIA Vi supplico dirmelo per cortesia.
DON MARZIO Sentite.
(la tira in disparte) E' qui in questa locanda con un pezzo di pellegrina, ma co' fiocchi.
VITTORIA Da quando in qua?
DON MARZIO Or ora, in questo punto, è capitata qui una pellegrina; l'ha veduta, gli è piaciuta, ed è entrato subitamente nella locanda.
VITTORIA Uomo senza giudizio! Vuol perdere affatto la riputazione.
DON MARZIO Questa notte l'avrete aspettato un bel pezzo.
VITTORIA Dubitava gli fosse accaduta qualche disgrazia.
DON MARZIO Chiamate poca disgrazia aver perso cento zecchini in contanti, e trenta sulla parola?
VITTORIA Ha perso tutti questi danari?
DON MARZIO Sì! Ha perso altro! Se giuoca tutto il giorno, e tutta la notte, come un traditore.
VITTORIA (Misera me! Mi sento o strappar il cuore.) (da sé)
DON MARZIO Ora gli converrà vendere a precipizio quel poco di panno, e poi ha finito.
VITTORIA Spero che non sia in istato di andar in rovina.
DON MARZIO Se ha impegnato tutto!
VITTORIA Mi perdoni; non è vero.
DON MARZIO Lo volete dire a me?
VITTORIA Io l'avrei a saper più di voi.
DON MARZIO Se ha impegnato a me...
Basta.
Son galantuomo, non voglio dir altro.
VITTORIA Vi prego dirmi che cosa ha impegnato.
Può essere che io non lo sappia.
DON MARZIO Andate, che avete un bel marito.
VITTORIA Mi volete dire che cosa ha impegnato?
DON MARZIO Son galantuomo, non vi voglio dir nulla.
Scena diciottesima Trappola colla scatola degli orecchini e detti.
TRAPPOLA Oh, son qui; il gioielliere...
(Uh! che vedo! La moglie del signor Eugenio; non voglio farmi sentire.) (da sé)
DON MARZIO (piano a Trappola) Ebbene, cosa dice il gioielliere?
TRAPPOLA (piano a Don Marzio) Dice che saranno stati pagati più di dieci zecchini, ma che non glieli darebbe.
DON MARZIO (a Trappola) Dunque non sono al coperto?
TRAPPOLA (a Don Marzio) Ho paura di no.
DON MARZIO (a Vittoria) Vedete le belle baronate che fa vostro marito? Egli mi di in pegno questi orecchini per dieci zecchini, e non vagliono nemmeno sei.
VITTORIA Questi sono i miei orecchini.
DON MARZIO Datemi dieci zecchini, e ve li do.
VITTORIA Ne vagliono più di trenta.
DON MARZIO Eh! trenta fichi! Siete d'accordo anche voi.
VITTORIA Teneteli fin a domani, ch'io troverò i dieci zecchini.
DON MARZIO Fin a domani? Oh non mi corbellate.
Voglio andare a farli vedere da tutti i giolellieri di Venezia.
VITTORIA Almeno non dite che sono miei, per la mia riputazione.
DON MARZIO Che importa a me della vostra riputazione! Chi non vuol che si sappia, non faccia pegni.
(parte)
Scena diciannovesima Vittoria e Trappola.
VITTORIA Che uomo indiscreto, incivile! Trappola, dov'è il vostro padrone?
TRAPPOLA Non lo so; vengo ora a bottega.
VITTORIA Mio marito dunque ha giuocato tutta la notte?
TRAPPOLA Dove l'ho lasciato iersera, l'ho ritrovato questa mattina.
VITTORIA Maledettissimo vizio! E ha perso cento e trenta zecchini?
TRAPPOLA Così dicono.
VITTORIA Indegnissimo gioco! E ora se ne sta con una forestiera in divertimenti?
TRAPPOLA Signora sì, sarà con lei.
L'ho veduto varie volte girarle d'intorno; sarà andato in casa.
