L'UOMO PRUDENTE, di Carlo Goldoni - pagina 1
L'UOMO PRUDENTE
di Carlo Goldoni
Commedia rappresentata la prima volta in Mantova la primavera dell'anno 1748.
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR
ANDREA QUERINI
PATRIZIO VENETO
E SENATORE AMPLISSIMO
Io non so veramente senza arrossire presentarmi coll'umile offerta di questa mia Commedia a V.
E., che occupata nelle gravi incombenze del Pubblico Governo, o ritirata in mezzo ai libri nel suo sceltissimo studio, è sempremai accostumata ad alti pensieri ed alle più serie applicazioni.
Ma dovrei certamente arrossir di vantaggio, se, non potendo la mia bassezza dare a' miei ossequiati Padroni e Protettori benefici altra più luminosa testimonianza del mio profondissimo particolare rispetto e della mia umilissima riconoscenza, non mettessi in fronte d'alcuna delle mie Opere il nome veneratissimo di V.
E., tra gli altri venerabili nomi di cui le ho fregiate sinora e son tuttavia per fregiarle.
Qual giustissima taccia della più vergognosa ingratitudine non sarebbe per meritarmi una omission così rea, mentre principalmente è a tutta Venezia palese con quale benignità V.
E.
da ben tre anni in qua suol riguardar me e le cose mie; con qual cortese affabilità si degna di accogliermi; con qual profusione infine di beneficenze fa comparire agli occhi del Mondo l'onore accordatomi dell'autorevole suo patrocinio?
Ella è opera di questa rispettabile protezione, che hammi procurata la mia buona fortuna, la tranquillità stessa colla quale scrivo le mie Commedie, e il coraggio con cui mi espongo a darle alle stampe, senza che m'inquietino le ciance di alcuni, o mi faccia paura il viso arcigno di altri.
Il generoso compatimento che dona alle mie Opere un Soggetto di così fino discernimento, com'è V.
E., deve a ragione far diffidare del proprio talento chiunque fosse per giudicarne diversamente; e la benevolenza d'un Personaggio così ragguardevole per Virtù, per Nobiltà, per Dignità per cospicue Aderenze, deve ispirar del riguardo alla malignità la più rabbiosa.
Qui sarebbe il luogo, Eccellentissimo Signore, di metter in vista alcun poco quell'ammirabile genio, che vi ha reso posseditore perfetto non meno di tutte quelle morali, civili e politiche virtù che son utili alla Repubblica, che delle scienze più profonde e della più colta Letteratura; di esaltar le glorie non mai interrotte per secoli del vostro illustre Casato, vero esempio della Nobiltà più cospicua; di rilevar lo splendore che in Voi ridonda dalle Porpore, o secolari del Padre e dell'uno de' Zii, o ecclesiastiche dell'altro, vero onore non meno del Sacro Cardinalizio Collegio, che della inclita Patria e di tutta la Letteraria Repubblica.
Ma io debbo religiosamente ubbidire al preciso comando che fatto mi avete, di tenermi in un rigoroso silenzio su questi punti, allora quando mi avete generosamente accordata la permissione di dedicarvi una delle mie Commedie.
Mi sottopongo adunque anche in ciò al vostro volere, con quella stessa rassegnazion rispettosa, colla quale unitamente a questa mia Commedia, intitolata L'Uomo Prudente, mi do l'onore di umiliar a V.
E.
la mia reverentissima persona.
Di Vostra Eccellenza
Umiliss.
Devotiss.
Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
L'Uomo Prudente che in questa mia edizione fiorentina tiene il luogo di Commedia XXV, era la terza nella edizione di Venezia nel Tomo I.
Allora l'accompagnai con una lettera all'Editore; e buon per me che il medesimo l'ha stampata, poiché serve ora per mia giustificazione contro l'esclamazioni di un zelantissimo Autore, il quale da questa Commedia sola mal concetto formando delle opere mie, le ha senza leggerle condannate.
Pregoti, Lettor carissimo, di scorrere attentamente questa mia lettera, che ora trascrivo, e rileverai in appresso il motivo del mio rammarico.
Ho letta di volo e ho corretta all'ingrosso la terza (Commedia), che destinata abbiamo alla stampa.
Ve la rimando, perché non manchi materia al torchio; e vi prego, circa all'ortografia, facciate che il Correttore supplisca.
Dal principio del Carnovale passato io non ho più veduto rappresentare l'Uomo Prudente, e né tampoco ho avuto tempo di leggerlo; onde, ripassandolo ora alla meglio, mi ha fatto specie, come se cosa nuova e non mia fosse effettivamente.
