L'INCOGNITA, di Carlo Goldoni - pagina 1
L'INCOGNITA
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa, rappresentata per la prima volta in Venezia
il Carnovale dell'anno 1751.
A SUA ECCELLENZA
LA SIGNORA CONTESSA
MARGHERITA PARACCIANI MARESCALCHI
Alcuni Amici miei, nobilissima Dama, mi van dicendo che anche le lettere, colle quali dedico e raccomando le Commedie mie, vengono lette con avidità e con piacere.
Ciò non può essere certamente né perché sieno da me elegantemente scritte, né perché in esse studiato mi sia d'introdurre cose piacevoli, che non è questo il fine per cui son fatte: la ragione sarà piuttosto, perché avendo io fatta scelta, nel dedicare le Opere mie, di personaggi illustri per grado, per nobiltà o per dottrina, godesi da ciascheduno sentire di quelli i meriti, le virtù, i fregi, e quei precisamente che nella serie de' Mecenati miei si ritrovano, concepiscono degli altri maggior diletto, in compagnia veggendosi di tante eroiche persone, che della protezione loro mi onorano; ma che diranno eglino, allora quando il nome vedranno impresso dell'E.
V.
ne' fogli miei?Di questo si consoleranno assaissimo tutti, e correranno con giubbilo a leggere questa ossequiosa mia lettera, in cui cose ritroverebbono alla espettazione loro conformi, se stile avessi e valor bastante per dar al Mondo la giusta idea degl'infaniti meriti di una così gran Dama.
È nota bastantemente la Famiglia nobilissima da cui nata siete in Roma, e vive ancora colà il nome del fu Eminentissimo Paracciani, dietro l'orme di cui Vanno i virtuosi Fratelli vostri, fra' quali Monsignore Auditor di Ruota, pieno di meriti e di sapere; nota è parimente la Casa illustre de' Sorbellongi romana, dove feste voi collocata, con prime nozze, arricchendola d'un Figlio maschio, che nato da sì gran Madre, non può che promettere la felicità de' parenti suoi.
Cessato di vivere dopo il corso di pochi anni il Consorte vostro in Roma, passaste a felicitarne un altro in Bologna, e ornare col pregevole acquisto della persona vostra la Città medesima, che vi adora.
Conosciuta è niente meno la famiglia nobilissima, antica, de' Conti Marescalchi, sua Eccellenza il signor Senatore Vincenzo, degnissimo vostro Sposo, è un Cavaliere pieno di mille fregi, reso da voi lietissimo e giubbilante nell'anno scorso col pargoletto vezzoso dato da voi alla luce,, destinata essendo dal Cielo a portare ovunque voi siate le celesti benedizioni.
Tutto ciò non per tanto in ogni parte è palese; e quello che può interessare moltissimo l'altrui curiosità, consiste in una relazione dei personali infiniti meriti vostri.
Vero è che la fama anche di questi ne ha sparso il grido, ma da me, che la fortuna ho avuto di potervi da vicino ammirare, s'attenderà facilmente dai più lontani dell'E.
V.
il ritratto.
Questa per me sarebbe un'occasione di farmi onore davvero, quando sapessi non dirò i lineamenti del vostro dolce viso dipingere, ma le belle qualità che vi adornano bastantemente spiegare.
Pare che noi Poeti sogliamo sempre ingrandir le cose; che i ritratti nostri sieno eccedenti il vero, e perciò sono le lodi nostre sospette, giudicandole il volgo o dall'interesse, o dall'adulazion partorite.
Grazie al Signore, non sono io da veruno di questi vizi attaccato, e pur troppo il dire la verità mi ha recato non piccioli pregiudizi.
Ma quando anche nel ragionare di V.
E.
volessi eccedere, non potrei farlo, poiché contenendomi nei limiti della natura umana, senza i pazzi trasporti di quelli che vogliono divinizzare le persone che vivono, nulla dir posso di grande che in voi non si trovi, e non sorpassi il modo mio di spiegarmi, onde quando mi studi a far di voi il miglior ritratto ch'io sappia, dirà chi vi conosce: non la somiglia.
Lo diranno poi anche per quella ragione medesima, per cui a cotal critica sono i più celebri ritrattisti soggetti.
Convien riflettere in qual punto di vista l'originale è copiato, Taluno considera più una bellezza d'un'altra.
Pare a talun altro che meno un qualche fregio sia rilevato, e siccome in V.
