[Pagina precedente]...to i piè. Quel che xe nato in casa mia, fin adesso nissun lo sa; e no vogio esser mi quello che lo vaga a publicar. Ho remedià con politica; me son contegnù con prudenza, e darò sesto(23) a tutto col tempo. Brighella, el finzer a tempo, el dissimular quando giova, xe la vera virtù dell'omo savio e prudente. Ti pensa a servirme con fedeltà , che in quanto a mi gh'ho spirito, gh'ho cuor, gh'ho giudizio da defender el mio onor al par de chi se sia. (parte)
SCENA SETTIMA
BRIGHELLA solo.
BRIGH. Resto de sasso. Un omo de sta sorte l'è un prodigio del mondo. Conosso adesso la mia temerità , per la qual me lusingava de esser un omo de garbo, e vedo che son un coccal; e dirò quel che ho sentio dir tante volte:
"L'omo senza prudenza tanto val,
Quanto val la manestra senza sal." (parte)
SCENA OTTAVA
Segue notte.
Camera di Beatrice con tavolino e lumi.
BEATRICE e COLOMBINA
COL. Così è; sì, signora, l'ho sentita co' miei propri orecchi quella pettegola di vostra figliastra a dir male di voi. Ne ha dette tante a vostro marito, ne ha dette tante! Cantava come un rosignuolo di maggio. Gli ha riportate tutte le parole che avete dette contro di lui, ed oltre al vero ha aggiunto ancora molto del suo. Se l'aveste veduta, come vi burlava bene. Contraffaceva tutti i vostri gesti, tutte le vostre maniere, la vostra voce, e si torceva di qua, e si voltava di là . Mi veniva voglia di pigliarla per quei capelli mal pettinati, e su quel viso patetico darle una dozzina di schiaffi spiritosi.
BEAT. Basta, basta, Colombina, non ne posso più. Sento che la rabbia mi rode, la collera mi divora. Voglio che costei me la paghi; voglio a tutto costo metterla in disgrazia di quel babbeo di suo padre. L'invenzione che abbiamo trovata per farla credere di mal costume più che non è, sarà ottima ed opportuna, e spero che riuscirà , come abbiamo fra di noi concertato. Chiamami Arlecchino. Facciamo ch'egli vada subito a ritrovar il signor Lelio ed il signor Florindo, e con bel modo facciamoli venire questa notte qui in casa. Tu eseguirai quanto abbiamo stabilito, e se la cosa riesce secondo il disegno, mi leverò dinanzi agli occhi questa impertinente che mi perseguita.
COL. E pure è vero bisogna guardarsi da' nasi dritti e da' colli torti. Ora chiamo Arlecchino. (parte)
SCENA NONA
BEATRICE sola.
BEATR. In casa mia voggio poter fare quello che voglio. Ho preso un vecchio per questo, che per altro non mi sarebbe mancato un giovinotto di buona grazia. Benché sia nata povera e ordinaria, avevo più amanti io sola, che tutte insieme le ragazze del vicinato.
SCENA DECIMA
COLOMBINA, ARLECCHINO e detta
BEAT. Senti, Arlecchino, tu devi andare verso il casino de' nobili, dove sogliono trovarsi il signor Lelio e il signor Florindo; li hai da condurre in disparte ambedue, ed hai a dir loro che dopo le quattro si portino a questa casa, che la porta ne sarà socchiusa. Ma bada bene, e apri ben l'orecchio, e non far delle tue. Questa ambasciata la devi lor fare separatamente. Al signor Lelio dirai che l'invito è mio, e che io l'aspetto per andare con esso lui a prendere il fresco. Al signor Florindo dirai poi che l'invita la signora Rosaura, per discorrer seco con libertà de' suoi amori.
ARL. (Si va torcendo, dinotando la confusione che gli recano tante parole)
BEAT. Hai capito? Eseguirai puntualmente?
ARL. (Dice di sì)
BEAT. Via. Come dirai? (Qui Arlecchino imbroglia tutto il discorso; confonde i quattro nomi di Lelio, Florindo, Beatrice e Rosaura. Ella gli va qualche cosa replicando, ed egli si va ora rimettendo, ora confondendo. Finalmente mostra di aver ben capito, e parte)
SCENA UNDICESIMA
BEATRICE e COLOMBINA, poi PANTALONE
COL. Arlecchino non si può negar che non sia sciocco, ma poi è altrettanto grazioso.
BEAT. Mi serve con fedeltà , e perciò lo sopporto.
PANT. (Vol piover, la volpe se consegia(24). Ma troverò mi el modo de far andar via sta siora camariera. Proverò con una invenzion de mandarla in campagna; e se no servirà , la scazzerò co le brutte). (da sé)
COL. Ecco quel vecchio tisico di vostro marito. (piano a Beatrice)
BEAT. Non crepa mai quest'anticaglia. (piano a Colombina)
PANT. Possio vegnir? Desturbio qualche negozio d'importanza?
