[Pagina precedente]...uo bel paese, un ospite gentile mi disse sull'uscio: - Entrasse, signore, s'accomodasse; mi facesse il piacere.... - Lo dici qualche volta tu pure, non è vero? E accoppii non di rado il condizionale col condizionale: se avrei tempo, v'andrei, o: se avessi tempo, v'andassi; dico giusto? E per voi è fare un complimento anche il regalare un orologio d'oro, e dite spesso buono per "bello" e bello per "buono" e più meglio e più peggio, e insegnarsi la lezione per "impararla" e mi scanto per "mi perito" e accudire per "rivolgersi" [54] e qualche volta la prima del mese, e questa, senz'altro, per "questa città " e anche casa palazzata per "palazzo". Chiamate bevanda il caffè e latte, come se non beveste altro nell'isola, o zuppa ogni minestra, e galantuomo ogni signore; e così fosse, che sotto un bel sopratutto e dentro una camicia arricamata non si nascondesse mai una birba! Te n'ho da metter fora dell'altre? No? Queste bastano? E dunque, come dice il tuo Meli,
dunca ascuta a lu patri, e teni accura
a sti pochi e sinceri avvirtimenti.
E anche a te, bruno Sardignolo, poichè ti vedo ridendo dei sicilianismi, dirò amorevolmente il fatto tuo, quantunque del tuo bel dialetto latineggiante io sia un po' innamorato: a te che qualche volta, parlando italiano, alzi le scale invece di salirle, e culli il tuo fratellino per dormirlo, e non pigli caffè perchè non ti prova, e chiami cotti i fichi d'India maturi, e occhi cattivi gli occhi malati; a te che parti al villaggio, e torni da campagna, e vai al braccetto con gli amici, e a chi ti domanda l'ora alle dodici e dieci rispondi che è assai ora che è sonato mezzogiorno, e a chi ti rivolge domande indiscrete dici che non entri il naso negli affari tuoi, e se non la smette subito, che finisca da una volta d'importunarti. Per farla corta, non t'ho citato che una dozzina d'esempi; mi dispiace d'esser troppo pochi; ma te ne potrei pienare più pagine. A si biri, piseddu.
- Come? A me pure? - Sì, signorino, a lei pure, e spero che me lo permetta, poichè sa che le voglio un gran bene. Per insegnar la lingua [55] ai tuoi fratelli d'Italia, che ti riconoscono maestro dalla nascita, devi guardarti anche tu dai dialettismi, non con altrettanta, ma con maggior cura degli altri; non devi lasciarti sfuggir mai, neppure una volta l'anno (e ti sfuggono non di rado) voi dicevi, voi facevi, voi andavi, e dichino e venghino, e leggano per leggono, temano per temono, e lo stai e il vai imperativi, e il dove tu vai? e il che tu vuoi? e nemmeno sortire per uscire, e bastare per durare, e tornar di casa per "andar a stare" in un luogo dove non s'è mai stati. E sebbene Dante abbia detto "lascia dir le genti" è meglio che tu non dica genti in quel senso per non farmi pensare che tu parli di tutti i popoli della terra; e che suoi per "loro" abbia esempi classici, non toglie che sia più corretto il far concordare l'aggettivo col sostantivo; e m'ammetterai che a dire ignorante per "maleducato" si corre pericolo di calunniare dei sapientoni; e una "minestra diaccia" se vuoi esser giusto, non s'è mai portata in tavola da che mondo è mondo. A rivederci, bocca fortunata, e porta un bacio alla torre di Giotto.
E ora che giustizia è fatta, tiriamo innanzi.
[56]
*FQ*IL MALANNO DELL'AFFETTAZIONE.
Vi son due modi di parlar male: la sciatteria e l'affettazione. Ma questo è peggior di quello, perchè chi parla sciatto è soltanto ridicolo, e chi parla affettato è ridicolo e insopportabile. Non occorre ch'io ti dica che cos'è l'affettazione. Te lo dicono i modi proverbiali che la deridono: - Star sul quinci e sul quindi. - Parlare in punta di forchetta. - Parlar come un libro stampato. - È un misto di pedanteria e di leziosaggine. È la consuetudine di scegliere fra i modi della lingua i meno comunemente usati, credendo che il parlar bene consista nel parlar diversamente dagli altri; è il servirsi di vocaboli e di frasi poetiche, anche nei discorsi famigliari, per dir le cose più usuali e più semplici; è l'usar locuzioni e costrutti del bello stile letterario, per isfoggio di cultura e d'eleganza, in luogo d'altre locuzioni e d'altri costrutti alla mano, che si sdegnano come volgari, e che paiono volgari per la sola ragione che tutti li sanno.
