LA BOTTEGA DEL CAFFE', di Carlo Goldoni - pagina 10
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(va per il caffè, e lo porta)
CAPO Abbiamo delle buone giornate.
DON MARZIO Il tempo non vuol durare.
CAPO Pazienza.
Godiamolo finché è buono.
DON MARZIO Lo goderemo per poco.
CAPO Quando è mal tempo, si va in un casino, e si giuoca.
DON MARZIO Basta andare in luoghi dove non rubino!
CAPO Qui, questa bottega vicina mi pare onorata.
DON MARZIO Onorata? E' un ridotto di ladri.
CAPO Mi pare sia messer Pandolfo il padrone.
DON MARZIO Egli per l'appunto.
CAPO Per dir il vero, ho sentito dire che sia un giuocator di vantaggio.
DON MARZIO E' un baro solennissimo.
CAPO Ha forse truffato ancora a lei?
DON MARZIO A me no, che non son gonzo.
Ma quanti capitano, tutti gli tira al trabocchetto.
CAPO Bisogna ch'egli abbia qualche timore, che non si vede.
DON MARZIO E' dentro in bottega, che nasconde le carte.
CAPO Perché mai nasconde le carte?
DON MARZIO M'immagino, perché sieno fatturate.
CAPO Certamente.
E dove le nasconderà?
DON MARZIO Volete ridere? Le nasconde in un ripostiglio sotto le travature.
CAPO (da sé) (Ho rilevato tanto che basta.)
DON MARZIO Voi, signore, vi dilettate di giuocare?
CAPO Qualche volta.
DON MARZIO Non mi par di conoscervi.
CAPO Or ora mi conoscerete.
(s'alza)
DON MARZIO Andate via?
CAPO Ora torno.
TRAPPOLA (al Capo) Eh? Signore; il caffè.
CAPO Or ora lo pagherò.
(si accosta alla strada, e fischia.
I birri entrano in bottega di Pandolfo)
Scena dodicesima Don Marzio e Trappola.
DON MARZIO (s'alza, e osserva attentamente senza parlare)
TRAPPOLA (anch'egli osserva attentamente)
DON MARZIO Trappola...
TRAPPOLA Signor Don Marzio...
DON MARZIO Chi son coloro?
TRAPPOLA Mi pare l'onorata famiglia.
Scena tredicesima Pandolfo legato, birri e detti.
PANDOLFO Signor Don Marzio, gli sono obbligato.
DON MARZIO A me? Non so nulla.
PANDOLFO Io andrò forse in galera, ma la sua lingua merita la berlina.
(va via coi birri)
CAPO (a Don Marzio) Sì, signore, l'ho trovato che nascondeva le carte.
(parte)
TRAPPOLA Voglio andargli dietro, per veder dove va.
(parte)
Scena quattordicesima Don Marzio solo.
DON MARZIO Oh diavolo, diavolo! Che ho io fatto? Colui che io credeva un signore di conto, era un birro travestito.
Mi ha tradito, mi ha ingannato.
Io son di buon cuore; dico tutto con facilità.
Scena quindicesima Ridolfo e Leandro di casa della ballerina e detto.
RIDOLFO (a Leandro) Bravo; così mi piace; chi intende la ragione fa conoscere che è un uomo di garbo; finalmente in questo mondo non abbiamo altro che il buon nome, la fama e la riputazione.
LEANDRO Ecco lì quello che mi ha consigliato a partire.
RIDOLFO Bravo, signor Don Marzio; ella dà di questi buoni consigli; invece di procurare di unirlo con la moglie lo persuade abbandonarla, e andar via?
DON MARZIO Unirsi con sua moglie? E' impossibile, non la vuole con lui.
RIDOLFO Per me è stato possibile; io con quattro parole l'ho persuaso.
Tornerà con la moglie.
LEANDRO (da sé) (Per forza, per non esser precipitato.)
RIDOLFO Andiamo a ritrovare la signora Placida, che è qui dal barbiere.
DON MARZIO (a Leandro) Andate a ritrovare quella buona razza di vostra moglie.
LEANDRO Signor Don Marzio, vi dico in confidenza tra voi e me che siete una gran lingua cattiva.
(entra dal barbiere con Ridolfo)
Scena sedicesima Don Marzio, poi Ridolfo.
