[Pagina precedente]...ere la frase oziosa. Arrèstati in special modo ogni volta che trovi espressi con facilità e proprietà certi sentimenti e pensieri, dei quali a te suol riuscire difficile l'espressione, o perchè corrispondono a lati deboli delle tue facoltà , o perchè sono remoti dalla tua indole, o perchè si [344] riferiscono a cose sulle quali non hai mai fermato a lungo l'attenzione. E ritorna sulle pagine belle: non ti contentare di quella prima commozione viva e piacevole ch'esse ti destano, nella quale, come dice il Leopardi, la mente tumultua e si confonde; ma esamina, com'egli faceva, e rivolgi in mente quelle bellezze fin che esse vi piglino un posto, dove rimangano. Locuzioni, armonie, inflessioni di stile, particolarità sintattiche degli scrittori più diversi si mescoleranno nella tua memoria, si combineranno coi tuoi pensieri, e ti verranno fuori in certi momenti, senza che tu ne riconosca l'origine, come dall'intimo del tuo spirito, come nate nel tuo capo, e tutte tue; chè saranno tue veramente. Ti verranno, nello scrivere, reminiscenze inconsapevoli di tutte le scuole, di tutti i generi e di tutti i secoli della letteratura, soccorsi inaspettati, echi lontani e vicini e soffi animatori e baleni; scriverai con la cooperazione misteriosa di tutti i grandi scrittori; e ti parrà nondimeno di non ricever nulla da nessuno, perchè quello che n'avrai tolto sarà diventato tua eredità legittima, ti sarà penetrato "nei più profondi strati del pensabile", sarà diventato sostanza del tuo cervello e del tuo sangue, il tuo ingegno, la tua italianità , la parola spontanea e necessaria del tuo sentimento e del tuo pensiero.
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UN PARLATORE IDEALE.
È uno dei più cari ricordi della mia gioventù questo toscano illustre, al quale, per riuscire un grande scrittore, non mancò nè l'ingegno, nè la dottrina, nè il sentimento, nè l'arte; ma solamente la voglia di scrivere. Già dissi di lui in altri libri; ma l'impressione ch'egli mi lasciò di sè nell'animo e nella mente è così profonda, e ancor così viva, che, riparlandone, non ho coscienza di ripetere cose già dette; e se ripeto le cose, mi vien sempre fatto di dirle in modo diverso, poichè mi pare di non averle mai dette prima con bastante efficacia.
È il più ammirabile maestro di lingua parlata ch'io abbia inteso mai, quello che mi mostrò meglio d'ogni altro più eletto parlatore ciò che può la lingua italiana nel campo della conversazione agile e varia, irto di tante difficoltà per la maggior parte degl'italiani anche colti.
Si sentiva ch'era toscano; ma non negl'idiotismi di pronunzia che ai toscani si rimproverano, chè non n'aveva nessuno, non aspirando neppur leggermente la c: si sentiva nella pronunzia [346] perfetta che, fuor di Toscana, nessun italiano o pochissimi possedono, anche di coloro che hanno reputazione meritata di parlar perfettamente. Ma la pronunzia era il pregio minore del suo parlare. Il pregio massimo era d'esprimere ogni pensiero, anche più difficile, intorno a qualunque argomento, o più ovvio o più astruso, con una facilità e con un garbo impareggiabile, senza uscir mai dal tono della conversazione famigliare; di dire ogni cosa con proprietà , con finezza e con eleganza, senza che apparisse mai nel suo discorso neppure un'ombra di ricercatezza e d'ostentazione letteraria. Parlava con facilità , ma non in furia, e se qualche volta s'arrestava un momento a cercare una parola o una frase, nessuno dei suoi ascoltatori s'impazientiva; non solo, ma l'aspettazione era piacevole, perchè sapevan tutti che l'espressione aspettata veniva poi quasi sempre più felice, più calzante al pensiero di quella che alla mente loro s'affacciava. E v'erano nel suo linguaggio gradazioni finissime secondo ch'egli parlava con persone con le quali non avesse dimestichezza, o con amici stretti, o in un crocchio dove non fossero signore, o con signore. Non c'era caso che con queste gli sfuggisse mai uno di quei tanti modi volgari, comunemente usati, dello stampo di tirar su le calze o romper le tasche o mandare a far friggere, che molti credono leciti in ogni compagnia perchè li hanno letti nei libri: egli non aveva neppur da fare un atto di riflessione per iscansarli: il suo senso squisito della dignità e della grazia li escludeva. E così, quando gli occorreva di spiegare