[Pagina precedente]...avvedimenti costituzionali.
AVV. - Un monumento operaio! Quello eretto dagli operai cattolici a Leone XIII. Questa è delle meglio, mi pare.
SCRITT. - Fermi là ! Vinco la gara io. Vi porterò il documento in prova. Il titolo d'un articolo sui miliardai americani che vanno in automobile. Indovinate! Cedo il premio a chi indovina.
CRON. - Tempo perso. Favella.
SCRITT. - Motorismo miliardario!
AVV. - Splendido.
PROF. - Grandioso.
CRON. - Famoso. L'ho scritto io!
SCRITT. - Allora il premio è tuo. Tu sei immenso. La gara è chiusa.
AVV. - Se ne può aprire un'altra.
SCRITT. - Immediatamente. Quella delle locuzioni frequentissime, delle quali dovrebbe bastar la ragione, il semplice buon senso a far avvertire l'erroneità e il ridicolo, perchè contengono una contraddizione di termini manifesta, o di idee, che non possono stare insieme. Il tipo di queste locuzioni è la famosa sentenza del Prudhomme: - Il carro dello Stato naviga sopra un vulcano. - Come si fa a dire che una data Amministrazione o un Istituto è una baracca che cammina male? Che il tal ministro ha esorbitato dalla linea retta? Un'orbita rettilinea! E suscitare un'impressione, che è come dire: sollevare una cosa in giù? Ed è scoppiato un attrito? Avanti, signori!
AVV. - Vediamo. Abbracciare una carriera.
[288]
SCRITT. - È un bell'amplesso!
PROF. - Farsi una posizione.
AVV. - È un bel fare. Ve ne dico una della nostra fabbrica. Gli elementi che vanno in esilio. "Da questo scritto, considerato a mente serena, esulano gli elementi della minaccia e dell'ingiuria."
SCRITT. - Buona; ma non di prim'ordine. È meglio, e si sente ogni momento: - M'è accaduto un aneddoto.
PROF. - Come chi dicesse: m'è accaduto un racconto. Ma val di più questa: - Una voce amica che addita la via del dovere. - Una voce con le dita. Trovami l'uguale.
AVV. - Non è possibile che si possa trovare, lo riconosco.
SCRITT. - Bella anche questa, e comunissima; ma non è premiabile. Ci avrei un esempio del verbo trattare, in vece del semplice essere, arcifrequente. L'ho letto in una cronaca di giornale (al cronista) non tua. A un tale par di vedere un uomo travolto dalle acque d'un fiume; si butta giù per salvarlo; ma riconoscendo che si trattava d'un cane....
CRON. - Ti darei quasi la palma.
PROF. - La palma è mia. Ve ne do una freschissima. - Con quest'atto il Governo ha ribadito la corrente della sfiducia pubblica....
AVV. e SCRITT. - La gara è chiusa!
SCRITT. - Sì! Ribadire una corrente è senza dubbio la più maravigliosa di tutte.
CRON. - Un momento. Ammettetene ancor una al concorso. Son sicuro di vincere. Attenti bene. Il teatro era completamente vuoto!
GLI ALTRI TRE INSIEME, con una risata: - Tombola!
[289]
SCRITT. - Facciamo un brindisi al vincitore!
CRON. - Voi mi emozionate. Fate troppo onore a una quantità trascurabile come son io. (Allo scrittore): Ma, barbaro, non si dice: facciamo un brindisi; si dice brindiamo. E poi...
GLI ALTRI TRE. - E poi?
CRON. - Perchè bere alla mia salute? È superfluo. Io sto magnificamente. Beviamo invece alla salute della lingua italiana, che, poveretta, per colpa un po' di tutti, sta male assai.
GLI ALTRI TRE. - Evviva!
CRON. - Non si grida più evviva. Si grida: - Hoch! - È più di moda, e poi.... non è italiano.
TUTTI INSIEME, alzando i bicchieri: - Hoch! Hoch! Hoch!
UN CAMERIERE (tra sè, passando nel corridoio:) - Che siano artisti del Circo equestre?
[290]
CONTRO I LUOGHI COMUNI
(APPENDICE AL DIALOGO).
Caro amico,
Ieri sera, dopo il nostro desinare cruscaio, mi parlasti d'un libro che stai ponzando intorno allo studio della lingua. Non ne ricordo gran che, perdonami, perchè avevo un po' di Chianti nel capo; ma ti suggerisco una buona idea, che mi venne in mente dopo averti dato la buona notte: a me le idee migliori vengono quasi sempre in ritardo di qualche minuto; ciò che è una gran disgrazia per un avvocato.
