LA BOTTEGA DEL CAFFE', di Carlo Goldoni - pagina 2
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DON MARZIO Sarà in casa a carezzare la moglie.
Che uomo effeminato! Sempre moglie! Non si lascia più vedere, si fa ridicolo.
E' un uomo di stucco.
Non sa quel che si faccia.
Sempre moglie! sempre moglie! (bevendo il caffè)
RIDOLFO Altro che moglie! E' stato tutta la notte a giuocare qui da messer Pandolfo.
DON MARZIO Se lo dico io.
Sempre giuoco.
Sempre giuoco! (da la chicchera e s'alza)
RIDOLFO (Sempre giuoco; sempre moglie;sempre il diavolo, che se lo porti!) (da sé)
DON MARZIO E' venuto da me l'altro giorno con tutta segretezza a pregarmi che gli prestassi dieci zecchini sopra un paio di orecchini di sua moglie.
RIDOLFO Vede bene; tutti gli uomini sono soggetti ad avere qualche volta bisogno; ma non tutti hanno piacere poi che si sappia, e per questo sarà venuto da lei, sicuro che non dirà niente a nessuno.
DON MARZIO Oh io non parlo.
Fo volentieri servizio a tutti, e non me ne vanto.
(mostra gli orecchini in una custodia) Eccoli qui; questi sono gli orecchini sua moglie.
Gli ho prestato dieci zecchini; vi pare che io sia coperto?
RIDOLFO Io non me ne intendo, ma mi par di sì.
DON MARZIO Avete il vostro garzone?
RIDOLFO Ci sarà.
DON MARZIO Chiamatelo.
Ehi, Trappola.
Scena quarta Trappola dall'interno della bottega, detti.
TRAPPOLA Eccomi.
DON MARZIO Vieni qui.
Va dal gioielliere qui vicino, fagli vedere questi orecchini, che sono della moglie del signor Eugenio, e dimandagli da parte mia, se io sono al coperto di dieci zecchini, che gli ho prestati.
TRAPPOLA Sarà servita.
Dunque questi orecchini sono della moglie del signor Eugenio?
DON MARZIO Sì, or ora non ha più niente; è morto di fame.
RIDOLFO (Meschino, in che mani è capitato!) (da sé)
TRAPPOLA E al signor Eugenio non importa niente di far sapere i fatti suoi a tutti?
DON MARZIO Io sono una persona, alla quale si può confidare un segreto.
TRAPPOLA Ed io sono una persona, alla quale non si può confidar niente.
DON MARZIO Perché?
TRAPPOLA Perché ho un vizio, che ridico tutto con facilità.
DON MARZIO Male malissimo; se farai così perderai il credito, e nessuno si fiderà di te.
TRAPPOLA Ma come ella l'ha detto a me, così io posso dirlo ad un altro.
DON MARZIO Va a vedere se il barbiere è a tempo per farmi la barba.
TRAPPOLA La servo (da sé) (per dieci quattrini vuole bere il caffè, e vuole un servitore a suo comando.) (entra dal barbiere)
DON MARZIO Ditemi, Ridolfo: che cosa fa quella ballerina qui vicina?
RIDOLFO In verità non so niente.
DON MARZIO Mi è stato detto che il conte Leandro la tiene sotto la sua tutela.
RIDOLFO Con grazia, signore, il caffè vuol bollire.
(da sé) (Voglio badare a' fatti miei.) (entra in bottega)
Scena quinta Trappola e Don Marzio.
TRAPPOLA Il barbiere ha uno sotto; subito che avrà finito di scorticar quello, servirà V.
S.
illustrissima.
DON MARZIO Dimmi: sai niente tu di quella ballerina che sta qui vicino?
TRAPPOLA Della signora Lisaura?
DON MARZIO Sì.
TRAPPOLA So, e non so.
DON MARZIO Raccontami qualche cosa.
TRAPPOLA Se racconterò i fatti degli altri, perderò il credito, e nessun si fiderà più di me.
DON MARZIO A me lo puoi dire.
Sai chi sono, io non parlo.
Il conte Leandro la pratica?
TRAPPOLA Alle sue ore la pratica.
DON MARZIO Che vuol dire alle sue ore?
TRAPPOLA Vuol dire, quando non è in caso di dar soggezione.