Hai visto mai dei bellimbusti che fanno il [57] bocchino e par che sorridano continuamente alla propria immagine, o tengon la bocca sempre aperta per mostrare i denti bianchi; che pigliano atteggiamenti d'Apolli, gestiscono coi gomiti stretti al busto e camminano in punta di piedi, dondolandosi come le anitre e guardando intorno con gli occhi socchiusi o dilatati o languenti! Sono caricature buffe e antipatiche, non è vero? E lo stesso effetto producono quelli che parlano affettato. Ci dispiacciono perchè, parlando diversamente da noi, hanno l'aria di dirci che noi parliamo male e che dovremmo parlare come loro; non ci paiono sinceri perchè la sincerità parla semplicemente, ed essi parlano con artificio; e non li possiamo prender sul serio perchè, lambiccando a quel modo il proprio linguaggio, mostrano di dar più importanza alle parole che alle cose e di parlar soltanto per farci sentire che parlan bene.
Senti un po'. Se uno t'annunzia la morte d'un suo amico dicendoti: - Ieri, dopo una malattia lunga e dolorosa, morì il tal dei tali, mio carissimo amico; morì fra le mie braccia; le sue ultime parole furono per raccomandarmi i suoi poveri bambini, che stavano accanto al letto piangendo -, tu sei preso da un sentimento di pietà . Ma se ti dice invece: - Ieri, dopo un lungo e fiero morbo, mancò ai vivi il tal de' tali, amico mio dilettissimo; spirò sul mio seno, e i suoi supremi accenti furono per commettere alle mie cure i suoi sventurati pargoletti, che stavano all'origliere lacrimando; - tu, invece di commoverti, non credi al suo dolore, e gli dà i del buffone.
L'affettazione falsa l'espressione d'ogni affetto, [58] spunta l'arguzia, toglie forza alla ragione, vela la verità , distorna la confidenza, getta il ridicolo su ogni cosa, rende uggiose e moleste, e qualche volta anche odiose, facendole apparire sotto un falso aspetto, persone dotate di eccellenti qualità d'animo. Ed è un difetto terribile, che guai a chi s'attacca, perchè diventa in lui come una seconda natura, della quale egli perde la coscienza, e non se ne libera più per la vita. Ed è un difetto disgraziatissimo, che il mondo deride e flagella anche nelle persone più rispettabili, senza tregua e senza pietà , fino alla morte.
*
In quest'affettazione eccessiva e ridicola non c'è pericolo che tu cada. Ma ti devi guardare anche dall'ombra dell'affettazione, anche da quel difetto, nel quale quasi tutti cadiamo, di usare, parlando, una quantità di parole e di locuzioni non proprie del linguaggio parlato; fra le quali e le proprie, che non ignoriamo, e che usiamo anche spesso, ci siamo avvezzati a non far differenza. Di tali parole e locuzioni non ti posso fare un elenco compiuto, che sarebbe troppo lungo; ma ti do qualche esempio in un dialogo nel quale un Tizio mi racconta una sua avventura, ed io faccio il pedante della naturalezza sui fiori della sua letteratura.
[59]
FRA UN PARLATORE RICERCATO E UNO CHE PARLA ALLA BUONA.
TIZIO. - Giunto che fui al bivio, stetti un momento in forse se dovessi volgere a destra o a sinistra.
IL PEDANTE. - Mi permetta. Io direi: arrivato che fui al bivio, stetti un momento in dubbio se dovessi voltare....
T. - ....Se dovessi voltare a destra o a sinistra. M'arrestai, attendendo che passasse qualcuno, per chiedergli l'indicazione che mi faceva d'uopo....
P. - Mi faceva d'uopo! E se dicesse semplicemente: che m'occorreva? E invece di "attendendo": aspettando? E domandargli invece di "chiedergli?"
T. - Ma, non scorgendo anima nata....
P. - Non vedendo anima viva....
T. - Piegai a destra e procedetti fino a una chiesetta, cinta di cipressi, della quale mi sovvenne che m'aveva parlato mio padre, quando mi narrò la sua gita al castello.... Trova qualche cosa a ridire?
[60]
P. - Cinque cosette. Io direi presi invece di "piegai", andai innanzi invece di "procedetti", circondata invece di "cinta", mi ricordai invece di "mi sovvenne", mi raccontò invece di mi "narrò". Vuol seguitare?