Mi son consolato delle cose che mi paiono buone, ne ho scoperte delle cattive, e ho deciso dentro di me medesimo, che quando ho scritta la presente Commedia, non avevo ancora spogliata affatto la fantasia di tutti i pregiudizi del Teatro corrotto, e che mi compiacevo tuttavia del sorprendente e di una estraordinaria virtù.
In quel tempo fece la sua gran comparsa l'Uomo Prudente, a fronte del cattivo Teatro.
Non so se in oggi avrà la stessa fortuna a fronte delle Commedie mie posteriori, le quali hanno in loro più natura, più verità, miglior condotta e stile migliore.
Qualunque sia per essere l'evento di un tal confronto, sarà forse male per la Commedia, ma non sarà male per me, s'ella rimarrà indietro per cagione delle altre mie, le quali amo tutte egualmente.
Voi avreste piacer di sapere quali sieno i difetti che ho io scoperti nell' Uomo Prudente; ma non sono così goffo che dirvelo io voglia, poiché vi potreste far merito palesandolo a qualche Amico, e in poco tempo si divulgherebbe la mia sentenza data da me contro di me medesimo, e aprirei gli occhi io stesso a chi forse gli ha ancora chiusi.
Questa Commedia è stata reputata per buona da gente molto più dotta, molto più dilicata di me; e gli scrupoli miei saranno fors'anco ingiusti, e li averò concepiti forse in grazia d'una nuova maniera di pensare, di cui mi sono coll'andar del tempo invaghito.
La prudenza di Pantalone mi sembra ora un poco troppo eccedente; il fine della Commedia alquanto sorprendente ed estraordinario; ma a fronte delle Commedie che vedevansi due anni sono, questa mia è un zucchero.
Chi vorrà criticarla e la porrà in confronto delle altre mie, mi farà sempre onore, ed io sarò stato il primo che averà detto lo stesso, e voi ne sarete sempre legittimo testimonio, pregandovi di conservar questa lettera per autentica di una tal verità.
È uscito in quest'anno alla luce in Roma un libro che ha per titolo: De' vizj e de' difetti del moderno Teatro ecc.
Ragionamenti VI.
L'Autore ha fatto pompa di una diffusissima erudizione, e non può negarsi che egli non sia dotto, elegante e brioso.
Circa all'utilità dell'opera io non darò giudizio, riportandomi in ciò al Novellista Fiorentino, il quale dando notizia di cotal libro nella Novella 42 dell'anno 1753, colonna 662, sul fine così ragiona: Non so chi sia l'Autore del libro; ma all'apparenza non è religioso, ed io esorto i miei Fiorentini a non lo leggere.
Parlerò di quello che tocca a me solamente.
Nel primo Ragionamento, pag.
59, condanna l'Autor suddetto questa mia Commedia: convien dire ch'egli non abbia letta la lettera all'Editore, poiché trovandola da me medesimo condannata, sarebbesi risparmiata la briga.
Dice egli aver di questa sola Commedia mia parlato, perché questa specialmente gli fu lodata da alcuni, come ben regolata e ben condotta: disgrazia sua, e disgrazia mia, che abbiamo dato in persone di cattivo gusto.
S'egli avesse avuto la sofferenza di leggere qualche altra Commedia mia, spero che avrebbe di me parlato con più carità e discretezza, e a fronte di tante Città d'Italia, che onorano le Opere mie per la loro onestà, sarebbe egli solo, che di scorrette e pericolose tacciate le avesse.
PERSONAGGI
PANTALONE de' BISOGNOSI mercante veneziano, uomo prudente;
BEATRICE sua seconda moglie;
OTTAVIO suo figliuolo del primo letto;
ROSAURA sua figliuola del primo letto;
DIANA vedova, amante di Ottavio;
LELIO cavalier servente di Beatrice;
FLORINDO amante di Rosaura;
Il GIUDICE CRIMINALE della città;
ARLECCHINO servo in casa di Pantalone;
BRIGHELLA servo in casa di Pantalone;
COLOMBINA serva in casa di Pantalone;
NOTAIO;
BARGELLO;
Un CUOCO;
Birri;
Quattro bravi.
La Scena si rappresenta in Sorrento, principato del regno di Napoli.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Notte.
Camera di Beatrice, con tre tavolini e sedie, candelieri con candele accese, e sei tazze di tè.
BEATRICE a sedere al tavolino di mezzo.
LELIO a sedere accanto di lei.
DIANA a sedere al tavolino a parte sinistra.
OTTAVIO a sedere presso di lei.
ROSAURA a sedere al tavolino a parte dritta.
FLORINDO accanto di lei.
Tutti bevendo il tè.
BEAT.