ad uno qualche cosa che questi non comprendesse alla prima, o quando faceva una [347] citazione, o ribatteva un'opinione altrui, erano ammirabili le sfumature, le industrie gentili della frase e dell'accento, ch'egli usava, non lasciandole quasi avvertire, perchè non ci fosse nel suo linguaggio nessun'apparenza d'insegnamento, nè colore di saccenteria, nè asprezza di contraddizione. Ne seguiva mai ch'egli mostrasse, come fanno molti bei parlatori, di star a sentire sè stesso, o di cercar negli occhi degli uditori l'ammirazione della propria eloquenza: non si vedeva mai sul suo viso, non si sentiva mai nel suo accento altra espressione da quella del pensiero o del sentimento ch'egli esponeva. Alla semplicità signorile e amabile del linguaggio corrispondeva perfettamente il suo modo di gestire: vivo, ma sobrio, e sempre spontaneo, e pieno d'efficacia, sia che facesse l'atto di disegnar nell'aria un'immagine, o d'incidere col cesello una frase, o di modellare una forma nella creta, o di scacciare con la mano un velo di nebbia che ondeggiasse fra il suo pensiero e la sua parola. Maravigliosa era poi la varietà del suo vocabolario, ricchissimo, secondo gli argomenti della conversazione, di locuzioni letterarie e di modi popolari, senza che nessun modo insolito usato da lui paresse mai strano o nuovo affatto a chi l'udiva per la prima volta, tanto egli l'usava a proposito, e in maniera che da tutto il discorso n'era chiarito il senso e l'opportunità dimostrata. Persino quei vocaboli stranieri, che s'usano di necessità per designar nuove cose, ma che suonano sgradevolmente all'orecchio non ancora assuefatto a sentirli, riuscivano meno esotici, pigliavan quasi suono e apparenza italiani in quel suo linguaggio di sostanza e di forma tutta [348] italiana, come se questo comunicasse loro un poco del suo colorito e della sua armonia. Con che agilità di parola raccontava, con che evidenza di disegno e securità di tocco descriveva, con che vivezza faceva scattare e scintillare l'arguzia, e con che stretta concatenazione d'argomenti e lucida semplicità di dizione ragionava, smorzando il tono, allentando la stretta della dialettica, raffinando la cortesia dell'espressione man mano che sentiva vacillare l'avversario, non più ostinato a resistere che per salvare l'orgoglio! Si diceva ogni momento, ascoltandolo: - Senti, come si può dire semplicemente la tal cosa che io dico sempre con una frase solenne! - Oppure: - Guarda, e io sostenni sempre che la tal frase francese non si poteva tradurre in buon italiano! - A sentirlo, desideravo sempre che fosse lì qualche dotto straniero, di quelli che intendono l'italiano e lo gustano, perchè ammirasse in quel parlare un saggio della ricchezza e della potenza della nostra lingua, e mi rallegravo in fondo all'anima, e sentivo alterezza d'esser nato nel paese dove una tal lingua si parla. E osservavo che quasi tutti, discorrendo con lui, parlavano meglio del solito, e non per uno sforzo che facessero, per emulazione; ma naturalmente, come per un'eco armoniosa ch'egli destasse in loro; ciò che pure osservai nelle famiglie, dove parlan tutti più o men bene, se c'è uno che parla benissimo. La sua conversazione era un diletto, un pascolo intellettuale, una scuola di lingua e di gentilezza. E per effetto dei vari pregi ch'egli riuniva, dell'espressione propria e colorita, della pronunzia bella, dell'accento e del gesto [349] efficacissimo, tanta parte dei suoi discorsi m'è rimasta impressa nella memoria, che ad ogni tratto, parlando e scrivendo, nell'atto stesso che certe espressioni m'escono dalla bocca o dalla penna, mi ricordo d'averle imparate da lui; e molte volte, dopo che ho scritto una frase o una parola che mi pare affettata, o volgare, o disadatta, domando a me stesso s'egli l'avrebbe usata, e se, immaginando d'udirla dire da lui, mi par che stoni col suo discorso, la cancello; e quasi sempre, nel rileggere con intento critico qualche cosa mia che non mi contenti, per forzarmi ad esser severo con me medesimo in ciò che riguarda il buon gusto, mi figuro che ci sia lì lui, ad ascoltare. E così nei buoni effetti del suo insegnamento mi risorge dinanzi sovente l'immagine del maestro insigne e caro, che da venticinque anni non vedo più, e a cui m'è dolce esprimere ancora una volta la reverenza antica e la gratitudine fatta più viva dal tempo.