VITTORIA Mi dicono che questa forestiera sia arrivata poco fa.
TRAPPOLA No signora; sarà un mese che la c'è.
VITTORIA Non è una pellegrina?
TRAPPOLA Oibò pellegrina; ha sbagliato perché finisce in ina; è una ballerina.
VITTORIA E sta qui alla locanda!
TRAPPOLA Signora no, sta qui in questa casa.
(accennando la casa)
VITTORIA Qui? Se mi ha detto il signor Don Marzio, ch'egli ritrovasi in quella locanda con una pellegrina.
TRAPPOLA Buono! Anche una pellegrina?
VITTORIA Oltre la pellegrina vi è anche la ballerina? Una di qua, e una di là?
TRAPPOLA Sì, signora; farà per navigar col vento sempre in poppa.
Orza, e poggia, secondo soffia la tramontana, o lo scirocco.
VITTORIA E sempre ha da far questa vita? Un uomo di quella sorta, di spirito, di talento, ha da perdere così miseramente il suo tempo, sacrificare le sue sostanze, rovinar la sua casa? Ed io l'ho da soffrire? Ed io mi ho da lasciar maltrattare senza risentirmi? Eh voglio esser buona, ma non balorda; non voglio che il mio tacere faciliti la sua mala condotta.
Parlerò, dirò le mie ragioni; e se le parole non bastano, ricorrerò alla giustizia.
TRAPPOLA E' vero, è vero.
Eccolo, che viene dalla locanda.
VITTORIA Caro amico, lasciatemi sola.
TRAPPOLA Si serva pure, come più le piace.
(entra nell'interno della bottega)
Scena ventesima Vittoria, poi Eugenio dalla locanda.
VITTORIA Voglio accrescere la di lui sorpresa col mascherarmi.
(si maschera)
EUGENIO Io non so quel ch'io m'abbia a dire; questa nega, e quei tien sodo.
Don Marzio so che è una mala lingua.
A queste donne che viaggiano non è da credere.
Mascheretta? A buon'ora! Siete mutola? Volete caffè? Volete niente? Comandate.
VITTORIA Non ho bisogno di caffè, ma di pane.
(si smaschera)
EUGENIO Come! Che cosa fate voi qui?
VITTORIA Eccomi qui strascinata dalla disperazione.
EUGENIO Che novità è questa? A quest'ora in maschera?
VITTORIA Cosa dite eh? Che bel divertimento! A quest'ora in maschera.
EUGENIO Andate subito a casa vostra!
VITTORIA Anderò a casa, e voi resterete al divertimento.
EUGENIO Voi andate a casa, ed io resterò dove mi piacerà di restare.
VITTORIA Bella vita, signor consorte!
EUGENIO Meno ciarle, signora: vada a casa, che farà meglio.
VITTORIA Sì, anderò a casa; ma anderò a casa mia, non a casa vostra.
EUGENIO Dove intendereste d'andare?
VITTORIA Da mio padre; il quale, nauseato dei mali trattamenti che voi mi fate, saprà farsi render ragione del vostro procedere e della mia dote.
EUGENIO Brava, signora, brava.
Questo è il gran bene che mi volete; questa è la premura che avete di me e della mia riputazione.
VITTORIA Ho sempre sentito dire che crudeltà consuma amore.
Ho tanto sofferto, ho tanto pianto, ma ora non posso più.
EUGENIO Finalmente, che cosa vi ho fatto?
VITTORIA Tutta la notte al giuoco!
EUGENIO Chi vi ha detto che io abbia giuocato?
VITTORIA Me l'ha detto il signor Don Marzio, e che avete perduto cento zecchini in contanti, e trenta sulla parola.
EUGENIO Non gli credete, non è vero.
VITTORIA E poi ai divertimenti con la pellegrina.
EUGENIO Chi vi ha detto questo?
VITTORIA Il signor Don Marzio.