Dovresti scrivere un capitolo feroce, come direbbe l'Alfieri, contro i luoghi comuni. Che vuoi? In materia di lingua io sono un mezzo barbaro: parlo male, non scrivo meglio di come parlo, e quanto a materiale linguistico appartengo alla classe dei meno abbienti, come si diceva ieri sera. Ma odio i luoghi comuni. Di questo stupirai. Ma non dovresti stupire. C'è dei poveri diavoli che hanno per istinto gusti e tendenze di [291] gran signori. Tu hai capito ch'io intendo parlare di quel gran numero di vocaboli e traslati triti e di frasi fatte, che ricorrono continuamente nei giornali, nelle conversazioni, nei discorsi parlamentari, necrologici, inaugurali e convivali, e anche nelle lettere private dei nostri concittadini. Ebbene, queste parole e frasi mi son venute in ira a tal punto che ogni volta che me ne cade una sotto gli occhi o m'arriva all'orecchio, mi dà il senso come d'una botta nel gomito o d'un urtone nel petto. È irragionevole; ma preferisco a un luogo comune uno sproposito, e quasi quasi un'impertinenza. Dipende dai nervi, mio caro.
Sì, tutte queste maniere viete che tutti usano, anche nel linguaggio famigliare (per iscansare altre maniere più semplici, le quali paion volgari perchè son semplici), come tributare elogi, rendere omaggio, prodigar carezze, largire favori, esser largo di cure, dar lustro al paese e a sè stesso, dare ospitalità a un articolo, render sentite azioni di grazie (questa mi fa fremere), poggiare a un'altezza (ci s'aggiunge spesso, per vezzo, non comune); e tutte quell'altre perifrasi muffite, come l'elemento divoratore, per il fuoco, e la malattia che non perdona, per la tisi, e il lenocinio della forma, e le veneri dello stile, e l'aureola della pubblica stima, e la carità del loco natìo, e le nubi che offuscano ogni specie d'orizzonti metaforici, e i guiderdoni e gli usberghi e i Palladii e i fior fiore della cittadinanza, son diventati l'afflizione della mia vita. Ma come mai chi le rimastica non ci sente il rancidume che ammorba la bocca e vince lo stomaco? È una smania universale di fuggir la parola ovvia come un malanno. Vedi se c'è uno [292] su cento dei necrologisti quotidiani che si contenti di dire che un galantuomo è morto! Ha esalato l'ultimo respiro, ha reso l'anima, è uscito di vita, è mancato ai vivi, ha cessato di vivere, ha chiuso gli occhi, si è estinto, si è spento; ma non è morto. La stessa parola morte, così solenne, e che al nostro cuore par che suoni sempre per la prima volta, è giudicata ignobile: si dice dipartita, decesso, la fine. Confessato e comunicato è troppo comune: si dice munito dei conforti religiosi. Bella quella munizione di conforti! E quando si metterà a riposo quella decrepita Parca col suo putrefatto inesorabile? E quando si finirà di profondere la larga eredità d'affetti? Ah, chi l'ha detta per il primo si può ben vantare di non aver seminato nella sabbia! E quell'insopportabile intelletto d'amore, di cui si fa toppe da scarpe, tanto da scrivere che è fatto con intelletto d'amore anche un quadro statistico dell'esportazione dei formaggi? E quella inevitabile traccia onorata di sè, che si lascia dietro ogni scalzacane? E quella misteriosa eloquenza di cui Tizio soltanto possiede il segreto, come d'uno specifico farmaceutico? E quella maledetta ostinazione a non voler mai dire che una riunione fu allegra, cordiale, triste, per mettere invece lo scettro in mano all'allegria, alla cordialità , alla tristezza, e farla regnare? E quell'eterna banda musicale che rallegra tutti i banchetti coi lieti concenti? E quel sempiterno brillare per la loro assenza delle Autorità e degl'invitati che mancano? Il contagio di queste affettazioni obbligatorie, e dei vezzi latini in ispecie, è penetrato fin dove la luce del gas non è giunta ancora. Vedi nelle corrispondenze [293] mandate ai giornali fin dai più piccoli villaggi. I matrimoni, i funerali, le rappresentazioni teatrali, le deliberazioni del municipio (espressioni troppo comuni) sono annunziate come nuptialia, funeralia, theatralia, municipalia: che spocchia! Dire: nel consiglio comunale? Miserie! In seno