DON MARZIO Si lamentano della mia lingua, e a me pare di parlare bene.
E' vero che qualche volta dico di questo e di quello; ma, credendo dire la verità, non me ne astengo.
Dico facilmente quello che so; ma lo faccio, perché son di buon cuore.
RIDOLFO (dalla bottega del barbiere) Anche questa è accomodata.
Se dice davvero, è pentito, se finge, sarà peggio per lui.
DON MARZIO Gran Ridolfo! Voi siete quello che unisce i matrimoni.
RIDOLFO E ella è quello che cerca di disunirli.
DON MARZIO Io ho fatto per far bene.
RIDOLFO Chi pensa male non può mai sperar di far bene.
Non s'ha mai da lusingarsi, che da una cosa cattiva ne possa derivare una buona.
Separare il marito dalla moglie, è un'opera contro tutte le leggi, e non si possono sperare che disordini e pregiudizi.
DON MARZIO (con disprezzo) Sei un gran dottore.
RIDOLFO Ella intende più di me; ma mi perdoni, la mia lingua si regola meglio della sua.
DON MARZIO Tu parli da temerario.
RIDOLFO Mi compatisca, se vuole; e se non vuole, mi levi la sua protezione.
MARZIO Te la leverò, te la leverò.
Non ci verrò più a questa tua bottega.
RIDOLFO (da sé) (Oh il ciel lo volesse!)
Scena diciassettesima Un garzone della bottega del caffè e detti.
GARZONE Signor padrone, il signor Eugenio vi chiama.
(si ritira)
RIDOLFO Vengo subito; (a Don Marzio) con sua licenza.
DON MARZIO Riverisco il signor politico.
Che cosa guadagnate in questi vostri maneggi?
RIDOLFO Guadagno il merito di far del bene; guadagno l'amicizia delle persone; guadagno qualche marca d'onore, che stimo sopra tutte le cose del mondo.
(entra in bottega)
DON MARZIO Che pazzo! Che idee da ministro, da uomo di conto! Un caffettiere fa l'uomo di maneggio! E quanto s'affatica! E quanto tempo vi mette! Tutte cose che io le avrei accomodate in un quarto d'ora.
Scena diciottesima Ridolfo, Eugenio, Vittoria dal caffè e Don Marzio.
DON MARZIO (da sé) (Ecco i tre pazzi.
Il pazzo discolo, la pazza gelosa, e il pazzo glorioso.)
RIDOLFO (a Vittoria) In verità provo una consolazione infinita.
VITTORIA Caro Ridolfo, riconosco da voi la pace, la quiete, e posso dire la vita.
EUGENIO Credete, amico, ch'io era stufo di far questa vita, ma non sapeva come fare a distaccarmi dai vizi.
Voi siate benedetto, m'avete aperto gli occhi, e un poco coi vostri consigli, un poco coi vostri rimproveri, un poco colle buone grazie, e un poco coi benefizi mi avete illuminato, mi avete fatto arrossire: son un altro uomo, e spero che sia durabile il mio cambiamento, a nostra consolazione, a gloria vostra, e ad esempio degli uomini savi, onorati e dabbene, come voi siete.
RIDOLFO Dice troppo, signore: io non merito tanto.
VITTORIA Sino ch'io sarà viva mi ricorderò sempre del bene che mi avete fatto.
Mi avete restituito il mio caro consorte, l'unica cosa, che ho di bene in questo mondo.
Mi ha costato tante lacrime il prenderlo, tante me ne ha costato il perderlo, e molte me ne costa il riacquistarlo; ma queste sono lacrime di dolcezza, lacrime d'amore, e di tenerezza, che m'empiono l'anima di diletto, che mi fanno scordare ogni affanno passato, rendendo grazie al cielo, e lode alla vostra pietà.
RIDOLFO Mi fa piangere dalla consolazione.
DON MARZIO (da sé, guardando sempre con l'occhialetto) (Oh pazzi maledetti!)
EUGENIO Volete che andiamo a casa?
VITTORIA Mi dispiace, ch'io sono ancora tutta lacrime, arruffata e scomposta.
Vi sarà mia madre, e qualche altra mia parente ad aspettarmi; non vorrei che mi vedessero col pianto agli occhi.
