[Pagina precedente]...corderò quind'innanzi.
P. - Suo padre le avrà detto che non è prudente l'andare in giro soli in quei dintorni. E farà bene a ricordarsene. Ma farà anche bene d'ora in avanti a parlare in un altro modo....
[63]
T. - Ma, insomma, non m'è sfuggito un errore!
P. - No; ma il suo discorso è stato una stonatura da capo a fondo, un tessuto di parole e di frasi che non s'usano mai da chi parla con naturalezza e con gusto, e che riescono sgradevoli quanto gli errori, e rendono il suo parlar corretto poco meno ridicolo d'un parlare sgrammaticato.
T. - Troppo gentile! La ringrazio.
P. - "Non porta il pregio." Ma non ponga "in non cale" i miei consigli. "Se ne rinverrà " contento e me ne "saprà grado." La riverisco e "mi dileguo."
T. - (Impertinente!)
Varie altre osservazioni che ti dovrei esporre intorno all'affettazione nel parlare, le farai tu stesso intrattenendoti qualche minuto con una rispettabile e amabile signora, che ho l'onore di presentarti.
[64]
LA SIGNORA PIESOSPINTO.
Le avevan messo questo soprannome perchè il bel modo letterario a ogni piè sospinto era uno dei fiori più frequenti del suo linguaggio abituale, tutto fiorito di parole e di frasi eleganti.
Era vedova e sola, come la Roma di Dante; non più giovane, d'ottimo cuore, stimata da tutti; ma aveva un difetto terribile, per il quale s'eran ridotti pochissimi i frequentatori del suo salottino, un tempo assai numerosi: il difetto di parlare poeticamente. Cosa tanto più strana in quanto la buona signora non la pretendeva punto a letterata, quantunque di letteratura e d'arte discorresse quasi sempre; era anzi in tali discorsi molto guardinga e modesta. Quel linguaggio, che a noi riusciva affettato, per lei era naturalissimo, ed era in fatti in perfetto accordo con tutte le altre manifestazioni del suo essere. La sua voce, il suo accento, il suo modo d'atteggiarsi e di camminare, la sua bizzarra pettinatura, tutta cernecchi e riccioli artefatti, che le tremolavano intorno al capo come bùbboli, e il suo abbigliamento tutto gale e fronzoli di gusto [65] dubbio: ogni cosa rassomigliava al suo vocabolario e alla sua fraseologia prescelta, che pareva fatta di rottami di versi. Parlava in maniera da far credere che ogni parola d'uso comune fosse per lei una parola triviale, che ogni frase famigliare le ripugnasse come una frase indecorosa. Per esempio: allegrezza, gioia, desiderio, ricordo, avvenimento, momento, erano modi sbanditi dal suo dizionario; diceva: letizia, giubilo, vaghezza, rimembranza, evento, istante. All'amico che entrava in casa sua gettava qualche volta addosso una manata di fiori poetici anche prima ch'egli si fosse seduto. - Ah, la riveggo alla fine! Che accadde di lei? Credevo che avesse spiccato il volo verso altri lidi o che fosse di mal ferma salute; vissi in affanno; s'assida, ingrato amico, e si scagioni. - Anche parlando delle cose più comuni usava questo linguaggio di gala. Era famosa fra i suoi conoscenti la frase con cui aveva annunziato a un di loro una piccola disgrazia toccata a una sua cagnetta, ricciuta e infronzolata come lei; la quale faceva un certo mugolo strano, che certi capi ameni dicevano un'affettazione. - Ah, signor mio! - aveva detto. - Tale era la moltitudine di piccoli insetti che infestavano la cute di questo sventurato animaletto....
Ma benchè affettato il linguaggio, era sempre sincero il sentimento ch'ella esprimeva. Era commossa veramente quando raccontava d'esser stata costretta, con suo gran dolore, ad espellere una vecchia fante, dopo molti anni che l'aveva in casa, per aver risaputo che quella la vilipendeva nel vicinato con le più nefande calunnie. Quale atroce disinganno! Chi avrebbe potuto [66] sospettare che con quel sembiante tutto dolcezza ella albergasse nel petto un animo così malvagio! Che schianto era stato per lei lo scoprire una nemica in quella donna, con la quale essa aveva sempre largheggiato di doni e di favori, per lei che aveva tanto bisogno di sentirsi aleggiare intorno la benevolenza e la simpatia!
