[Pagina precedente]...a cagna, e qui questa pentola. Ora io rimedierò al tutto. (Tacere un simil fatto sarebbe un fomentare le loro perfide iniquità . Chi risparmia i rei, sagrifica gl'innocenti). (da sé, e parte)
SCENA QUINTA
ROSAURA, poi PANTALONE
ROS. Ecco lì, poverina! Chi me l'avesse mai detto, che dovesse così miseramente morire! Mi sento strappare il cuore.
PANT. Fia mia, cossa fastu in cusina?
ROS. (Piangendo corre ad abbracciar Pantalone) Ah, caro padre, siete vivo, e vivrete per prodigio del cielo.
PANT. Perché? Cossa xe stà ?
ROS. Riconoscete la vita da quella povera bestiolina.
PANT. Perlina xe morta?
ROS. Sì, me ne dispiace, ma più sarei afflitta se foste morto voi in di lei vece, mio caro papà .
PANT. Ma cossa gh'intrio mi(65) con una cagna?
ROS. Se non moriva ella, dovevate morir voi.
PANT. Mi(66) no t'intendo.
ROS. Ella è morta di veleno.
PANT. E per questo?
ROS. Il veleno è in quella pentola...
PANT. Avanti mo.
ROS. In quella pentola vi è una panatella...
PANT. E cussì?
ROS. Quella panatella era destinata per voi.
PANT. Aseo(67)! vien qua, fia mia, di' pian che nissun ne senta. Come xelo sto negozio? Cossa sastu? Come lo sastu?
ROS. Ecco il testimonio di quel che io dico. Perlina è morta. La signora Beatrice e Ottavio mio fratello sono stati i carnefici di quella povera sventurata, e lo volevano essere di voi.
PANT. Via, no pol esser. Ti xe matta. La cagna sarà morta per altre cause. Varda ben a no parlar. Varda ben a no dir gnente a nissun. Che se ti parli, te depeno de fia.
ROS. Io non parlerò con nessuno. Ma quello che vi dico, è la verità .
PANT. No xe vero gnente. So mi che no xe vero gnente.
ROS. Eppure questa volta v'ingannate...
PANT. Anemo, andè via de qua, che questo nol xe liogo per vu.
ROS. La mia povera cagna...
PANT. La cagna lassela qua...
ROS. La vorrei...
PANT. No me fe andar in collera. Andè via.
ROS. Obbedisco. (Anderò a piangere con libertà ). (da sé, parte)
SCENA SESTA
PANTALONE solo.
PANT. Gran provvidenza del cielo, che assiste l'innocenza! Sti do traditori i me voleva morto, e col sacrifizio d'una bestia el ciel me salva la vita. Pur troppo vedo dal color e dalla bava de sta povera cagna, che la xe morta de velen, e quella xe la solita pignatela della mia panada. Ah, Beatrice crudel! ah, Ottavio desumanà ! cossa ve falo sto povero vecchio? Perché no aspettar che la morte natural, che poco pol tardar a vegnir a trovarlo, ve lo leva dai occhi senza la macchia de un tradimento? Povero Pantalon! Una mugier sollevada dal fango, un fio arlevà con tanto amor, tutti do congiurai a procurarme la morte! E perché? La mugier per farse ridicola colle conversazion; el fio per precipitarse col matrimonio. Oh povera umanità ! L'omo se fabbrica da so posta i precipizi, e el compra colle iniquità la so propria rovina. Cossa ogio da far in sto caso? Taser xe mal; parlar xe pezo. Se taso, ghe filo el lazzo(68); se parlo, tutto el mondo lo sa. Tasendo, xe in pericolo la mia vita; parlando, pericola la reputazion della casa. Prudenza e consegio. Orsù, qua bisogna ziogar de testa. Remediarghe, ma senza strepito. Quel che ho fatto de Colombina e de Arlecchin, farò de Beatrice. La farò serar in t'un liogo, che gnanca l'aria lo saverà , e no mancherà pretesti per farla creder o in villa, o ammalada. Mio fio lo manderò in Levante, e me libererò in sta maniera de do nemici, senza sacrificarli e senza publicar i desordini della mia casa. Sta pignata, sto piatto e sta cagna bisogna farli sparir, acciò no s'abbia un zorno a trovar el testimonio delle so indegnità e delle mie vergogne. Marii(69) troppo boni, pari troppo amorosi, specchieve in mi, e considerè che quando l'omo se marida, el se fabbrica delle volte un lazzo colle so man, e quando ghe nasse un fio, per el più ghe nasse un nemigo. (parte)
SCENA SETTIMA
Camera con varie porte e tavolino.
BEATRICE e LELIO
BEAT. Ma venite. Di che avete paura?
LEL. Eh, signora mia, mi ricordo del complimento del signor Pantalone. Mi sovviene del trabocchetto.
