L'UOMO DI MONDO, di Carlo Goldoni - pagina 1
Carlo Goldoni
L'UOMO DI MONDO
Questa Commedia fu rappresentata pder la prima volta in Venezia nel Teatro di San Samuele nell'anno 1738.
non come presentemente si legge, ma per la maggior parte all'improvviso.
AGLI ECCELLENTISSIMI SIGNORI
ANDREA E BERNARDO
FRATELLI MEMO
PATRIZII VENETI
Non so se l'EE.
VV più si ricordino di una grazia, accordatami tre anni or sono.
La cosa non merita di avere occupato per tanto tempo la loro memoria, ma io sì l'ho sempre avuta presente, e ho sospirato il momento di profittarmene.
Nel loro Palazzo (antichissima abitazione de' Memi sino ai primi tempi della Repubblica) venni per essere favorito da uno, e partii onorato da due.
Mi.
fu concesso in quel giorno, che io potessi decorare le opere della mia edizione col nome grande di una sì illustre Famiglia, e per colmo di grazia, che potessi imprimere, fra i nomi de' miei Protettori, quelli di due Fratelli, di tanta virtù e di tanta gentilezza forniti.
Viveva in allora l'Eccellentissimo Signor Cavaliere Andrea di gloriosissima ricordanza, stella luminosissima di questo Cielo, che nei Governi, e nel Senato, e nel Collegio Serenissimo, e dappertutto, e sempre, fe' salire sino all'ultimo grado la sua virtù, il suo zelo e l'amore per la Patria, per la verità e per la giustizia, nemico dell'interesse, nemico della vanità e della pompa, e amico solo del pubblico bene, al quale ha consacrato tutti i giorni della sua vita, non meno fertile di pensieri e robusto, ottuagenario ancora, quale brillar si vide nell'età più vegeta nei più malagevoli impieghi esterni delle Imbasciate, memorabile fra le altre quella in Costantinopoli, ove in carcere ancora nelle sette Torri, esigeva stima e rispetto sino dai Ministri Ottomani.
Ebbi parecchie volte l'onore di sedergli dappresso alla sua tavola, mercè di loro, degnissimi signori suoi Nipoti; e quantunque avesse occupato sempre lo spirito dai gravissimi pesi della Repubblica; non isdegnava di scender meco a ragionamento sulle Comiche mie fatiche.
Ei che pensava sempre alla, felicità del Paese, credeva coll'egregio, celebratissimo Muratori, e coll'eruditissimo Marchese Maffei, e con tanti altri antichi e moderni saggi, accreditati Scrittori, che le morate Commedie utile cosa fossero, e da desiderarsi da un ben regolato Governo.
Non so se Voi, Eccellentissimo Signor Andrea, mosso prima dalle fondate massime di uo Zio sì celebre e si accreditato, ovvero dai propri pensieri, innamorati della Verità niente meno di lui, sino da' primi anni, nei quali la giovinezza poteva giungere a conoscere il bene e a preferire il meglio, pensaste a rinvenire i buoni principii e le sicure tracce, per procacciare al Paese vostro questa parte di pubblico bene, coll'idea di togliere dai Teatri le oscene, mal tessute Commedie, e altre castigate, piacevoli, sostituirne.
Frattanto che da Voi lavoravansi i bei disegni, fec'io ritorno in Patria, dopo l'assenza di quattro anni, e siccome qualche saggio aveva io dato al pubblico di una simile mia inclinazione, avendola coll'esempio degli stranieri animata assai più, mi diedi di proposito a coltivarla, per quanto mi permisero gli scarsi talenti miei.
L'opera mia ottenne dal pubblico un clementissimo aggradimento; l'ottenne ancora dall'Eccellenza Vostra, e quantunque fosse in allora, e sia di presente non meno, distante troppo dalla lucida vostra mente la mia, aveste però la degnazione di dirmi, avere io prevenuto il progetto da Voi formato, e lasciare a me il carico di proseguirlo.
Mi onoraste comunicarmi i Vostri savi divisamenti, e li trovai sì ben fondati, che mi consolai meco stesso e coll'Italia nostra, che volea dar principio a risvegliare gl'ingegni per trarsi di dosso le spoglie servili della Commedia sì mal corrotta.
Questa, che a Voi ed al degnissimo Fratello Vostro umilmente raccomando e consacro, è una di quelle da me date al pubblico all'impazzata, in tempo che non erami ancora formato in mente il novello disegno.
Pareva in allora, che non valessero i Comici per una Commedia interamente studiata, e che il pubblico non avesse d'accostumarsi a soffrirla, onde la scrissi in parte, e in parte lasciai in balìa de' Comici il dialogarla.