E.
tutti sono perfetti, con tanti colori vivi, non è sì facile far che tutte le parti abbiano un egual lume.
S'io voglio, per esempio, far rilevare la vivezza del vostro spirito sorprendente, brillante, non trovo, per dargli risalto, quelle ombre che in qualche altra spiritosa si truovano; ma colorir dovendo con egual forza la vostra esimia prudenza, due forti colori uniti potrebbono per me, che pochissimo so quest'arte, produrre una confusione.
Trattandosi però d'un ritratto di virtù morali, che non sopra una tela, ma va sui fogli colle parole impresso, posso disimpegnarmi, asserendo che il tempo e le occasioni fanno ora l'una, ora l'altra di queste due virtù maggiormente risplendere, sendo voi spiritosissima, quando la conversazion lo permette, savissima, quando l'opportunità lo richiede.
Così delle altre vostre prerogative parlando.
La gentilezza e il contegno, la splendidezza e la moderazione, il frizzo e la nobiltà de' pensieri spiccano in voi a vicenda, anzi regnano in voi con armonia perfetta, senza confondersi nelle azioni loro diverse, perché regolate dalla virtù, che è la base fondamentale d'ogni vostra interna bellezza.
Sinora parlato ho di que' ritratti che far si sogliono colla penna ma se il pregio avessi, che ha il valoroso Pietro Zanotti, di farli, e con questa, e con il pennello, vorrei studiarmi anche adesso di dipingervi sopra una tela qual vi ho veduta, per sei sere, due anni sono, in Bologna in abito da Ermione.
Fortunata Andromaca di Racine, tu eri bella più che non sei, recitata colà da una sceltissima compagnia di Dame e di Cavalieri.
Andromaca coi dolcissimi modi suoi mi ha fatto piangere per tenerezza, Pirro mi trasportava in Grecia colla verità dell'azione, e Oreste destava in me la maraviglia per una parte, e la compassione per l'altra; ed Ermione? Ah, la bellissima Ermione un carattere sosteneva da non piacere agli animi alla pietà inclinati, ma sapea mescere di tante grazie gli accorti detti e le simulate passioni, che amabile si rendeva, anche nell'atto di tormentare.
Il celebre Autor Franzese ebbe animo in questa Tragedia sua di far vedere in Ermione quanto abbia poter la donna sopra d'un cuore amante, e diedele tai sentimenti e tale arte, atta a far delirare.
Ma se avesse veduta Racine questa nobile novella Attrice, confessato avrebbe egli stesso, che più delle artifiziose parole sue, forza hanno due neri occhi brillanti, con tale industria or da fierezza, or da pietà regolati, che arte non val poetica né a descrivere, né a immaginare.
Questa è l'unica volta ch'io ho saputo invidiare un Autor Franzese, e veggendolo sì fortunato, che al sommo grado fosse l'opera sua per sì bella ragion portata, se in volto della Greca Ermione tanto potere locato avessero i Numi, compatibili state sariano le furie d'Oreste; e quell'istesso impareggiabile Attore, che in faccia vostra un tal personaggio eccellentemente rappresentava, con tutto che fornito egli sia d'uno spirito e d'una vivacità sorprendente, non so come egli potesse anche nella finzione resistere.
Tempo è ormai ch'io esca d'un tal proposito, in cui mi sarò forse troppo arditamente diffuso; ma tanta è l'impressione che fecesi nell'animo mio allora, che con piacer ne ragiono, e come dissi, vi dipingerei anche adesso, se l'arte avessi di farlo.
Meglio per me sarebbe per altro ch'io descriver sapessi le morali virtù che vi adornano, e lo farei ben anche, se avessi la perfetta cognizione di esse posseduta dal celeberrimo Dottor Francesco Zanotti, che le ha sì bene descritte in quel suo eccellente trattato della Morale Filosofia, in compendio ridotta, regalatomi gentilmente dall'amico vostro, 1'eruditissimo Signor Conte Gregorio Casali.
Leggete pure, nobilissima Dama, col genio vostro alle Lettere, un cotal libro, e troverete in esso di che consolarvi, quelle virtù, quelle massime rilevandovi, che in voi medesima sono e per natura, e per istudio e per educazion radicate; e siccome consiglio tutti a studiare su tal volume la vera virtù, per l'amore che deesi alla medesima avere, e per la facilità che in esso trovasi di ben conoscerla e di fondatamente impararla, così animare li voglio eziandio a farlo, per concepire quell'idea del merito vostro, che a non dà l'animo colle parole mie di rappresentare.