DON MARZIO Bravo; ora capisco.
E' un amico di buon cuore, che non vuole recarle pregiudizio.
TRAPPOLA Anzi desidera che la si profitti per far partecipe anche lui delle sue care grazie.
DON MARZIO Meglio! Oh che Trappola malizioso! Va via, va a far vedere gli orecchini.
TRAPPOLA Al gioielliere lo posso dire che sono della moglie del signor Eugenio?
DON MARZIO Sì, diglielo pure.
TRAPPOLA (da sé) (Fra il signor Don Marzio, ed io, formiamo
una bellissima segreteria.) (parte)
Scena sesta Don Marzio, poi Ridolfo.
DON MARZIO Ridolfo.
RIDOLFO Signore.
DON MARZIO Se voi non sapete niente della ballerina, vi racconterò io.
RIDOLFO Io, per dirgliela, dei fatti degli altri non me ne curo molto.
DON MARZIO Ma sta bene saper qualche cosa per potersi regolare.
Ella è protetta da quella buona pezza del conte Leandro, ed egli, dai profitti della ballerina ricava il prezzo della sua protezione.
Invece di spendere, mangia tutto a quella povera diavola; e per cagione di lui forse è costretta a fare quello che non farebbe.
Oh che briccone!
RIDOLFO Ma, io son qui tutto il giorno, e posso attestare che in casa sua non vedo andare altri, che il conte Leandro.
DON MARZIO Ha la porta di dietro; pazzo, pazzo! Sempre flusso e riflusso.
Ha la porta di dietro, pazzo!
RIDOLFO Io bado alla mia bottega, s'ella ha la porta di dietro, che importa a me? Io non vado a dar di naso a nessuno.
DON MARZIO Bestia! Così parli con un par mio? (s'alza)
RIDOLFO Le domando perdono, non si può dire una facezia?
DON MARZIO Dammi un bicchier di rosolio.
RIDOLFO (da sé) (Questa barzelletta mi costerà due soldi.) (fa cenno ai giovani, che dieno il rosolio)
DON MARZIO (Oh questa poi della ballerina voglio che tutti la sappiano.) (da sé)
RIDOLFO Servita del rosolio.
DON MARZIO Flusso e riflusso per la porta di dietro.
(bevendo il rosolio)
RIDOLFO Ella starà male quando ha il flusso e riflusso per la porta di dietro.
Scena settima Eugenio dalla bottega del giuoco, vestito da notte e stralunato, guardando il cielo, e battendo i piedi; e detti.
DON MARZIO Schiavo, signor Eugenio.
EUGENIO Che ora è?
DON MARZIO Sedici ore sonate.
RIDOLFO E il suo orologio va bene.
EUGENIO Caffè!
RIDOLFO La servo, subito.
(va in bottega)
DON MARZIO Amico, com'è andata?
EUGENIO Caffè! (non abbadando a Don Marzio)
RIDOLFO Subito.
(di lontano)
DON MARZIO Avete perso? (ad Eugenio)
EUGENIO Caffè.
(gridando forte)
DON MARZIO (Ho inteso, gli ha persi tutti.) (da sé, va a sedere)
Scena ottava Pandolfo dalla bottega del giuoco, e detti.
PANDOLFO Signor Eugenio, una parola.
(lo tira in disparte)
EUGENIO So quel che volete dirmi.
Ho perso trenta zecchini sulla parola.
Son, galantuomo, li pagherò.
PANDOLFO Ma il signor Conte è là, che aspetta.
Dice che ha esposto al pericolo i suoi denari, e vuol essere pagato.
DON MARZIO (Quanto pagherei a sentire che cosa dicono.) (da sé)
RIDOLFO (ad Eugenio) Ecco il caffè.
EUGENIO (a Ridolfo) Andate via.
(a Pandolfo) Ha vinti cento zecchini in contanti; mi pare che non abbia gettato via la notte.
PANDOLFO Queste non sono parole da giuocatore; V.
S.
sa meglio di me come va l'ordine in materia di giuoco.
RIDOLFO (ad Eugenio) Signore, il caffè si raffredda.
EUGENIO (a Ridolfo) Lasciatemi stare.
RIDOLFO Se non lo voleva...
EUGENIO Andate via.
RIDOLFO Lo beverò io (si ritira col caffè)
DON MARZIO (a Ridolfo, che non gli risponde) (Che cosa dicono?)