BEAT. Per liberarvi da simile malinconia, vi ho condotto io stessa su per le scale.
LEL. E de' due uomini della schioppettata, come anderà ?
BEAT. Non dubitate. Vi giuro sull'onor mio che Pantalone fra poco non sarà più in istato né di comandare, né di vendicarsi.
LEL. M'affido alle vostre parole, come feci al vostro viglietto, e per ubbidirvi...
BEAT. Ditemi, signor Lelio, e parlatemi con libertà : avete voi veramente affetto per me? Sdegnereste voi l'occasion di esser mio sposo?
LEL. Signora, siete maritata.
BEAT. E se fossi vedova?
LEL. Mi farei gloria d'aspirare alle vostre nozze.
BEAT. Vien gente; ritiratevi in quella camera.
LEL. Io sono in curiosità di sapere per qual cagione mi avete ordinato di venir qui.
BEAT. Ritiratevi, dico, e saprete ogni cosa.
LEL. Vi obbedisco. (Che labirinto è mai questo!) (da sé, entra in una camera)
SCENA OTTAVA
BEATRICE, poi DIANA
BEAT. Spero passar più felicemente i miei giorni col signor Lelio. Egli è giovane, e di buon gusto.
DIA. Signora Beatrice, eccomi a ricevere i vostri comandi.
BEAT. Siate la ben venuta, signora Diana, non vi ho incomodata per me, ma per il signor Ottavio.
DIA. Che posso fare per lui?
BEAT. Presto avrà bisogno di voi.
DIA. Per qual cagione?
BEAT. Suo padre sta male; se morisse, voi gli rasciughereste le lagrime?
DIA. Lo farei volentieri.
BEAT. Credo anch'io che non vi dispiacerebbe la morte di Pantalone.
DIA. Certo ch'ei m'è nemico, ma finalmente è padre d'Ottavio.
BEAT. Bene bene, c'intendiamo. Favorite, ritiratevi in questa camera, che or ora sono con voi.
DIA. E Ottavio dov'è?
BEAT. Può tardar poco a venire.
DIA. Attenderò dunque le vostre grazie.
BEAT. Non mancherò a' miei doveri.
DIA. Amore, a te mi raccomando. (entra nell'altra camera)
SCENA NONA
BEATRICE, poi OTTAVIO
BEAT. La presenza di Diana gioverà molto per tener in freno Ottavio, quand'egli vedrà morire suo padre.
OTT. (Eppure non sono ancor quieto; il cuore mi presagisce qualche sinistro). (da sé, turbato)
BEAT. Che avete, signor Ottavio, che mi sembrate sospeso?
OTT. Ho incontrato mio padre, che scendeva le scale. Mi guardò torvo, non mi disse parola, e pareva gli uscisse il pianto dagli occhi.
BEAT. E bene! Che perciò?
OTT. Non vorrei avesse penetrato quello che si tramava contro di lui.
BEAT. Non lo sappiamo che voi ed io. Io certamente non ho parlato. Se voi non l'aveste fatto...
OTT. Guardimi il cielo; se dubitar potessi che ciò si svelasse, mi darei la morte colle mie mani.
BEAT. Sentite quanta gente sale le scale!
OTT. Certo, questo è un gran romore.
BEAT. Chi son coloro?
OTT. Non li conosco
BEAT. S'avanzano.
OTT. Che mai sarà ?
SCENA DECIMA
BIRRI, BARGELLO, NOTAIO e detti.
I birri fermano Ottavio, e gli levano la spada. Il Bargello ferma Beatrice. I due si lagnano dell'affronto. Il Bargello li fa tacere con buona grazia. Il Notaio dice al Bargello che li conduca in prigione, ed egli lascia a lui quattro birri per far le necessarie perquisizioni. Il Bargello e i birri conducono via Beatrice e Ottavio. Il Notaio dice ai birri che facciano diligenza per trovare un cane morto di veleno e una pentola di pan cotto; e tutti partono per eseguire.
SCENA UNDICESIMA
LELIO da una camera e DIANA dall'altra.
LEL. Che vidi!
DIA. Che intesi!
LEL. Signora Diana. (vedendosi l'un l'altro)
DIA. Signor Lelio. (vedendosi l'un l'altro)
LEL. Voi qui?
DIA. Voi in questa casa?
LEL. Io ci sono per mia disgrazia.
DIA. Ed io per mia mala ventura.
LEL. Avete veduto?
DIA. Pur troppo. Povero Ottavio! di lui che sarà ?
LEL. Male assai, e peggio per la signora Beatrice.
DIA. Colui, vestito di nero, che disse di veleno?
LEL. Dubito che volessero suonarla al povero Pantalone. Certe parole mi ha dette la signora Beatrice.
DIA. Disse a me pur qualche cosa che mi fa dubitare. Ma noi in questa casa non stiamo bene.