EUGENIO (Che tu sia maledetto!) Credetemi, non è vero.
VITTORIA E di più impegnare la roba mia; prendermi un paio di orecchini, senza dirmi niente.
Sono azioni da farsi ad una moglie amorosa, civile e onesta come sono io?
EUGENIO Come avete saputo degli orecchini?
VITTORIA Me l'ha detto il signor Don Marzio.
EUGENIO Ah lingua da tanaglie!
VITTORIA Già dice il signor Don Marzio, e lo diranno tutti, che uno di questi giorni sarete rovinato del tutto; ed io, prima che ciò succeda, voglio assicurarmi della mia dote.
EUGENIO Vittoria, se mi voleste bene, non parlereste così.
VITTORIA Vi voglio bene anche troppo, e se non vi avessi amato tanto, sarebbe stato meglio per me.
EUGENIO Volete andare da vostro padre?
VITTORIA Sì, certamente.
EUGENIO Non volete più star con me?
VITTORIA Vi sarò quando avrete messo giudizio.
EUGENIO (alterato) Oh, signora dottoressa, non mi stia ora a seccare.
VITTORIA Zitto; non facciamo scene per la strada.
EUGENIO Se aveste riputazione non verreste a cimentare vostro marito in una bottega da caffè.
VITTORIA Non dubitate, non ci verrò più.
EUGENIO Animo! via di qua.
VITTORIA Vado, vi obbedisco, perché una moglie onesta deve obbedire anche un marito indiscreto.
Ma forse, forse sospirerete d'avermi quando non mi potrete vedere.
Chiamerete forse per nome la vostra cara consorte, quando ella non sarà più in grado di rispondervi e di aiutarvi.
Non vi potrete dolere dell'amor mio.
Ho fatto quanto far poteva una moglie innamorata di suo marito.
M'avete con ingratitudine corrisposto; pazienza.
Piangerò da voi lontana, ma non saprò così spesso i torti che voi mi fate.
V'amerò sempre, ma non mi vedrete mai più.
(parte)
EUGENIO Povera donna! Mi ha intenerito.
So che lo dice, ma non è capace di farlo; le andrò dietro alla lontana, e la piglierò con le buone.
S'ella mi porta via la dote, son rovinato.
Ma non avra cuore di farlo.
Quando la moglie è in collera, quattro carezze bastano per consolarla.
(parte)
ATTO SECONDO
Scena prima Ridolfo dalla strada, poi Trappola dalla bottega interna.
RIDOLFO Ehi, giovani, dove siete?
TRAPPOLA Son qui, padrone.
RIDOLFO Si lascia la bottega sola, eh?
TRAPPOLA Ero lì coll'occhio attento, e coll'orecchio in veglia.
E poi che volete voi che rubino? Dietro al banco non vien nessuno.
RIDOLFO Possono rubar le chicchere.
So io, che vi è qualcheduno che si fa l'assortimento di chicchere, sgraffignandone una alla volta a danno dei poveri bottegai.
TRAPPOLA Come quelli che vanno dove sono rinfreschi, per farsi provvisione di tazze, e di tondini.
RIDOLFO Il signor Eugenio è andato via?
TRAPPOLA Oh se sapeste! E' venuta sua moglie.
Oh che pianti! Oh che lamenti! Barbaro, traditore, crudele! Un poco amorosa, un poco sdegnata.
Ha fatto tanto che lo ha intenerito.
RIDOLFO E dove è andato?
TRAPPOLA Che domande? Stanotte non è stato a casa.
Sua moglie lo viene a ricercare; e domandate dove è andato?
RIDOLFO Ha lasciato nessun ordine?
TRAPPOLA E' tornato per la porticina di dietro a dirmi che a voi si raccomanda per il negozio de' panni, perché non ne ha uno.
RIDOLFO Le due pezze di panno le ho vendute a tredici lire il braccio, ed ho tirato il denaro, ma non voglio ch'egli lo sappia; non glieli voglio dar tutti, perché se gli ha nelle mani, gli fara saltare in un giorno.