EUGENIO (a Pandolfo) So ancor io, che quando si perde, si paga ma quando non ve n'è, non si può pagare.
PANDOLFO Sentite, per salvare la vostra riputazione, son uomo capace di ritrovare trenta zecchini.
EUGENIO Oh bravo! (chiama forte) Caffè!
RIDOLFO (ad Eugenio) Ora bisogna farlo.
EUGENIO Sono tre ore che domando caffè, e ancora non l'avete fatto?
RIDOLFO L'ho portato, ed ella mi ha cacciato via.
PANDOLFO Gliel'ordini con premura, che lo farà da suo pari.
EUGENIO (a Ridolfo) Ditemi, vi dà l'animo di darmi un caffè ma buono? Via, da bravo.
RIDOLFO Quando mi dia tempo, la servo.
(va in bottega)
DON MARZIO (da sé) (Qualche grand'affare.
Sono curioso di saperlo.)
EUGENIO Animo, Pandolfo, trovatemi questi trenta zecchini.
PANDOLFO Io ho un amico, che gli darà; ma pegno, e regalo.
EUGENIO Non mi parlate di pegno, che non facciamo niente.
Ho que' panni a Rialto, che voi sapete; obbligherò que' panni, e quando li venderò pagherò
DON MARZIO (da sé) (Pagherò.
Ha detto pagherò.
Ha perso sulla parola.)
PANDOLFO Bene: che cosa vuol dar di regalo?
EUGENIO Fate voi quel che credete a proposito.
PANDOLFO Senta; non vi vorrà meno di un zecchino alla settimana.
EUGENIO Un zecchino di usura alla settimana?
RIDOLFO (col caffè, ad Eugenio) Servita del caffè.
EUGENIO (a Ridolfo) Andate via.
RIDOLFO La seconda di cambio.
EUGENIO (a Pandolfo) Un zecchino alla settimana?
PANDOLFO Per trenta zecchini è una cosa discreta.
RIDOLFO (ad Eugenio) Lo vuole, o non lo vuole?
EUGENIO (a Ridolfo) Andate via, che ve lo getto in faccia.
RIDOLFO (da sé) (Poveraccio! Il giuoco l'ha ubriacato.) (porta il caffè in bottega)
DON MARZIO (s'alza, e va vicino ad Eugenio) Signor Eugenio, vi è qualche differenza? Volete che l'aggiusti io?
EUGENIO Niente, signor Don Marzio: la prego lasciarmi stare.
DON MARZIO Se avete bisogno, comandate.
EUGENIO Le dico che non mi occorre niente.
DON MARZIO Messer Pandolfo, che avete voi col signor Eugenio?
PANDOLFO Un piccolo affare, che non abbiamo piacere di far sapere a tutto il mondo.
DON MARZIO Io sono amico del signor Eugenio, so tutti i fatti suoi, e sa che non parlo con nessuno.
Gli ho prestati anche dieci zecchini sopra un paio d'orecchini; non è egli vero? e non l'ho detto a nessuno.
EUGENIO Si poteva anche risparmiare di dirlo adesso.
DON MARZIO Eh, qui con messer Pandolfo si può parlate con libertà.
Avete perso sulla parola? Avete bisogno di nulla? Son qui.
EUGENIO Per dirgliela, ho perso sulla parola trenta zecchini.
DON MARZIO Trenta zecchini, e dieci, che ve ne ho dati, sono quaranta, gli orecchini non possono valer tanto,
PANDOLFO Trenta zecchini glieli troverò io.
DON MARZIO Bravo; trovateneglie quaranta; mi darete i miei dieci, e vi darò i suoi orecchini.
EUGENIO (da sé) (Maledetto sia quando mi sono impicciato con costui.)
DON MARZIO (ad Eugenio) Perché non prendere il danaro che vi offerisce il signor Pandolfo?
EUGENIO Perché vuole un zecchino alla settimana.
PANDOLFO Io per me non voglio niente; è l'amico che fa il servizio, che vuole così.
EUGENIO Fate una cosa: parlate col signor Conte, ditegli che mi dia tempo ventiquattr'ore; son galantuomo, lo pagherò.
PANDOLFO Ho paura ch'egli abbia da andar via, e che voglia il danaro subito.