BEAT. Mi disturbate certo; appunto adesso volevo andarmene a letto.
PANT. Senza cena?
BEAT. Senza cena. Mi duole il capo.
PANT. No saveu che chi va a letto senza cena, tutta la notte se remena(25)? E col remenarve scoverzirè el povero Pantalon, e lu gramo vecchio se sfredirà (26). (ridendo)
BEAT. Eh, il gramo vecchio non si sfreddirà , poiché voglio dormir sola.
PANT. Fe ben: megio soli che mal compagnai(27). No m'importa, gh'ho gusto che stè ben; e co sè contenta vu, son contento anca mi.
COL. L'ho sempre detto che il signor Pantalone è un uomo di garbo.
PANT. Madonna Colombina, gh'ho una cattiva niova da darve. La gastalda(28) vostra siora mare(29), con reverenza parlando(30), sta mal, e tanto mal che fursi no l'arriverà a doman de sera.
COL. Povera vecchia! Si vedeva che voleva campar poco.
PANT. No ve despiase che la mora?
COL. Mi dispiace, ma abbiamo da morir tutti.
PANT. Domattina col mio calesso anderè a trovarla, perché la desidera, avanti de morir, de darve un abbrazzo.
BEAT. No veh, Colombina, non andare.
PANT. La sarave bella che la fia negasse alla mare sta consolazion!
COL. Eh, considero che anzi le sarebbe di maggior dolore. È meglio ch'io non vada.
PANT. Basta, se no ti vol andar, lassa star. Ma to sorella Lisetta sta co tanto de occhi a aspettar che la muora, per portar via i bezzi e tutta la roba de casa. (Proverò st'altro sconzuro). (da sé)
COL. N'ha molta della roba mia madre?
PANT. Cancaro! la gh'averà i so do o tre mile ducati al so comando.
COL. Uh povera madre mia! E deve morire? (mostra di piangere)
PANT. No ghe xe più remedio.
COL. E mia sorella Lisetta porterà via tutto?
PANT. Infallibilmente.
COL. Uh povera madre mia! che dolore proverebbe, se non mi vedesse! Oh, voglio andarla a ritrovare senz'altro.
PANT. (La medesina ha fatto operazion). (da sé)
BEAT. E mi vuoi lasciare qui sola?
COL. Ma, signora padrona, si tratta della madre. Io le voglio tutto il mio bene; la natura deve fare il suo effetto. Non voglio che si dica che l'ho lasciata morire senza vederla. Oh poverina! oh povera madre mia! (piange)
PANT. (Vardè cossa che xe le donne, vardè!) (da sé)
BEAT. (Basta, se vuoi andare, non mi oppongo, ma ricordati quel che t'ho detto circa Lelio e Florindo con Rosaura). (piano a Colombina)
COL. (Eh, signora sì; questo si farà stassera, ed io partirò domani). Canchero, due mila ducati! Oh cara la mia mamma! Lisetta vuol tutto? Vengo, vengo mamma mia, vengo. (parte)
SCENA DODICESIMA
BEATRICE e PANTALONE
PANT. Siora mugier carissima, za che semo qua soli e che nissun ne sente, avanti che andè a dormir, vorave, se ve contentè, dirve quattro parole.
BEAT. Dite pure. E chi vi tiene che non parliate?
PANT. Vegnì qua; sentemose un puoco, e parlemo d'amor e d'accordo.
BEAT. Oh, io non sono stanca. Potete parlar in piedi.
PANT. No no, vogio che se sentemo; e a ciò no ve incomodè, tirerò mi le careghe(31). Via, sentève, fia mia, e no me fe andar in collera. (porta le sedie, e siede)
BEAT. (Io non so di che umore sia la bestia; convien secondarlo). (da sé) Eccomi. Siete contento? (siede)
PANT. Sì ben; cussì me piase; obbedienza e rassegnazion. Abbiè pazienza, se ve sarò un pochetto fastidioso, e respondeme a ton(32).
BEAT. Dite pure, ch'io v'ascolto. (M'aspetto una gran seccatura). (da sé)
PANT. Quanti anni xe che sè mia mugier?
BEAT. Saranno ormai tre anni.
PANT. Donca ve recorderè quel che gieri, avanti che ve sposasse.
BEAT. Me ne ricordo al certo. Ero una povera giovane, ma dabbene e onorata. Che vorreste dire per ciò?
PANT. Dota no me n'avè dà .
BEAT. Vi siete contentato così.
PANT. Nobiltà in casa no me n'avè portà .