EUGENIO Via, acchetatevi; aspettiamo un poco.
VITTORIA Ridolfo non avete uno specchio? Vorrei un poco vedere come sto.
DON MARZIO (da sé coll'occhialetto) (Suo marito le avrà guastato il tuppè.)
RIDOLFO Se si vuol guardar nello specchio, andiamo qui sopra nei camerini del giuoco.
EUGENIO No, là dentro non vi metto più piede.
RIDOLFO Non sa la nuova? Pandolfo è ito prigione.
EUGENIO Sì? Se lo merita; briccone! Me ne ha mangiati tanti.
VITTORIA Andiamo, caro consorte.
EUGENIO Quando non vi è nessuno, andiamo.
VITTORIA Cosi arruffata non mi posso vedere.
(entra nella bottega del giuoco con allegria)
EUGENIO Poverina! Giubila dalla consolazione! (entra come sopra)
RIDOLFO Vengo ancor io a servirli.
(entra come sopra)
Scena diciannovesima Don Marzio, poi Leandro e Placida.
DON MARZIO Io so perché Eugenio è tornato in pace con sua moglie.
Egli è fallito, e non ha più da vivere.
La moglie è giovine, e bella...
Non l'ha pensata male, e Ridolfo gli farà il mezzano.
LEANDRO (uscendo dal barbiere) Andiamo dunque alla locanda a prendere il vostro piccolo bagaglio.
PLACIDA Caro marito, avete avuto tanto cuore di abbandonarmi?
LEANDRO Via non ne parliamo più.
Vi prometto di cambiare vita.
PLACIDA Lo voglia il cielo.
(s'avvicina alla locanda)
DON MARZIO (a Leandro burlandolo) Servo di vossustrissima, signor Conte.
LEANDRO Riverisco il signor protettore, il signor buona lingua.
DON MARZIO (a Placida deridendola) M'inchino alla signora contessa.
PLACIDA Serva, signor cavaliere delle castagne secche.
(entra in locanda con Leandro)
DON MARZIO Andranno tutti e due in pellegrinaggio a battere la birba.
Tutta la loro entrata consiste in un mazzo di carte.
Scena ventesima Lisaura alla finestra e Don Marzio.
LISAURA La pellegrina è tornata alla locanda con quel disgraziato di Leandro.
S'ella ci sta troppo, me ne vado assolutamente di questa casa.
Non posso tollerare la vista, né di lui, né di lei.
DON MARZIO (coll'occhialetto) Schiavo, signora ballerina.
LISAURA (bruscamente) La riverisco.
DON MARZIO Che cosa avete? Mi parete alterata.
LISAURA Mi maraviglio del locandiere, che tenga nella sua locanda simil sorta di gente.
DON MARZIO Di chi intende parlare?
LISAURA Parlo di quella pellegrina, la quale è donna di mal affare, e in questi contorni non ci sono mai state di queste porcherie.
Scena ventunesima Placida dalla finestra della locanda e detti.
PLACIDA Eh, signorina, come parlate dei fatti miei? Io sono una donna onorata, non so se cosi si possa dir di voi.
LISAURA Se foste una donna onorata, non andreste pel mondo birboneggiando.
DON MARZIO (ascolta, e osserva di qua e di la coll'occhialetto, e ride)
PLACIDA Son venuta in traccia di mio matito.
LISAURA Sì, e l'anno passato in traccia di chi eravate?
PLACIDA Io a Venezia non ci sono più stata.
LISAURA Siete una bugiarda.
L'anno passato avete fatta una trista figura in questa città.
(Don Marzio osserva, e ride come sopra)
PLACIDA Chi vi ha detto questo?
LISAURA Eccolo lì; il signor Don Marzio me l'ha detto.
DON MARZIO Io non ho detto nulla.
PLACIDA Egli non può aver detto una tal bugia; ma di voi si mi ha narrato la vita e i bei costumi.
Mi ha egli informato dell'esser vostro, e che ricevete le genti di nascosto per la porta di dietro.
DON MARZIO Io non l'ho detto.
(sempre coll'occhialetto di qua, e di là)
PLACIDA Sì che l'avete detto.
LISAURA E' possibile che il signor Don Marzio abbia detto di me una simile iniquità?
DON MARZIO Vi dico, non l'ho detto.