Naturalmente, il maggior piacere che ci attirasse nel suo salotto era quello d'ammiccarsi l'un con l'altro e di sorridere di nascosto alle più belle delle sue frasi: dico le più belle perchè il suo discorso era un ordito così fitto di poeticherie, che non si sarebbe potuto rilevarle tutte senza farsi scorgere; del che ci saremmo vergognati. Ma essa non sospettava. Povera signora Piesospinto! Se ci avesse sentiti giù per le scale! Il suo frasario c'era diventato così famigliare che, fra di noi, andando da lei ed uscendo, non parlavamo quasi più altro che alla sua maniera. E, com'è naturale, glie n'erano affibbiate anche parecchie che non le appartenevano. Ma la più amena di tutte, qualcuno sosteneva che l'avesse detta davvero a una delle sue amiche più strette, ed era un modo comunissimo, che dice un'occorrenza altrettanto comune, nobilitato da lei nella nuova forma: - andare della persona. -
Ammirabile era la costanza con cui usava certi modi illustri invece di altri volgari, i quali non le venivano mai alla bocca, come s'ella non li avesse mai nè intesi nè letti, da tanto che le si era connaturata l'affettazione. Non diceva mai sposare, per esempio, ma impalmare; mai, non so una cosa, ma la ignoro; mai mi fa pietà , ma mi move a pietà ; mai aversi per male, ma recarsi ad onta. Gli aggettivi, più che altro, erano [67] il suo forte; non poteva metter fuori un sostantivo senza attaccargliene uno, che era sempre pescato fra i più signorili della lingua.
- È un pezzo, signora, che non è stata a Napoli?
- Da dieci anni non ho più veduto quella nobilissima città .
- Ha letto la notizia della morte del tale?
- Si, ho letto la malaugurosa notizia.
- Le ha fatto piacere la promozione di suo cugino?
- Sì, ne ho avuto un piacere ineffabile.
Colta un inverno da grave malore, e condotta in forse della vita, giacque a letto per lo spazio d'oltre due mesi, e chi la trasse a salvamento, prodigandole ogni più amorevole cura, fu un giovine medico amico nostro e suo, che della sua vezzosa favella prendeva diletto grandissimo. Con lui e con un altro frequentatore del salotto, non sì tosto ella fu fuor di pericolo, mi recai a visitarla. Poi che fummo seduti accanto al letto, la buona signora chiamò la fante, e le disse con fievole voce: - Appressati, Carolina; dischiudi lievemente le imposte, che entri un po' di chiarore....
Poi ci ringraziò, espresse la sua gratitudine al medico, ci raccontò la storia del suo malore. E fu una tal pioggia di fiori poetici da far pensare che durante la malattia glie ne fosse germinato in casa un nuovo giardino. La malattia le era saltata addosso ad un tratto, a guisa d'un colpo di folgore. Stava per uscire di casa, era già sul limitare dell'uscio, quando una subita nube le aveva come offuscato l'intelletto, e s'era impossessata di lei una così grande debolezza, che [68] appena aveva fatto in tempo a invocar soccorso, e le erano mancati i sensi. Il portinaio, la portinaia, la fante, accorsi tosto, vedendo il pallore mortale del suo volto, l'avevano creduta esanime, e s'eran sciolti in pianto; poi l'avevan portata sul suo letticciuolo, ed essa era rimasta tre giorni così, quasi inconsapevole, come in istato di sopore, agitato da torbidi sogni. E in questo modo continuò a fiorettare, fin che ci accomiatò cortesemente lei stessa, dicendoci d'uscire a più spirabil aere, ma che tornassimo presto a riportarle il refrigerio della nostra cara amicizia.
Scendendo le scale, il medico faceto ci disse che la povera signora era stata veramente gravissima; ma che anche quando si trovava in pericolo aveva sempre parlato nel modo solito. Egli si ricordava le parole testuali. - Ah, signor dottore! - gli aveva detto. - Non mi lusinghi di vane speranze: io sento bene che questa mia spossatezza è foriera di prossima fine. - E soggiunse che, sentendola parlare a quel modo, aveva riconosciuto la grande verità d'una osservazione fatta da Vittor Hugo, a proposito d'un condannato a morte, il cui discorso gli era parso mancante di naturalezza: che tutto si cancella davanti alla morte, eccetto l'affettazione: che la bontà svanisce, che la malvagità scompare, che l'uomo benevolo diventa amaro, che l'uomo duro diventa dolce; ma l'uomo affettato rimane affettato. - E concluse: - Basta, è scampata; fra un mese sarà guarita; e io ne sono felicissimo perchè, con tutti i suoi fiori poetici, è una gran buona signora.