TRAPPOLA Quando sa che li avete, li vorrà subito.
RIDOLFO Non gli dirò d'averli avuti, gli darò il suo bisogno, e mi regolerò con prudenza.
TRAPPOLA Eccolo che viene: Lupus est in fabula.
RIDOLFO Cosa vuol dire questo latino?
TRAPPOLA Vuol dire: il lupo pesta la fava.
(si ritira in bottega sorridendo)
RIDOLFO E' curioso costui.
Vuol parlar latino, e non sa nemmeno parlare italiano.
Scena seconda Ridolfo, ed Eugenio.
EUGENIO Ebbene, amico Ridolfo, avete fatto niente?
RIDOLFO Ho fatto qualche cosa.
EUGENIO So che avete avute le due pezze di panno, il giovine me lo ha detto.
Le avete esitate?
RIDOLFO Le ho esitate.
EUGENIO A quanto?
RIDOLFO A tredici lire il braccio.
EUGENIO Mi contento: danari subito?
RIDOLFO Parte alla mano, e parte col respiro.
EUGENIO Oimè! Quanto alla mano?
RIDOLFO Quaranta zecchini.
EUGENIO Via non vi è male.
Datemeli, che vengono a tempo.
RIDOLFO Ma piano, signor Eugenio: V.
S.
sa pure che le ho prestati trenta zecchini.
EUGENIO Bene, vi pagherete quando verrà il restante del panno.
RIDOLFO Questo, la mi perdoni, non è un sentimento onesto da par suo.
Ella sa come l'ho servita, con prontezza, spontaneamente, senza interesse, e la mi vuol far aspettare? Anch'io, o signore, ho bisogno del mio.
EUGENIO Via, avete ragione.
Compatitemi, avete ragione.
Tenete li trenta zecchini, e date quei dieci a me.
RIDOLFO Con questi dieci zecchini non vuol pagare il signor Don Marzio? Non si vuol levar d'intorno codesto diavolo tormentatore?
EUGENIO Ha il pegno in mano, aspetterà.
RIDOLFO Così poco stima V.
S.
la sua riputazione? Si vuol lasciar malmenare dalla lingua d'un chiacchierone? Da uno che fa servizio a posta per vantarsi d'averlo fatto, e che non ha altro piacere, che mettere in discredito i galantuomini?
EUGENIO Dite bene, bisogna pagarlo.
Ma ho io da restar senza danari? Quanto respiro avete accordato al compratore?
RIDOLFO Di quanto avrebbe bisogno?
EUGENIO Che so io? Dieci, o dodici zecchini.
RIDOLFO Servita subito; questi sono dieci zecchini, e quando viene il signor Don Marzio, io ricupererò gli orecchini.
EUGENIO Questi dieci zecchini che mi date, di qual ragione s'intende che sieno?
RIDOLFO Li tenga, e non pensi altro.
A suo tempo conteggeremo.
EUGENIO Ma quando tireremo il resto del panno?
RIDOLFO La non ci pensi.
Spenda quelli, e poi qualche cosa sarà; ma badi bene di spenderli a dovere, di non gettarli.
EUGENIO Sì, amico, vi sono obbligato.
Ricordatevi nel conto del panno tenervi la vostra senseria.
RIDOLFO Mi maraviglio; fo il caffettiere, e non fo il sensale.
Se m'incomodo per un padrone, per un amico, non pretendo di farlo per interesse.
Ogni uomo è in obbligo di aiutare l'altro quando può, ed io principalmente ho obbligo di farlo con V.
S.
per gratitudine del bene che ho ricevuto dal suo signor padre.
Mi chiamerò bastantemente ricompensato, se di questi danari, che onoratamente le ho procurati, se ne servirà per profitto della sua casa, per risarcire il suo decoro e la sua estimazione.