EUGENIO Se potessi vendere una pezza o due di que' panni, mi spiccerei.
PANDOLFO Vuole che veda io di ritrovare il compratore?
EUGENIO Sì, caro amico, fatemi il piacere, che vi pagherò la vostra sensaria.
PANDOLFO Lasci che io dica una parola al signor Conte, e vado subito.
(entra nella bottega del giuoco)
DON MARZIO (ad Eugenio) Avete perso molto?
EUGENIO Cento zecchini, che aveva riscossi ieri, e poi trenta sulla parola.
DON MARZIO Potevate portarmi i dieci, che vi ho prestati.
EUGENIO Via, non mi mortificate più; ve li darò i vostri dieci zecchini.
PANDOLFO (col tabarro e cappello, dalla sua bottega). Il signor Conte si è addormentato colla testa sul tavolino.
Intanto vado a veder di far quel servizio.
Se si risveglia, ho lasciato l'ordine al giovane, che gli dica il bisogno.
V.S.
non si parta di qui.
EUGENIO Vi aspetto in questo luogo medesimo.
PANDOLFO (da sé) Questo tabarro è vecchio; ora è tempo di farmene uno nuovo a ufo.
( parte)
Scena nona Don Marzio ed Eugenio, poi Ridolfo.
DON MARZIO Venite qui, sedete, beviamo il caffè.
EUGENIO Caffè! (siedono)
RIDOLFO A che giuoco giuochiamo, signor Eugenio? Si prende spasso de' fatti miei?
EUGENIO Caro amico, compatite, sono stordito.
RIDOLFO Eh, caro, signor Eugenio, se V.S.
volesse badare a me la non si troverebbe in tal caso.
EUGENIO Non so che dire, avete ragione.
RIDOLFO Vado a farle un altro caffè, e poi la discorreremo.
(si, ritira in bottega)
DON MARZIO Avete saputo della ballerina che pareva non volesse nessuno? Il Conte la mantiene.
EUGENIO Credo di sì, che possa mantenerla, vince i zecchini a centinaia.
DON MARZIO Io ho saputo tutto.
EUGENIO Come l'avete saputo, caro amico?
DON MARZIO Eh, io so tutto.
Sono informato di tutto.
So quando vi va, quando esce.
So quel che spende, quel che mangia; so tutto.
EUGENIO Il Conte è poi solo?
DON MARZIO Oibò; vi è la porta di dietro.
RIDOLFO (col caffè) Ecco qui il terzo caffè.
(ad Eugenio)
DON MARZIO Ah! che dite, Ridolfo? So tutto io della ballerina?
RIDOLFO Io le ho detto un'altra volta che non me ne intrico.
DON MARZIO Grand'uomo son io, per saper ogni cosa! Chi vuol sapere quel che passa in casa di tutte le virtuose, e di tutte le ballerina, ha da venir da me.
EUGENIO Dunque questa signora ballerina è un capo d'opera?
DON MARZIO L'ho veramente scoperta come va.
E' roba di tutto gusto.
Ah, Ridolfo, lo so io?
RIDOLFO Quando V.
S.
mi chiama in testimonio, bisogna ch'io dica la verità.
Tutta la contrada la tiene per una donna da bene.
DON MARZIO Una donna da bene? una donna da bene?
RIDOLFO Io le dico che in casa sua non vi va nessuno.
DON MARZIO Per la porta di dietro, flusso e riflusso.
EUGENIO E sì ella pare una ragazza più tosto savia.
DON MARZIO Sì savia! Il conte Buonatesta la mantiene.
Poi vi va chi vuole.
EUGENIO Io ho provato qualche volta a dirle delle paroline, e non ho fatto niente.
DON MARZIO Avete un filippo da scommettere? Andiamo.
RIDOLFO (da sé) (Oh che lingua!)
EUGENIO Vengo qui a bever il caffè ogni giorno; e, per dirla, non ho veduto andarvi nessuno.
DON MARZIO Non sapete che ha la porta segreta qui nella strada remota? Vanno per di là.
EUGENIO Sarà così.
DON MARZIO E' senz'altro.
Scena decima Il garzone del barbiere e detti.
GARZONE (a Don Marzio) Illustrissimo, se vuol farsi far la barba, il padrone l'aspetta.