T. - Quivi scorsi due uomini distesi al suolo....
P. - Quanto amore per quello scorgere! E perchè non lì invece di "quivi?" E stesi per terra in luogo di "distesi al suolo?" Il suolo!
T. - ....che sembravano assopiti....
P. - ....parevano addormentati, se non le par troppo comune.
T. - Sostai....
P. - Si soffermò....
T. - ....e, osservandoli, venni in sospetto che facessero sembianza, ma che non dormissero davvero. Non m'ero male apposto....
P. - Com'è detto bene! Sospettai sarebbe troppo andante; "far sembianza" è più nobile di far mostra e di fingere; "non m'ero male apposto" non è un modo di dozzina come non m'ero ingannato.
T. - Mi dileggia ella forse, signore?
P. - "Tolga il cielo!" O come può ella "accogliere" un tal pensiero? "Proceda".
T. - Di repente, infatti, quasi per accordo, si destarono entrambi, e l'un d'essi....
P. - Un momento. Mi lasci ammirare quel "di repente" per a un tratto, e quell'"entrambi" per tutti e due, e l'"un d'essi" per uno di loro. Questo si chiama "favellare"! Riprenda.
T. - (Capisco).... E l'un d'essi, con accento di cortesia, che mal s'accordava con l'atteggiamento del suo volto, mi disse: - Se passa di [61] qui per recarsi al castello, ha errato; la riporremo noi sul retto cammino....
P. - Mi perdoni. Qui, benchè ammiri ancora, mi parrebbe più naturale il dire: in tono cortese, e non corrispondeva all'espressione del suo viso. Quell'"un d'essi", poi, le avrà detto andare e non "recarsi", la rimetteremo, non "la riporremo", sulla buona strada, non "sul retto cammino...."
T. - (Che insopportabile seccatore!) Ciò dicendo, sorsero ambedue da terra, e mossero alla mia volta....
P. - Approvato, e con plauso. Io avrei detto: dicendo questo, s'alzarono tutt'e due, e vennero verso di me -; ma riconosco che avrei parlato con meno squisita eleganza....
T. - Insospettito, indietreggiai. Essi accelerarono il passo. Avevano in animo d'assalirmi, non cadeva dubbio. Si figurerà di leggieri il mio spavento! Volli gridare; ma mi venne meno la voce. Mi volsi in fuga; ma fu indarno: mi sentii afferrare da tergo; mi fu forza arrestarmi....
P. - L'arresto anch'io per un momento, per farle osservare che parla troppo bene. Avrebbe potuto dire in forma più modesta: - Mi feci indietro. Quelli affrettarono il passo. Volevano assalirmi; non c'era dubbio. S'immaginerà facilmente il mio spavento! Volli gridare; ma mi mancò la voce. Mi diedi alla fuga; ma fu inutile; mi sentii afferrare di dietro; mi dovetti fermare... E allora?
T. - Allora gridai: - Aiuto! - Per buona ventura, transitava là presso una brigata di villici, che i malfattori non avevano veduti, perchè eran celati dagli alberi....
[62]
P. - Respiro! Ma quel "transitava" per passava, e "celati" per nascosti, e "villici" per contadini....
T. - Quelli trassero tosto alle mie grida....
P. - Vuol dire che accorsero subito....
T. - I malandrini dileguarono....
P. - Come nebbia al vento.
T. - Fui salvo. Mi palpai. Non rinvenni più il portamonete nella scarsella. Non c'eran che poche lire; non porta il pregio di parlarne. Il peggio fu la paura, che non le saprei ritrarre in parole.
P. - Capisco! "Ritrarre in parole" dev'essere una cosa più difficile che l'esprimere semplicemente. Ma ella si compiace troppo del difficile. Perchè non dire alla buona che non si ritrovò più il portamonete in tasca? E perchè dire "non porta il pregio" invece di non mette conto? In somma, se l'è cavata con la paura.
T. - Se non mi toccò maggior danno, debbo saperne grado....
P. - Basta che ne sia grato....
T. - A quei buoni contadini. Ma la sera mi sopravvenne la febbre.
P. - Le "sopravvenne"?
T. - Mi prese, andiamo; mi saltò addosso. Questo m'incolse.... mi seguì per aver posto in non cale....
P. - Se dicesse per aver trascurato....
T. - .... l'avvertimento di mio padre: che non è saggio l'aggirarsi in quei pressi senza compagnia. Me ne ri...
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