EUGENIO Voi siete un uomo molto proprio e civile; è peccato che facciate questo mestiere; meritereste miglior stato e fortuna maggiore.
RIDOLFO Io mi contento di quello che il cielo mi concede, e non cambierei il mio stato con tanti altri, che hanno più apparenza e meno sostanza.
A me nel mio grado non manca niente.
Fo un mestiere onorato, un mestiere nell'ordine degli artigiani pulito, decoroso e civile.
Un mestiere che, esercitato con buona maniera e con riputazione, si rende grato a tutti gli ordini delle persone.
Un mestiere reso necessario al decoro delle città, alla salute degli uomini e all'onesto divertimento di chi ha bisogno di respirare.
(entra in bottega)
EUGENIO Costui è un uomo di garbo; non vorrei però che qualcheduno dicesse che è troppo dottore.
In fatti per un caffettiere pare che dica troppo; ma in tutte le professioni ci sono degli uomini di talento e di probità.
Finalmente non parla nè di filosofia, nè di matematica: parla da uomo di buon giudizio; e volesse il cielo che io ne avessi tanto, quanto egli ne ha.
Scena terza Conte Leandro di casa di Lisaura ed Eugenio.
LEANDRO Signor Eugenio, questi sono i vostri denari; eccoli qui tutti in questa borsa; se volete che ve gli renda, andiamo.
EUGENIO Son troppo sfortunato, non giuoco più.
LEANDRO Dice il proverbio: una volta corre il cane, e l'altra la lepre.
EUGENIO Ma io sono sempre la lepre, e voi sempre il cane.
LEANDRO Ho un sonno che non ci vedo.
Son sicuro di non poter tenere le carte in mano; eppure per questo maledetto vizio non m'importa di perdere, purché giuochi.
EUGENIO Anch'io ho sonno.
Oggi non giuoco certo.
LEANDRO Se non avete denari, non m'importa, io vi credo.
EUGENIO Credete, che sia senza denari? Questi sono zecchini; ma non voglio giuocare.
(mostra la borsa con i dieci zecchini)
LEANDRO Giuochiamo almeno una cioccolata.
EUGENIO Non ne ho volontà.
LEANDRO Una cioccolata per servizio.
EUGENIO Ma se vi dico...
LEANDRO Una cioccolata sola, e chi parla di giuocar di più perda un ducato.
EUGENIO Via, per una cioccolata, andiamo.
(da sé) (Già.
Ridolfo non mi vede.)
LEANDRO (Il merlotto è nella rete.) (entra con Eugenio nella bottega del giuoco)
Scena quarta Don Marzio, poi Ridolfo dalla bottega.
DON MARZIO Tutti gli orefici gioiellieri mi dicono che non vagliono dieci zecchini.
Tutti si maravigliano che Eugenio m'abbia gabbato.
Non si può far servizio: non do più, più un soldo a nessuno, se lo vedessi crepare.
Dove diavolo sarà costui? Si sarà nascosto per non pagarmi.
RIDOLFO Signore, ha ella gli orecchini del signor Eugenio?
DON MARZIO Eccoli qui; questi belli orecchini non vagliono un corno; mi ha trappolato.
Briccone! si è ritirato per non pagarmi; è fallito, è fallito.
RIDOLFO Prenda, signore, e non faccia altro fracasso; questi sono dieci zecchini, favorisca darmi i pendenti.
DON MARZIO Sono di peso? (osserva coll'occhialetto)
RIDOLFO Glieli mantengo di peso e se calano son qua io.
DON MARZIO Li mettete fuori voi?
RIDOLFO Io non c'entro: questi sono denari del signor Eugenio.
DON MARZIO Come ha fatto a trovare questi denari?
RIDOLFO Io non so i fatti suoi.
DON MARZIO Gli ha vinti al giuoco?
RIDOLFO Le dico che non lo so.
DON MARZIO Ah, ora che ci penso, avrà venduto il panno.