DON MARZIO Vengo.
E' cosi come vi dico.
Vado a farmi la barba, e come torno vi dirò il resto.
(entra dal barbiere, e poi a tempo ritorna)
EUGENIO Che dite, Ridolfo? La ballerina si è tratta fuori.
RIDOLFO Cred'ella al signor Don Marzio? Non sa la lingua ch'egli è?
EUGENIO Lo so, che ha una lingua che taglia e fende.
Ma parla con tanta franchezza, che convien dire che ei sappia quel che dice.
RIDOLFO Osservi, quella è la porta della stradetta.
A star qui la si vede; e giuro da uomo d'onore, che per di là in casa non va nessuno.
EUGENIO Ma il Conte la mantiene?
RIDOLFO Il Conte va per casa, ma si dice che la voglia sposare.
EUGENIO Se fosse cosi, non vi sarebbe male; ma dice il signor Don Marzio, che in casa vi va chi vuole.
RIDOLFO Ed io le dico che non vi va nessuno.
DON MARZIO (esce dal barblere col panno bianco al collo e la saponata sul viso) Vi dico che vanno per la porta di dietro.
GARZONE Illustrissimo, l'acqua si raffredda.
DON MARZIO Per la porta di dietro.
(entra dal barbiere col garzone)
Scena undicesima Eugenio e Ridolfo.
RIDOLFO Vede? E' un uomo di questa fatta.
Colla saponata sul viso...
EUGENIO Sì, quando si è cacciata una cosa in testa vuole che sia in quel modo.
RIDOLFO E dice male di tutti.
EUGENIO Non so come faccia a parlar sempre de' fatti altrui.
RIDOLFO Le dirò: egli ha pochissime facoltà, ha poco da pensare a' fatti suoi, e per questo pensa sempre a quelli degli altri.
EUGENIO Veramente è fortuna il non conoscerlo.
RIDOLFO Caro signor Eugenio, come ha ella fatto a intricarsi con lui? Non aveva altri da domandare dieci zecchini in prestito?
EUGENIO Anche voi lo sapete?
RIDOLFO L'ha detto qui pubblicamente in bottega.
EUGENIO Caro amico, sapete come va: quando uno ha bisogno si attacca a tutto.
RIDOLFO Anche questa mattina, per quel che ho sentito, V.
S.
si è attaccata poco bene.
EUGENIO Credete che messer Pandolfo mi voglia gabbare?
RIDOLFO Vedrà che razza di negozio le verrà a proporre.
EUGENIO Ma che devo fare? Bisogna che io paghi trenta zecchini, che li ho persi sulla parola.
Mi vorrei liberare dal tormento di Don Marzio.
Ho qualche altra premura; se posso vendere due pezze di panno, fo' tutti i fatti miei.
RIDOLFO Che qualità di panno è quello che vorrebbe esitare?
EUGENIO Panno padovano, che vale quattordici lire il braccio.
RIDOLFO Vuol ella che veda io di farglielo vendere con riputazione?
EUGENIO Vi sarei bene obbligato.
RIDOLFO Mi dia un poco di tempo, e lasci operare a me.
EUGENIO Tempo? Volentieri.
Ma quello aspetta i trenta zecchini.
RIDOLFO Venga qui, favorisca, mi faccia un ordine, che mi sieno consegnate due pezze di panno, ed io medesimo le presterò i trenta zecchini.
EUGENIO Sì, caro, vi sarò obbligato.
Saprò le mie obbligazioni.
RIDOLFO Mi maraviglio, non pretendo nemmeno un soldo.
Lo farò per le obbligazioni ch'io ho colla buona memoria del suo signor padre, che è stato mio buon padrone, e dal quale riconosco la mia fortuna.
Non ho cuor di vederla assassinare da questi cani.
EUGENIO Voi siete un gran galantuomo.
RIDOLFO Favorisca di stender l'ordine in carta.
EUGENIO Son qui; dettatelo voi, ch'io scriverò.
RIDOLFO Che nome ha il primo giovane del suo negozio?
EUGENIO Pasquino de' Cavoli.
RIDOLFO (detta, ed Eugenio scrive) Pasquino de' Cavoli...
consegnerete a Messer Ridolfo Gamboni...
pezze due panno padovano...
a sua elezione, acciò egli ne faccia esito per conto mio...
avendomi prestato gratuitamente...
zecchini trenta. Vi metta la data e si sottoscriva.