Scena ventiduesima Eugenio alla finestra de' camerini, poi Ridolfo da altra simile, poi Vittoria dall'altra, aprendole di mano in mano, e detti a' loro luoghi.
EUGENIO Sì, che l'ha detto, e l'ha detto anche a me, e dell'una, e dell'altra.
Della pellegrina, che è stata l'anno passato a Venezia a birboneggiare; e della signora ballerina, che riceve le visite per la porta di dietro.
DON MARZIO Io l'ho sentito dir da Ridolfo.
RIDOLFO Io non son capace di far queste cose.
Abbiamo anzi altercato per questo.
Io sosteneva l'onore della signora Lisaura, e V.
S.
voleva che fosse una donna cattiva.
LISAURA Oh disgraziato!
DON MARZIO Sei un bugiardo.
VITTORIA A me ancora ha detto che mio marito teneva pratica colla ballerina, e colla pellegrina; e me le ha dipinte per due scelleratissime femmine.
PLACIDA Ah scellerato!
LISAURA Ah maledetto!
Scena ventitreesima Leandro sulla porta della locanda e detti.
LEANDRO Signor sì, signor sì, V.
S.
ha fatto nascere mille disordini! ha levata la riputazione colla sua lingua a due donne onorate.
DON MARZIO Anche la ballerina onorata?
LISAURA Tale mi vanto di essere.
L'amicizia col signor Leandro non era che diretta a sposarlo, non sapendo che egli avesse altra moglie.
PLACIDA La moglie l'ha; e son io quella.
LEANDRO E se avessi abbadato al signor Don Marzio, l'avrei nuovamente sfuggita.
PLACIDA Indegno!
LISAURA Impostore!
VITTORIA Maldicente!
EUGENIO Ciarlone!
DON MARZIO A me questo? A me, che sono l'uomo il più onorato del mondo?
RIDOLFO Per essere onorato non basta non rubare, ma bisogna anche trattar bene.
DON MARZIO Io non ho mai commesso una mala azione.
Scena ventiquattresima Trappola e detti.
TRAPPOLA Il signor Marzio l'ha fatta bella.
RIDOLFO Che ha fatto?
TRAPPOLA Ha fatto la spia a Messer Pandolfo; l'hanno legato, e si dice che domani lo frusteranno.
RIDOLFO E' uno spione! via dalla mia bottega.
(parte dalla finestra)
Scena venticinquesima Il garzone del barbiere e detti.
GARZONE Signore spione, non venga più a farsi far la barba nella nostra bottega.
(entra nella sua bottega)
Scena ultima Il cameriere della locanda e detti.
CAMERIERE Signora spia, non venga più a far desinari alla nostra locanda.
(entra nella locanda)
LEANDRO Signor protettore, tra voi e me in confidenza, far la spia è azion da briccone.
(entra nella locanda)
PLACIDA Altro che castagne secche! Signor soffione.
(parte dalla finestra)
LISAURA Alla berlina, alla berlina! (parte dalla finestra)
VITTORIA O che caro Don Marzio! Quei dieci zecchini che prestasti a mio marito, saranno stati una paga di esploratore.
(parte dalla finestra)
EUGENIO Riverisco il signor confidente.
(Parte dalla finestra)
TRAPPOLA Io fo riverenza al signor referendario.
(entra in bottega)
DON MARZIO Sono stordito, sono avvilito, non so in qual mondo mi sia.
Spione a me? A me spione? Per avere svelato accidentalmente il reo costume di Pandolfo, sarò imputato di spione? Io non conosceva il birro, non prevedeva l'inganno, non sono reo di quest'infame delitto.
Eppur tutti m'insultano, tutti mi vilipendono, niuno mi vuole, ognuno mi scaccia.
Ah sì, hanno ragione, la mia lingua, o presto o tardi, mi doveva condurre a qualche gran precipizio.
Ella mi ha acquistato l'infamia, che è il peggiore de' mali.
Qui non serve il giustificarmi.
Ho perduto il credito e non lo riacquisto mai più.
Anderò via di questa città; partirò a mio dispetto; e per causa della mia trista lingua mi priverò d'un paese, in cui tutti vivono bene, tutti godono la libertà, la pace, il divertimento, quando sanno essere prudenti, cauti ed onorati.
(parte)
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