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PARTE TERZA.
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SE CI POSSIAMO FARE UNO STILE.
Un onesto negoziante, un po' burbero in famiglia, ma buon diavolaccio, il quale credeva che per legge di natura un padre fosse in grado d'insegnare alla sua prole ogni cosa, un giorno, in mia presenza, disse severamente al suo figliuoletto, rendendogli la pagina del componimento italiano: - Ma quando ti farai uno stile? - Poi, rivolgendosi a me: - Lo persuada lei, che è tempo che si faccia uno stile.
Gli promisi di contentarlo in un momento più opportuno; ma la prima volta che mi trovai a quattr'occhi col ragazzo, lo confesso senza rimorso, tradii il genitore con un discorsetto ribelle alla sua volontà ; il quale diceva presso a poco quello che ora ripeto a te, mio giovine lettore ideale.
Farsi uno stile! Mi par come dire: farsi un temperamento, farsi una fisonomia, farsi una voce. Lo stile non ce lo facciamo: ci vien fatto; o come disse un grande scrittore, si trova senza cercarlo: chi lo cerca, non può che trovare uno stile artefatto; chi se lo vuol fare non riuscirà [354] che a farsi una maniera, non uno stile. Qualunque scrittore, che abbia uno stile veramente proprio e sano, che non sia imitazione o artifizio (sinonimi, letterariamente, di malsania), se gli domandi in che modo se lo sia fatto, ti dirà che non lo sa, o che non lo sa dire; che in fondo è la stessa cosa. Non ti dar dunque questa briga, non soltanto inutile, ma perniciosa. Se si tien per giusta la definizione: lo stile è l'uomo, tu devi prima diventare un uomo. Se s'accetta l'altra definizione: - lo stile è quella vita che il tuo concetto prende in te, e che tu comunichi, nell'esprimerlo, agli altri -, o più breve: - è la vita nella parola -, come si può cercare la vita?
Sei persuaso?
T'addurrò un'altra ragione. È un fatto universalmente riconosciuto che ogni individuo, in un certo senso, parla un linguaggio diverso da quello d'ogni altro uomo, cioè, che non solo usa sempre o quasi quelle tali parole per esprimere quelle tali cose, e ha certi modi e frasi famigliari, consuete a lui più che agli altri; ma che certe parole e frasi suole usare in un significato leggermente diverso da quello che dà nno loro la maggior parte. E non soltanto ciascun uomo ha un linguaggio individuale per quello che riguarda i semplici vocaboli e le semplici frasi; ma ha pure un suo modo particolare d'ordinare le idee, il quale deriva dal maggiore o minor grado d'importanza che a ciascuna idea egli attribuisce rispetto all'altre, e un modo suo proprio di legarle fra loro, il quale dipende dalle relazioni particolari che fra loro egli vede, e anche un andamento del discorso, per così dir musicale, suo proprio, il quale è effetto del suo [355] modo individuale di sentire il suono del linguaggio ch'egli parla. Ora in questo vocabolario individuale, e nel modo d'ordinare e di collegare l'idee, e nel ritmo del discorso che ciascuno ha di suo, consiste appunto lo stile; e tu comprendi che tutte queste cose non si cercano, ma vengono da sè, col tempo, che ne porta molt'altre. Vedi dunque che non ti devi affannare a farti uno stile.
Ognun sa sè, dice il proverbio, e il Giusti, riferendolo allo scrivere, l'ha ben commentato così: ognuno ha mezzi tutti suoi, tutti voluti dal suo modo di essere, e dei quali il più delle volte non saprebbe dar conto neppure a sè medesimo. Ma questi mezzi non si svolgono, e non vi...
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