Vidi in progresso quanto era pericoloso affidar i caratteri e le parole di una Commedia ai recitanti, per lo più senza studio, e soggetti a non avere ogni giorno la stessa lena, onde pensai a tessere interamente dopo le mie Commedie, e alcune delle mie, ch'erano in parte scritte, proposi di volere stendere intieramente.
Questa è una di quelle; se la ricorderà forse V.
E.
col titolo nostro Veneziano Momolo Cortesan, e vedrà ora la differenza che passa fra la Commedia scritta e la non scritta, e tanto più si confermerà nel saggio pensiere; e verso di me si accrescerà nell'animo suo la favorevole propensione:
Voi pure, Eccellentissimo Signor Bernardo, che di più alti studi vi compiacete, so che non isgradite le comiche mie fatiche, siccome quelle che dal Fratello Vostro vengono favorite, e dalla nobilissima Genitrice Vostra benignamente protette.
So che a due Fratelli sì illustri e dotti, quali Voi siete, altro maggior tributo si converrebbe; ma permettetemi, che ora non pensi al Sangue eccelso da cui traeste i natali, all'aureo Corno che ben tre volte ha coronato i vostri maggiori, alle Imbasciate, ai Governi, alle dignità primarie che li ha in ogni secolo decorati, né alle parentele insigni, né agli infiniti meriti della vostra benemerita, antica, rinomata Famiglia, ché, a ciò pensando, mi avvilirei giustamente dentro di me medesimo, e mi ritirerei dal pensiero di presentare un'opera mia al pubblico, onorata del nome Vostro.
Ma Voi mi avete, come dissi a principio, la grazia accordata di poterlo fare, e per farlo coll'animo tranquillo e quieto, altro che al vostro cuore pensar non deggio: questo in Voi due è sì docile per natura, è sì amoroso e benefico, che mirando soltanto l'animo di chi offerisce, non sa formalizzarsi della picciolezza del dono.
Son certo, che non solo Vi degnerete gradire una Commedia, ma senza curarvi di confrontarla colle altre mie, Vi parerà la migliore, perché con sincero animo ed ossequioso ve la offerisco, ed alla vostra protezione la raccomando.
Delle EE.
V V.
Umiliss.
Dev.
Obblig.
Servidore
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE.
Dalla precedente lettera dedicatoria avrai rilevato, Lettor benevolo, essere questa Commedia, che or ti presento, la stessa che diedi al pubblico molto prima, parte scritta, parte non scritta, intitolata: Momolo Cortesan.
Questo titolo Veneziano, che pronunciamo noi cortesan, e in Toscano direbbesi Cortigiano, non suona lo stesso che altrove intenderebbesi, né in forza di addiettivo, né in forza di sostantivo.
Intendesi da noi per Cortesan un uomo di mondo, franco in ogni occasione, che non si lascia gabbare sì facilmente, che sa conoscere i suoi vantaggi, onorato e civile, ma soggetto però alle passioni, e amante anzi che no del divertimento.
Tale è il Protagonista della mia Commedia, Cortesan in Venezia: Uomo di Mondo altrove considerato.
Lo disegnai da principio Veneto di nazione; e quantunque abbia moltissimo cambiato della Commedia, non ho voluto cambiare né la patria, né il linguaggio di Momolo, che altrove si direbbe Girolamo, perché alcune grazie della nostra lingua e alcune pratiche del Paese parmi che più convengano all'azione della Commedia.
Allora quando l'esposi la prima volta, ebbe un esito assai fortunato.
Si recitò di seguito parecchie sere, e molti anni dopo fu sempre fortunatissima.
Ma il pubblico in tali giorni si contentava di molto meno.
Avvezzo a sentir Commedie snodate, e sempre sentir ripetere le stesse cose, un poco di novità, un poco di buona condotta, un carattere originale bastava per guadagnarsi l'applauso.
Oggi non va così la faccenda.
Si cerca il pelo nell'uovo, e si giudica colla bilancia.
Ho principiato io colla Donna di garbo a mettere in una Commedia sei o sette caratteri originali, oltre al Protagonista, e tutti interessarli con episodi che costano della fatica.
I Francesi non accostumano così.
Lo soglion fare gl'Inglesi, ma questi poi non hanno la soggezione delle unità.
Ma oramai è vano il parlarne; fissato è il gusto Italiano, e per chi vuole aspirare a piacere al pubblico, gli convien battere questa strada.
Nel riformare questa Commedia ho seguitato il sistema nostro più che ho potuto.