BEAT. Son figlia di gente onorata, e tanto basta.
PANT. Ve recordeu quali xe stai i nostri patti, quando v'ho tiolto(33)?
BEAT. Oh, troppe cose mi avete dette; io di tutte non me ne ricordo.
PANT. Oh ben, se no ve le recordè, ve le tornerò a metter in memoria. Me par anca a mi che ve le siè desmentegae, e per questo sta sera torneremo a far la lizion. Savè che mi no m'ho maridà né per vogia de mugier, né perché fusse innamorà delle vostre bellezze. Son restà veduo con una fia alquanto semplizota, e poco bona per governar una casa: mio fio l'ho sempre visto inclinà piuttosto a desfar che a far, e innamorà delle frasche e delle spuzzette; onde per tirar avanti la casa, aver un poco de governo e tegnir in dover la servitù, son stà obbligà a maridarme. Non ho cercà dota, perché no ghe n'ho bisogno. Non ho cercà nobiltà , perché no vôi suggezion; ho procurà de aver una putta de casa, savia e modesta e povereta, perché, cognossendo da mi la so fortuna, tanto più la fusse obbligada a respettarme, obbedirme e volerme ben. M'ha parso che vu fussi giusto a proposito per el mio bisogno. Savevi cussì ben far, e tanto me parevi bona e savia, che m'ha parso de toccar el ciel col deo(34), quando che v'ho sposà . Savè che v'ho dito allora, che in casa mia no ve saria mancà gnente, e credo che no ve possiè lamentar; ma savè anca che v'ho dito che in casa mia no vogio conversazion; che no vogio visite, che no vogio amicizie de zoventù. M'avè promesso de farlo, l'avè zurà ; v'ho credesto; ma adesso vedo tutto el contrario. Casa mia xe deventada un redutto(35), la mia porta xe sempre spalancada; chi va e chi vien. Circa alle mode, sè deventada la piavola de Franza(36); se spende alla generosa; se tratta alla granda; e quel ch'è pezo, el mario nol se considera un figo, se ghe perde el respetto, nol se obedisse, e el se reduse a ste do estreme necessità : o de soffrir con rossor el vostro contegno, o de precipitar la famegia per remediarghe. Considerè se cussì se pol durar. Vardè vu, se sta vita la posso far. Beatrice, ho parlà , tocca adesso a risponder a vu.
BEAT. Vi risponderò in poche parole, che circa al rispettarvi non ho preteso di perdervi il rispetto, ma vi ho sempre considerato per quello che siete. In quanto al vestire, se non vi piace così, porterò quello che mi farete, anderò vestita come volete; ma in quanto poi alla conversazione, non credo che pretendiate ch'io abbia a intisichire.
PANT. No vogio che deventè tisica, ma ghe xe altro modo de conversar. Se pratica delle amighe; se va con elle alla commedia; qualche volta anca a qualche festin. Se zioga, se cena, se sta allegramente, con zente da par soo, tutti marii e mugier; ma voler praticar sti cagazibetto, sti cascamorti, sti sporchi, che va per le piazze e per le botteghe a vantarse de quel che xe e de quel che no xe; star le ore co le ore s'una carega sentai, senza far gnente, e solamente parlar in recchia, sospirar e voltar i occhi come spiritai, Beatrice cara, no sta ben, no par bon, no se puol, no se deve e no vogio.
BEAT. Dunque, per quel ch'io sento, voi siete geloso.
PANT. No, fia mia, no son zeloso. No ve fazzo sto torto de crederve capace de mal. Zelosia vol dir sospetto, e chi sospetta, xe degno d'esser tradio. Parlo per quel che vedo; digo per quel che sento. El mondo xe composto più de zente cattiva, che de zente bona. Facilmente se crede più el mal, che el ben. Chi sa el vostro contegno, no crederà che siè quella donna onorata che sè. Quella zente che pratichè, gh'ha poco bon nome, e dise el proverbio: Vustu saver chi l'è? varda chi el pratica. Onde adesso no ve parlo da mario, ve parlo da pare; lassè ste amicizie, muè(37) conversazion; tegnì un altro stil, che sarà megio per vu.
BEAT. Io vi voglio parlare con libertà , né vi voglio adulare. Tutto farò, ma lasciar le mie conversazioni è impossibile.
PANT. Lassar le vostre conversazion xe impussibile? Adesso no ve parlo più da pare! ma da mario. Beatrice, o pensè a muar vita, o parecchieve a muar aria. (s'alza) Se ve abusè della libertà , saverò el modo de metterve in suggizion. V'ho fatto patrona della mia casa, delle mie sostanze, del mio cuor, ma no del mio onor; e no sarà mai vero, che vogia sopportar che una donna matta se met...
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