Sì, sì, ha venduto il panno; gliel'ha fatto vender messer Pandolfo.
RIDOLFO Sia come esser si voglia, prenda i denari, e favorisca rendere a me gli orecchini.
DON MARZIO Ve gli ha dati da sé il signor Eugenio, o ve gli ha dati Pandolfo?
RIDOLFO Oh l'è lunga! Gli vuole, o non gli vuole?
DON MARZIO Date qua, date qua.
Povero panno! L'avrà precipitato.
RIDOLFO Mi dà gli orecchini?
DON MARZIO Gli avete a portar a lui?
RIDOLFO A lui.
DON MARZIO A lui, o a sua moglie?
RIDOLFO (con impazienza) O a lui, o a sua moglie.
DON MARZIO Egli dov'è?
RIDOLFO Non lo so.
DON MARZIO Dunque gli porterete a sua moglie?
RIDOLFO Gli porterò a sua moglie.
DON MARZIO Voglio venire anch'io.
RIDOLFO Gli dia a me, e non pensi altro.
Sono un galantuomo.
DON MARZIO Andiamo, andiamo, portiamoli a sua moglie.
(s'incammina)
RIDOLFO So andarvi senza di lei.
DON MARZIO Voglio farle questa finezza.
Andiamo, andiamo.(parte)
RIDOLFO Quando vuole una cosa, non vi è rimedio.
Giovani badate alla bottega.
(lo segue)
Scena quinta Garzoni in bottega, Eugenio dalla biscazza.
EUGENIO Maledetta fortuna! Gli ho persi tutti.
Per una cioccolata ho perso dieci zecchini.
Ma l'azione che mi ha fatto mi dispiace più della perdita.
Tirarmi sotto, vincermi tutti i denari, e poi non volermi credere sulla parola? Ora sì, che son punto; ora sì, che darei dentro a giuocare sino a domani.
Dica Ridolfo quel che sa dire; bisogna che mi dia degli altri denari.
Giovani, dov'è il padrone?
GARZONI E' andato via in questo punto.
EUGENIO Dov'è andato?
GARZONI Non lo so, signore.
EUGENIO Maledetto Ridolfo! Dove diavolo sarà andato? (alla porta della bisca) Signor Conte, aspettatemi, che or ora torno.
(in atto di partire) Voglio veder se trovo questo diavolo di Ridolfo.
Scena sesta Pandolfo dalla strada e detto.>
PANDOLFO Dove, dove, signor Eugenio, così riscaldato?
EUGENIO Avete veduto Ridolfo?
PANDOLFO Io no.
EUGENIO Avete fatto niente del panno?
PANDOLFO Signor sì, ho fatto.
EUGENIO Via bravo, che avete fatto?
PANDOLFO Ho ritrovato il compratore del panno; ma con che fatica! L'ho fatto vedere da più di dieci, e tutti lo stimano poco.
EUGENIO Questo compratore, quanto vuol dare?
PANDOLFO A forza di parole l'ho tirato a darmi otto lire al braccio.
EUGENIO Che diavolo dite? Otto lire il braccio? Ridolfo me ne ha fatto vendere due pezze a tredici lire.
PANDOLFO Denari subito?
EUGENIO Parte subito, e il resto con respiro.
PANDOLFO Oh che buon negozio! Col respiro! Io vi fo dare tutti i denari uno sopra l'altro.
Tante braccia di panno, tanti bei ducati d'argento veneziani.
EUGENIO (da sé) (Ridolfo non si vede! Vorrei denari; son punto.)
PANDOLFO Se avessi voluto vendere il panno a credenza, l'avrei venduto anche sedici lire.
Ma col denaro alla mano, al di d'oggi, quando si possono pigliare, si pigliano.
EUGENIO Ma se costa a me dieci lire?
PANDOLFO Cosa importa perder due lire al braccio nel panno, se avete i quattrini per fare i fatti vostri, e da potervi risca
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