al consiglio. Il più vecchio dei Consiglieri, o di qualunque adunanza, è sempre il Nestore: il paese è pieno di Nestori. E quando si seppellisce un cristiano, gli si augura leggiera la terra: una leggerezza diventata più pesante del monolito di Pianezza. E a proposito di villaggi, non immagini la stizza che mi fa quel popolo Ebreo esulante dall'Egitto, tirato sempre in ballo nell'autunno per dire che i villeggianti se ne vanno: l'esodo dei villeggianti! Non c'è che un'altra eleganza che mi dia ai nervi a egual punto, ed è il senza por tempo in mezzo o in men che non si dica, o con la rapidità del fulmine, che intoppo a ogni passo. Ma che Dio vi benedica con una pertica, se volete dire che un tale ha fatto una cosa in un lampo, imitatelo, ditela alla più lesta possibile, per rendere la rapidità dell'azione, con una sola parola, e non con una filastrocca. Ma no, c'è un altro luogo comune che detesto più di quanti n'ho citati, ed è la moglie di Cesare che non dev'essere sospettata. Chi ci libererà una volta da questa signora, Dei superiori! E siamo anche a questa, in fine: che non si possa più dire nei giornali, nè in Parlamento, nè dove diamine tu voglia, che c'è del marcio in una banca, in un ministero, in una classe sociale, o anche in una cesta di cavoli, senza tirarvi per i capelli Amleto e la Danimarca? Io c'inverdisco, parola d'onore.
[294]
Flagella dunque gagliardamente i luoghi comuni. Per me sono uno dei primi segni che servono a distinguere gli scrittori veri dagli scrittori di dozzina. Io che, non per finezza d'educazione letteraria, ma per istinto, ne sento il puzzo un miglio lontano, non ne trovai uno solo nel Manzoni, nel Leopardi, nel Carducci, in nessuno dei grandi maestri. Mostrali ai ragazzi studiosi per quello che sono: germi d'infezione; perchè, non badandovi, essi s'avvezzano a usarli, e se ne fanno una provvista, e questa, ingrossando a poco a poco, finisce con soffocare in loro il sentimento della semplicità , e anche, se l'hanno, la dote rara dell'originalità della forma. Flagella senza misericordia. Ti parrò troppo inviperito. Ma è perchè, pure abbominando il luogo comune, di tanto in tanto, alla sbarra, me ne lascio scappare qualcuno; non serve ch'io stia in guardia; è come un influsso dell'aria, al quale è forza ch'io soggiaccia. Ah, vedi che ci son cascato! È forza ch'io soggiaccia! Disgraziato! Me ne vergogno, mi schiaffeggio, e ti saluto.
IL TUO AVVOCATO.
[295]
"GLI ARDIRI".
Confessioni d'uno scrittore pusillanime a uno senza paura.
Il dialogo segue in casa del primo, di nome Leone, che sta seduto allo scrittoio, coperto di fogli. L'altro, Rompicollo di pseudonimo, gli siede di faccia. Età dei due personaggi: vicini al pendìo dove l'età precipita.
LEONE (che ha finito di leggere un manoscritto). - Che te ne pare? Sii sincero.
ROMPICOLLO. - Sincerissimo. La narrazione è ordinata, lucida, scritta bene come tutto quello che tu scrivi. Ma c'è il difetto che è in tutti i tuoi scritti. Ci manca una bella qualità , una sola.
L. - Tira il colpo.
R. - Mettiti in guardia. Si può riferire a te il giudizio che diede un editore illustre sul modo di scrivere d'un romanziere che tu conosci: - Scrive da maestro; ma.... non c'è caso di vedergli una volta la cravatta per traverso.
L. - Spiègati meglio.
R. - Per spiegarmi meglio, bisogna che te la faccia un po' lunga.
[296]
L. - Purchè tu la faccia di corsa.
R. - Mi rifaccio a ottant'anni addietro, quando già un grande maestro osservava che negli scrittori del suo tempo la lingua italiana s'andava geometrizzando, riducendo al linguaggio magro e asciutto della ragione e delle scienze che si chiamano esatte, con grave pericolo di cadere nella timidità , povertà , impotenza, regolarità eccessiva, ch'egli rimproverava alla lingua francese dell'età sua. Egli voleva dire che s'andava perdendo l'uso di quella libertà , di quei tanti idiotismi e irregolarità felicissime, di quelle tante licenze, o ardiri, per servirmi d'una sua parola, nei quali consistevano principalmente "la facilità , la varietà , la volubilità , la pieghevolezza, la forza insom...
[Pagina successiva]