LEL. Certo che venendo sorpresi, potremmo cadere in sospetto di complici.
DIA. Dunque partiamo... Ma sento gente.
LEL. Dubito che sia Pantalone.
DIA. Non ci lasciamo vedere.
LEL. Ritiriamoci nelle nostre camere.
DIA. Partiremo in miglior congiuntura. (entra in camera)
LEL. Ora sì, che se mi vedesse, sarebbe il tempo di usar l'ordigno del trabocchetto. (entra nella sua camera)
SCENA DODICESIMA
PANTALONE solo.
PANT. Come! i zaffi(70) in casa! Beatrice ligada! mio fio in preson! Donca xe stà parlà . Donca se sa dalla giustizia quel che con tanto zelo procurava de sconder! Povera la mia reputazion! povera la mia casa! Adesso sì che scomenzo a perder la carta del navegar, e la bussola più no me serve. Perder la mugier no sarave gnente, anzi el sarave per mi un gran vadagno el perder una cossa cussì cattiva. Perder un fio sarave poco, perché finalmente perderave un sicario, un traditor; dei bezzi no me importa: come che i xe vegnui, i pol andar, e el cielo che me li ha dai, me li pol anca tior. La vita poco la stimo. Ho vivesto abbastanza e la morte de poco la me pol minchionar. Ah, l'onor xe quello che me sta sull'anema! L'onor xe quel tesoro che no gh'ha prezzo, che vive anca dopo la morte e che, perso una volta, se stenta a recuperar. Questa xe la gran perdita, che adesso me fa zavariar(71). Questo in te le mie desgrazie xe el tormento più grando. Cossa dirà el mondo de mi? Come se parlerà della mia famegia? In che stima sarogio tegnù? Xe vero che mi no son complice dei delitti della mugier e del fio; ma el fio e la mugier le xe do persone tanto taccae al pare e al mario, che per forza bisogna che l'uno partecipa dell'onor e del disonor dei altri. Se mia mugier xe infamada, l'infamia casca sora de mi; se mio fio xe condannà , mi ho a soffrir i desordeni della condanna. Cossa donca(72) ogio da far? Viver in mezzo a tanti rossori? A un omo che stima la reputazion, come mi, xe impossibile. Darme la morte colle mie man? Me tiorave el dolor, ma crescerave l'infamia della mia casa. Donca cossa ressolvio de far? Prudenza, che ti m'ha sempre assistio in te le mie desgrazie, no ti gh'ha gnente da suggerirme in t'un caso de tanta importanza? Ti me abbandoni sul più bello? Anemo, adesso xe tempo de far cognosser al mondo che la prudenza xe la medesina universal dei animi travagiai, e che colla prudenza l'omo pol superar tutte le contrarietà del destin. Sì, te sento, te intendo, ti me incoragissi, ti me dà anemo, ti me dà speranza. Sì ben, el partìo no me despiase... se poderave muarghe le carte in man... el can l'ho buttà via... la pignata xe andada... manca el corpo del delitto... Mi son l'offeso... La Giustizia no poderà condannar... So quel che digo... La piaga xe fresca, el remedio sarà ancora a tempo. Parlerò, pregherò, spenderò, pianzerò, se bisogna, sparzerò tutto el sangue, pur che se salva l'onor. (parte)
SCENA TREDICESIMA
Cortile con due porte terrene, o sian magazzini.
NOTAIO e birri.
NOT. Eppure non si trovano né questo cane, né questa pentola. La signora Rosaura ed il signor Florindo asseriscono che dovevano essere nella cucina. Saranno stati nascosti. Facciamo ogni diligenza per ritrovarli. Buttate giù queste porte.
(I birri buttano giù una porta, dalla quale esce Colombina)
SCENA QUATTORDICESIMA
COLOMBINA e detti.
COL. Buona gente, il cielo vi benedica, che mi avete liberata da quella carcere.
NOT. Chi vi ha serrata là dentro?
COL. Credo siano stati certi bricconi indegni de' birri, che non si dà al mondo peggior gente di quella, ma questi almeno sono galantuomini, che mi hanno liberata.
NOT. (Signori galantuomini, il complimento è tutto vostro). (ai birri) Ma perché vi hanno rinserrata? (a Colombina)
COL. Per nulla. Che venga la rabbia a quanti birri vi sono. Credetemi, se ne trovassi uno, lo vorrei trucidare colle mie mani.
NOT. (Costei forse saprà qualche cosa del veleno). (da sé) Legatela, e conducetela a Corte. Frattanto io anderò a visitare questa stanza. (entra nella stanza terrena. I birri legano Colombina)
COL. Come! ancor voi mi legate? Non sareste già ... Oh me meschina! sentite, se ho detto male dei birri, ho inteso di dire di quei cattivi. Ma dove mi conducete? Ah povera Colombina! Finora colle mie bellezze mi riuscì di legare, ed or...
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