Signor Lelio, sentite com'è grazioso questo tè.
LEL.
Non può essere che grazioso ciò che viene dispensato da una mano, ch'è tutta grazia.
BEAT.
Voi sempre mi mortificate con espressioni di troppa bontà.
LEL.
Il vostro merito eccede qualunque lode.
Poh! che peccato! Un vecchio di sessant'anni ha da possedere tanta bellezza nel core degli anni suoi!
BEAT.
Ah! non mi ritoccate sì crudelmente le piaghe.
LEL.
Il signor Pantalone non meritava una seconda moglie sì vaga e sì graziosa.
BEAT.
Quietatevi, vi dico, e bevete il tè, prima che si freddi.
(intanto gli altri quattro parlano piano fra di loro)
OTT.
Ah! signora Diana, voi mi mortificate a ragione.
Sarebbe ormai tempo ch'io vi mantenessi la parola che già vi diedi, e vi rendessi mia sposa; ma mio padre non vuole in verun conto acconsentire ad un tal matrimonio.
DIA.
Ma qual è la ragione, per cui il signor Pantalone si oppone alle nostre nozze?
OTT.
Io credo che sia l'interesse.
Mi disse, giorni sono, che aveva per me un partito di una figlia d'un buon mercante con sessanta mila ducati di dote; e voi, benché siate nata gentildonna e siate stata moglie di un colonnello, non vi considera, perché non avete una ricca dote.
DIA.
Ma voi che pensate di fare?
OTT.
Sposarvi a dispetto di mio padre, anche quando dovessi rovinare la casa.
La signora Beatrice mia matrigna è già dalla mia, e contribuirà molto a nostro vantaggio.
DIA.
Amica, il signor Ottavio mi consola; dice che voi sarete per noi.
È egli vero? (a Beatrice)
BEAT.
Certo, è giustizia.
FLOR.
Ma, signora Rosaura, almeno un'occhiata benigna per carità.
ROS.
Siete curioso! Fra tanta gente io mi vergogno.
FLOR.
Possiamo andar a passeggiare nel corridore.
ROS.
Certo, da solo a sola! Bella cosa, signorino!
FLOR.
Ma non vi è a grado né sola, né in compagnia: come abbiamo dunque da contenerci?
ROS.
Questo tè non mi piace niente.
Mangerei più volentieri una zuppa nel latte.
FLOR.
A proposito! Ma, cara Rosaura, non mi volete voi bene?
ROS.
Uh! zitto, che non vi sentano.
BEAT.
Signor Florindo, che fate là con quella scimunita? Siete bene di cattivo gusto.
ROS.
(La signora sputa sentenze).
(da sé)
FLOR.
Io ho tutto il mio piacere, quando sono presso la signora Rosaura.
BEAT.
Eh, che un giovane della vostra qualità non deve perdere il tempo così inutilmente.
Non vedete che figura ridicola? Merita ella le vostre attenzioni? Venite qui, venite qui, che starete più allegro.
ROS.
(La signora Beatrice mi è veramente matrigna; non mi può vedere).
(da sé)
FLOR.
Ma signora, voi siete bene accompagnata.
(a Beatrice)
BEAT.
Eh, venite, che faremo la conversazione in terzo.
LEL.
Sì sì, amico, venite anche voi a godere dell'amabile compagnia della signora Beatrice.
FLOR.
Ma io...
BEAT.
Ma voi, padron mio, vi abusate della mia sofferenza.
FLOR.
Perdonate, sono da voi.
(Rosaura, per non disgustarla, conviene ch'io vada.
Vogliatemi bene).
(piano a Rosaura, e va vicino a Beatrice)
ROS.
(Pazienza! Non mi lascia avere un momento di pace! Povera madre mia, dove sei? Tanto bene che mi voleva! Tante carezze che mi faceva! Ed ora ho da essere strapazzata dalla matrigna? Pazienza! Pazienza! Lo voglio dire a mio padre).
(da sé, piangendo)
BEAT.
Guardate la vostra innamorata; piange come un bambolo.
Che ti venga la rabbia! Se fosse mia figlia vera, la bastonerei come un cane.
ROS.
Manco male che non lo sono...
BEAT.
Zitto là, pettegola.
ROS.
(Uh povera me, la gran bestiaccia!) (da sé)
OTT.
Ho inteso tutto.
Non dubitate, che sarete servita.
Le cento doppie, che avete di debito, le pagherò io.
Le gioje già sono ordinate, e i due tagli d'abito domani li avrete a casa.
(a Diana)
DIA.
Ma non vorrei che vostro padre...
OTT.
Che mio padre? Che mio padre? Sono padrone io al par di lui.
...
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