EUGENIO Ecco fatto.
RIDOLFO Si fida ella di me?
EUGENIO Capperi! Non volete?
RIDOLFO Ed io mi fido di lei.
Tenga, questi sono trenta zecchini.
(gli numera trenta zecchini)
EUGENIO Caro amico, vi sono obbligato.
RIDOLFO Signor Eugenio, glieli do, acciò possa comparire puntuale e onorato; le venderò il panno io, acciò non le venga mangiato, e vado subito senza perder tempo: ma la mi permetta che faccia con lei un piccolo sfogo d'amore, per l'antica servitù che le professo.
Questa che V.
S.
tiene, è la vera strada di andare in rovina.
Presto presto si perde il credito e si fallisce.
Lasci andare il giuoco, lasci le male pratiche, attenda al suo negozio, alla sua famiglia, e si regoli con giudizio.
Poche parole, ma buone, dette da un uomo ordinario, ma di buon cuore; se le ascolterà, sarà meglio per lei.
(parte)
Scena dodicesima Eugenio solo, poi Lisaura alla finestra.
EUGENIO Non dice male; confesso che non dice male.
Mia moglie, povera disgraziata, che mai dirà? Questa notte non mi ha veduto; quanti lunari ella avrà fatti? Già le donne, quando non vedono il marito in casa, pensano cento cose una peggio dell'altra.
Avrà pensato, o che io fossi con altre donne, o che fossi caduto in qualche canale, o che per i debiti me ne fossi andato.
So che l'amore, ch'ella ha per me, la fa sospirare; le voglio bene ancor io, ma mi piace la mia libertà.
Vedo però, che da questa mia libertà ne ricavo più mal che bene, e che se facessi a modo di mia moglie, le faccende di casa mia andrebbero meglio.
Bisognerà poi risolversi, e metter giudizio.
Oh quante volte ho detto così! (vede Lisaura alla finestra) (Capperi! Grand'aria! Ho paura di si io, che vi sia la porticina col giuocolino) Padrona mia riverita!
LISAURA Serva umilissima!
EUGENIO E' molto, signora, che è alzata dal letto?
LISAURA In questo punto.
EUGENIO Ha bevuto il caffè?
LISAURA E' ancora presto.
Non l'ho bevuto.
EUGENIO Comanda che io la faccia servire?
LISAURA Bene obbligata: non s'incomodi.
EUGENIO Niente, mi maraviglio.
Giovani, portate a quella signora caffè, cioccolata; tutto quel ch'ella vuole, pago io.
LISAURA La ringrazio, la ringrazio.
Il caffè e la cioccolata li faccio in casa.
EUGENIO Avrà della cioccolata buona?
LISAURA Per dirla, è perfetta.
EUGENIO La sa far bene?
LISAURA La mia serva s'ingegna.
EUGENIO Vuole che venga io a darle una frullatina?
LISAURA E' superfluo che s'incomodi.
EUGENIO Verrò a beverla con lei, se mi permette.
LISAURA Non è per lei, signore.
EUGENIO Io mi degno di tutto; apra, via, che staremo un'oretta insieme.
LISAURA Mi perdoni, non apro con questa facilità.
EUGENIO Ehi, dica, vuole che io venga per la porta di dietro?
LISAURA Le persone, che vengono da me, vengono pubblicamente.
EUGENIO Apra, via, non facciamo scene.
LISAURA Dica in grazia, signor Eugenio: ha veduto ella il conte Leandro?
EUGENIO Così non lo avessi veduto.
LISAURA Hanno forse giuocato insieme la scorsa notte?
EUGENIO Pur troppo; ma che serve, che stiamo qui a far sentire a tutti i fatti nostri? Apra, che le dirò ogni cosa.
LISAURA Vi dico, signore, che io non apro a nessuno.
EUGENIO Ha forse bisogno che il signor Conte le dia licenza? Lo chiamerò.
LISAURA Se cerco del signor Conte, ho ragione di farlo.
EUGENIO Ora la servo subito.
E' qui in bottega, che dorme.
LISAURA Se dorme, lasciatelo dormire.
Scena tredicesima Leandro dalla bottega del giuoco e detti.
LEANDRO Non dormo, no, non dormo.