- Ah, questo è fuor di dubbio - disse il comune amico - di gentili sensi dotata....
[69]
- E di non inculto intelletto - aggiunse il medico.
- E di non illeggiadro sembiante....
- Finiamola; non sta bene scherzare fin che non s'è rimessa; ricominceremo quando sulla sua guancia "torni a fiorir la rosa".
E si ricominciò, come Dio volle, con diletto ineffabile.
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VERGOGNA FUOR DI LUOGO.
Non basta, per parlar bene, sfuggire l'affettazione; bisogna pure, quando occorre, non aver timore di parere affettati; bisogna vincere un sentimento naturale e comunissimo, specie fra noi italiani dell'Italia settentrionale, che si potrebbe chiamare la "vergogna fuor di luogo" della lingua.
Noi, parlando italiano, siamo tutti riluttanti ad usare parole e frasi che non appartengano a quello scarso materiale linguistico che si possiede comunemente nella nostra regione, e la nostra riluttanza deriva dal timore di parer pedanti e ricercati adoperando modi insoliti; i quali appunto ci paiono strani e affettati per la sola ragione che non siamo assuefatti a dirli e a sentirli.
Per ispiegarti chiaramente la cosa ti riferisco una discussione che, mutate poche parole, dovetti sostenere e m'occorse di sentire cento volte.
Mi domanda un tale se non c'è in italiano una parola che significhi "stringer molto la persona con cintura o con busto o con altro, in modo [71] che essa paia meglio disposta, ma che non abbia più liberi i movimenti."
- Certo che c'è. Striminzire. Una ragazza striminzita nel busto. Dice anche il Giusti, per analogia, di persone striminzite in una carrozza troppo piccola.
- Striminzire! Che parola strana!
- Strana perchè? Per il suono? Non è mica più strana d'impazientire e d'indolenzire, che tutti dicono.
- Ma questa non l'ho mai intesa.
- È d'uso comune in Toscana, è in tutti i dizionari, la usano molti italiani d'ogni provincia.
- Eppure, che so io? Parlando, non l'userei.
- Per che ragione?
- Non so.... Non oserei.
- Ma per la stessa ragione si dovrebbe interdire l'uso d'una quantità d'altre parole proprie, necessarie, italianissime. Per esempio, userebbe le parole rimpulizzire, spericolarsi, spiaccicare, stintignare, baluginare, che in certi casi significano una cosa che non si può dire per l'appunto con un altro modo?
- Spiaccicare! Baluginare! Stintignare! (dopo aver pensato un po', sorridendo). - No, glielo dico sinceramente, non oserei. Saranno parole italianissime, e anche usatissime in altre parti d'Italia; ma fra noi paiono strane.
- E picchia sullo strano! Ma strana le parrà ogni parola che non abbia mai intesa. Quelle parole non paiono punto strane e affettate, paiono naturalissime a tutti coloro che le usano dove sono generalmente usate. La cagione dell'effetto che producono in lei non sta in esse medesime; ma nel fatto che lei non è usato a sentirle. Lei [72] stesso adopera ora come naturali parole e frasi che, anni fa, la prima volta che le intese, le saranno parse cercate col lumicino. Il tipo dell'affettato e dell'inaffettato, in materia di lingua, ha detto un grande maestro, non è altro che l'assuefazione.
- Avrà ragione. E non di meno.... che vuol che le dica? Se, parlando in famiglia o fra amici, mi venissero sulla punta della lingua le parole stintignare, striminzire, baluginare, me le terrei in bocca, perchè son certo che tutti quanti, udendole da me, rimarrebbero come stupiti, e direbbero fra sè, e fors'anche forte: - Cospetto! Tu peschi nel vocabolario; tu diventi un linguista. Che lusso!
- Ma se tutti ragionassero così, la lingua italiana, fra noi, rimarrebbe sempre allo stesso punto; nessuno arricchirebbe mai il suo vocabolario d'una sola parola; d...
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