Per me dando fine a questo ossequioso mio foglio, restringerommi soltanto a supplicare l'E.
V.
di accogliere sotto gli auspici dell'alta protezione vostra questa Commedia mia, che umilmente vi raccomando.
Ella ne ha bisogno più di alcun'altra, perchè di un genere romanzesco poco a me familiare, e che mi può essere criticato; e il nome che porta in fronte dell'E.
V.
può renderla rispettata e gradita.
Qualunque siami una tal Commedia riuscita, costami più fatica di tante altre, e almen per questo ho preso io ad amarla, e ingegnato mi sono di procacciarle una magnanima protettrice; spero che la benignità li V.
E.
non riguarderà la viltà dell'offerta, ma l'animo ossequioso dell'offerente, concedendomi ch'io possa in faccia del,mondo tutto gloriarmi di essere, quale mi onoro di rassegnarmi,
Di V.
E.
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Questa Commedia che ora pubblico colle stampe, diversa è forse da tutte le altre mie.
Ella è romanzesca, fatta per me non per inclinazione ch'io avessi ad un tal genere di teatrale componimento, che anzi ne son nemico, ma per un mero capriccio, in una certa occasione che a farlo mi ha stimolato.
Alcune Commedie di tal carattere esposte furono sulle Scene da un valoroso soggetto ch'io tanto venero, quanto egli me disprezza ed insulta.
Fortunate riuscirono tali composizioni, da un noto Romanzo onninamente estratte, e quantunque condannassi io dentro di me medesimo la massima di nuovamente sulle nostre Scene introdurle, l'esito m'invaghì di darne una io pure al Popolo, che del sorprendente qualche volta s'appaga.
Non volli però io, in ciò facendo, perdere soverchio tempo nella lettura di alcun romanzo, ma ideandomi una favola romanzesca, tessei con tale immagine la presente Commedia, la quale è di tanti fatti, di tanti accidenti ripiena, che potrebbe servir di sommario per un romanzetto di quattro tomi almeno.
In verità, se ozio avessi, provarmi vorrei a farlo, e intitolarlo vorrei il Bravo Impertinente.
Era questo il titolo d'una Commedia da me promessa al pubblico, fra le sedici scritte nell'anno 1750, ma venendomi voglia di far l'Incognita, in vece sua, per adempire e la mia volontà e l'impegno mio, intitolai la Commedia allora: L'Incognita perseguitata dal Bravo Impertinente.
Parratti superfluo, Lettor carissimo, ch'io voglia renderti conto di una sì frivola mutazione, ma pure ho dovuto farlo, poiché dar si potrebbe che nella edizion di Venezia piantata fosse tale Commedia nella maniera che i Comici l'hanno avuta, e parrebbe a taluno che quella e questa non fossero la stessa cosa.
Per dir il vero però, la stessissima cosa non sono, poiché pensando io a stamparla, in molte parti l'ho regolata, e colà (se non vien copiata da questa) sarà come tante altre malconcia.
Questa dunque, com'io diceva a principio, è una Commedia romanzesca, perché nel giro di poche ore una moltitudine di accidenti comprende inaspettati e strani, e talor sorprendenti; tuttavolta però studiato ho di condurli in maniera tale, che non abbiano a dirsi impossibili o inverisimili, ma solo da una estraordinaria combinazione diretti.
Se avessi prima formato o letto un Romanzo, e i fatti sparsi pel medesimo avessi unito in una Commedia, caduto sarei anch'io per necessità nell'impossibile, o nella confusione almeno, ma la Commedia originalmente tessendo, ho accomodata la favola al bisogno mio, e se gli uditori diranno dopo di averla veduta: oh quanta roba in una Commedia! non diranno almeno: oh quanti spropositi! oh quante bestialità! E chi averà la sofferenza di tener dietro al filo della medesima, partirà contento d'averla sentita.
Questo è quello però che sfuggir si deve, cioè non conviene affaticare l'uditore per modo che abbiagli a doler il capo per l'applicazione, e non possa nemmeno soffiarsi il naso, per non perdere la traccia degli accidenti; ma in cinquanta Commedie la varietà parmi non disconvenga, ed ho sentito colle orecchie mie dir più d'uno, essere questa la miglior Commedia che io abbia fatto.
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