Son qui che godo la bella disinvoltura del signor Eugenio.
EUGENIO Che ne dite dell'indiscretezza di questa signora? Non mi vuole aprire la porta.
LEANDRO Chi vi credete ch'ella sia?
EUGENIO Per quel che dice Don Marzio, flusso e riflusso.
LEANDRO Mente don Marzio, e chi lo crede.
EUGENIO Bene.
Non sarà così; ma col vostro mezzo non potrei io aver la grazia di riverirla?
LEANDRO Fareste meglio a darmi i miei trenta zecchini.
EUGENIO I trenta zecchini ve li darò.
Quando si perde sulla parola, vi è tempo a pagare ventiquattr'ore.
LEANDRO Vedete, signora Lisaura? Questi sono quei gran soggetti, che si piccano d'onoratezza.
Non ha un soldo, e pretende di fare il grazioso.
EUGENIO I giovani della mia sorta, signor Conte caro, non sono capaci di mettersi in un impegno senza fondamento di comparir con onore.
S'ella mi avesse aperto, non avrebbe perduto il suo tempo, e voi non sareste restato al di sotto coi vostri incerti.
Questi sono danari, questi sono trenta zecchini, e queste facce quando non ne hanno, ne trovano.
Tenete i vostri trenta zecchini, e imparate a parlare coi galantuomini della mia sorta.
(va a sedere in bottega del caffè)
LEANDRO (da sé) (Mi ha pagato, dica che che vuole, che non m'importa.) (a Lisaura) Aprite!
LISAURA Dove siete stato tutta questa notte?
LEANDRO Aprite!
LISAURA Andate al diavolo!
LEANDRO Aprite! (versa gli zecchini nel Cappello, acciò Lisaura gli veda.)
LISAURA Per questa volta vi apro.
(si ritira ed apre)
LEANDRO Mi fa grazia, mediante la raccomandazione di queste belle monete.
(entra in casa)
EUGENIO Egli sì, ed io no? Non sono chi sono, se non gliela faccio vedere.
Scena quattordicesima Placida da Pellegrino ed Eugenio.
PLACIDA Un poco di carità alla povera pellegrina.
EUGENIO (da sé) (Ecco qui; corre la moda delle pellegrine.)
PLACIDA (ad Eugenio) Signore, per amor del cielo, mi dia qualche cosa.
EUGENIO Che vuol dir questo, signora pellegrina? Si va cosi per divertimento o per pretesto?
PLACIDA Né per l'un, né per l'altro.
EUGENIO Dunque per qual causa si gira il mondo?
PLACIDA Per bisogno.
EUGENIO Bisogno, di che?
PLACIDA Di tutto.
EUGENIO Anche di compagnia.
PLACIDA Di questa non avrei bisogno, se mio marito non mi avesse abbandonata.
EUGENIO La solita canzonetta.
Mio marito mi ha abbandonata.
Di che paese siete, signora?
PIACIDA Piemontese.
EUGENIO E vostro marito?
PLACIDA Piemontese egli pure.
EUGENIO Che facev'egli al suo paese?
PLACIDA Era scritturale d'un mercante.
EUGENIO E perché se n'è andato via?
PLACIDA Per poca volonta di far bene.
EUGENIO Questa è una malattia che l'ho provata anch'io, e non sono ancora guarito.
PLACIDA Signore, aiutatemi per carità.
Sono arrivata in questo punto a Venezia.
Non so dove andare, non conosco nessuno, non ho danari, son disperata.
EUGENIO Che cosa siete venuta a fare a Venezia?
PLACIDA A vedere se trovo quel disgraziato di mio marito.
EUGENIO Come si chiama?
PLACIDA Flaminio Ardenti.
EUGENIO Non ho mai sentito un tal nome.
PLACIDA Ho timore che il nome se lo sia cambiato.
EUGENIO Girando per la città, può darsi che, se vi è, lo troviate.
PLACIDA Se mi vedrà, fuggirà.
EUGENIO Dovreste far cosi.
Siamo ora di carnovale, dovreste mascherarvi, e così più facilmente lo trovereste.
PLACIDA Ma come posso farlo, se non ho alcuno che mi assista? Non so nemmeno dove alloggiare.
EUGENIO (da sé) (Ho inteso, or ora vado
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