Non ho risparmiato la critica, la moralità, l'intreccio, il costume.
Bramo che il pubblico si assicuri del mio rispetto, e i miei Associati non siano malcontenti di me.
Per essi ho faticato nel presente Decimo Tomo, che per altro, anziché impiegar tanto tempo nel riformar queste tali Commedie, e nello scriverle intieramente di nuovo, le avrei gettate nel fuoco.
Dirà taluno: Perché non darci di quelle che hai scritte nel corso di ben tre anni, e che sappiamo non essere delle tue peggiori? Perché non darci la Sposa persiana, il Filosofo inglese, il Terenzio, il Torquato Tasso, il Festino e tante altre, che sappiamo ascendere al numero di ventiquattro almeno? Signori miei, queste sono riserbate pel mio nuovo Teatro Comico che uscirà a momenti dai torchi del Sig.
Francesco Pitteri in Venezia: saranno due Tomi l'anno, e chi vorrà provvedersene, le averà dappertutto da' buoni corrispondenti del Libraio suddetto.
Personaggi
MOMOLO mercante giovane veneziano
NANE gondoliere veneziano
LUDRO imbroglione veneziano
Il dottor LOMBARDI
ELEONORA figliuola del Dottore
LUCINDO figliuolo del Dottore
SILVIO forestiere
BEATRICE moglie di Silvio
SMERALDINA lavandaia
TRUFFALDINO fratello di Smeraldina facchino
OTTAVIO
BRIGHELLA locandiere
BECCAFERRO bravaccio
TAGLIACARNE bravaccio
CAMERIERI di locanda
SERVITORI
Un altro GONDOLIERE che parla
La Scena si rappresenta in Venezia.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Strada con canale in prospetto, da un lato la casa del Dottore Lombardi,
e dall'altro la locanda di Brighella coll'insegna del Fungo.
Vedesi arrivare una gondola col suo GONDOLIERE.
SILVIO e BEATRICE da viaggio sbarcano.
TRUFFALDINO sta in attenzione, per portar se occorre.
LUDRO in disparte,
che osserva, poi BRIGHELLA dalla locanda.
GOND.
Per terra(1).
(gridando forte)
TRUFF.
Son qua mi.
Volìu che porta la gondola?
GOND.
No vôi che portè la gondola, sior martuffo(2), ma sto baul.
TRUFF.
Dove l'hoi da portar?
GOND.
Qua, alla locanda del Fongo.
LUD.
(Vôi veder de introdurme con sti forestieri, per veder de beccolar(3) qualcossa, se posso).
(da sé)
TRUFF.
Quant me vulì dar a portar sto baul? (al Gondoliere)
GOND.
Cossa serve? Avè da far con dei galantomeni.
SILV.
Accordatelo voi.
Noi non siamo pratici del paese.
BEAT.
Questo star sulla strada non mi accomoda.
In altri paesi vengono i camerieri delle osterie a ricevere i forestieri.
Qui non si vede nessuno.
LUD.
Comandele che le serva? che chiama mi i omeni della locanda?
SILV.
Mi farete piacere.
Ma ditemi, è buono l'albergo? trattano bene?
LUD.
Veramente nol xe dei meggio de sto paese; ma el patron l'è un bergamasco, galantomo, mio amigo, che anca a riguardo mio ghe userà tutte le attenzion imaginabili per ben servirle.
Le servo subito.
O de casa! (batte alla locanda) (Brighella me darà el mio utile, se ghe meno sti forestieri).
(da sé)
BRIGH.
Chi batte? Oh, sì vu, missier Ludro?
LUD.
Son mi.
Ve consegno sti do forestieri, e ve raccomando trattarli ben, perché i merita, e perché me preme.
BRIGH.
Farò el possibile per ben servirli.
I sarà, m'immagino, marido e moglie.
LUD.
Senz'altro.
Ste cosse no le se dimanda.
Un letto solo, non è vero? (a Silvio)
SILV.
Siamo marito e moglie; un letto solo ci basta, ma almeno due camere sono necessarie.
LUD.
Certo, do camere.
Una per dormir, L'altra per ricever.
A sto zentilomo bisogna darghele; bisogna servirlo ben.
BRIGH.
La resta servida.
SILV.
E circa il prezzo...
LUD.
La lassa far a mi; Brighella xe un omo discreto, e quel che nol fa per mi, nol farà per nissun.
Sta zentildonna no sta ben in strada; che la resti servida.
BEAT.
Andiamo dunque.
(a Silvio)
SILV.
Entrate col locandiere, che ora vengo; ho da far portare la roba, ho da pagare la gondola.
BEAT.
...
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