[Pagina precedente]...raslati dei vocaboli, tanto più avrà bisogno di maneggiar con destrezza la lingua, che appunto nel campo dello scherzo è ricchissima. Se si paragona la lingua al danaro, si può dire che chi non ha ingegno è rispetto ad essa come un uomo quieto e assestato, senza vanità e senza desidèri, che campa con pochi soldi, e chi ha molto ingegno è un uomo pien di vita e d'ambizione, di raffinatezze aristocratiche e di voglie giovanili, che ha bisogno di spendere e di spandere. Studi dunque la lingua anche lei, che è un gran signore intellettuale, per non ridursi poi a campare come un pitocco.
A chi studia le lingue straniere.
Mi dice un giovinetto, con accento d'alterezza: - Io studio le lingue straniere. - Vuoi dire con questo che ti preme più di saper le lingue straniere che la tua? Non me ne maraviglierei più che tanto. C'è degli italiani [20] che, volendo fare un viaggio di piacere e d'istruzione, vanno prima a Parigi che a Roma; ce n'è altri, i quali dicono sorridendo, con l'aria di darsi un vanto, che della più parte dei propri pensieri s'affaccia loro alla mente l'espressione francese o inglese prima che l'italiana; e conobbi anche un tale, che a un esame di geografia, dopo aver detto benissimo i confini della Persia, mise Firenze a settentrione di Bologna. No? Tu non sei di quel numero? E tanto meglio. Ma non sarai mai abbastanza persuaso di questa verità : che non si studia con amore, che non s'impara bene nessuna lingua straniera, se non s'è prima studiato con amore e imparato bene la propria; poichè, se imparare una lingua straniera non è altro che imparare a tradurre in questa i nostri pensieri da quella che usualmente parliamo, come si può fare una buona traduzione d'un cattivo testo? Come riuscire a dir con esattezza e con garbo in un'altra lingua quelle cose che non sappiamo dire se non confusamente e senza garbo nella nostra? E in che maniera intendere e sentire le qualità degli scrittori stranieri, se queste, in qualunque lingua, non s'intendono e non si sentono se non paragonando le parole, le frasi, le forme a quelle che loro corrispondono nella lingua che ci è famigliare? E ti seguirà anche questo: che mentre non imparerai che male altre lingue, ti si corromperà e confonderà nella mente quel poco che sai della tua, perchè, essendo poco e mal fermo, non reggerà il materiale straniero che gli verserai sopra, e ti troverai così ad aver acquistato varie mezze lingue, senza possederne una intera; sarai come chi a un vestito tutto [21] buchi ne sovrapponga un altro pieno di strappi, che riman mezzo nudo a ogni modo. Dammi retta: fatti prima un buon vestito italiano.
A chi dice che basta leggere.
- La lingua - dicon molti - s'impara leggendo.
Lo crede davvero, signor mio? Ma se anche ella non legga che libri, dai quali la lingua si possa imparare, le dico che ella vive in una grande illusione, salvo che li legga principalmente con quello scopo, ossia badando più alla forma che alla sostanza; cosa ch'ella non fa, senza dubbio, o che può far tanto meno quanto più la sostanza dei libri l'attrae e la diverte. Della ricchezza e della proprietà della lingua, leggendo, ella sentirà qua e là , e complessivamente, l'effetto; ma provi, finita la lettura d'un libro, a cercar quante parole e frasi le sian rimaste nella mente, in maniera da diventar sue, e da venirle poi sulla bocca o alla penna nel parlare o nello scrivere, e vedrà che poco o nulla le sarà rimasto. La memoria della lingua non si rafforza che con l'esercizio, e nella lettura essa non si esercita. S'impara la lingua anche leggendo, ma leggendo pochi libri molte volte e attentamente, non già molti una volta sola e di corsa, come dai più si suol fare; e l'avrà esperimentato ella pure non scoprendo che alla terza o alla quarta lettura, in libri scritti bene, una quantità di bellezze di lingua, d'effetti particolari che fanno certi vocaboli collocati in un certo punto, di ragioni profonde e sottili per cui certe espressioni, e non cert'altre, furono usate. E se anche [22] leggendo soltanto per ispasso, s'imparasse molta lingua, come si potrebbe imparare la nomenclatura d'innumerevoli cose, di cui solo una parte minima, in un certo numero di libri, può ritrovarsi? Come apprendere la lingua viva e famigliare che, fuor d'un certo genere di letteratura, manca nei libri quasi affatto? E come acquistare l'agilità e la prontezza della mente che occorrono per maneggiare il materiale linguistico e farlo servire con garbo al pensiero? Tenga per fermo che leggendo libri per vent'anni non imparerà tanta lingua quanto studiandola di proposito un anno solo. Legga e rilegga senza studiare, e verserà dell'acqua in un crivello.
A chi dice che s'impara la lingua dall'uso.
Qui sento un coro d'italiani settentrionali che esclamano: - Studiare la lingua! Ma la lingua s'impara dall'uso!
Da qual uso l'imparate voi, cari signori? In casa voi parlate quasi tutti e fuor di casa quasi sempre il vostro dialetto, e quando non parlate questo, parlate e sentite parlare un italiano povero e scorretto, pieno zeppo d'idiotismi e di francesismi. In materia di lingua s'usa fra noi non toscani, perchè parliamo tutti male, una grande tolleranza reciproca, per effetto della quale nessuno studia di correggersi, e ognuno sèguita per tutta la vita a ripetere gli stessi spropositi, senz'arricchire il proprio linguaggio di dieci parole in un anno. Anche quei pochi che hanno studiato la lingua e che, scrivendo, sono corretti e sfoggiano una certa ricchezza di vocaboli e di frasi, quando parlano, parlano poco meno [23] scorrettamente e poveramente degli altri, appunto perchè della lingua non hanno l'uso, perchè delle frasi e dei vocaboli, che cercano e trovano nello scrivere, non vien loro alla bocca, non avendoli essi famigliari, che una minima parte. Come si può dunque imparare la buona lingua da un uso cattivo? Come imparare centinaia e centinaia di voci e locuzioni che intorno a noi nessuno dice mai? V'è mai occorso di sentir degli stranieri che credono d'aver imparato l'italiano dall'uso in dieci anni di soggiorno in una città dell'Alta Italia? V'avranno fatto scappare. Dall'uso, fra noi, si può imparare a parlar con scioltezza; ma con proprietà , con varietà , con colorito, con grazia! Corbellerie. Perdonatemi: m'è scappata dalla penna.
A una signorina.
O signorina, anche lei? Ma come? Metterà tanta cura ad abbigliare la sua graziosa persona e non ne vorrà metter punto a vestire i suoi pensieri? Porrà tanto studio a camminare con grazia e nessun impegno a parlar con garbo? Cercherà con tant'arte di modular dolcemente la sua voce e non le importerà di pronunziare con dolcezza parole spurie e frasi barbare? E le parrà che non abbia a studiar la lingua la donna, che per ragione di natura e per gli uffici a cui è destinata, di madre, di consigliera, d'educatrice, di consolatrice della famiglia, avrà tanti sentimenti amorosi e pensieri gentili da esprimere, tante cose da dire, delle più difficili a dire e a sentire, e che può e sa dire essa sola, e che da lei sola si vogliono udire! E [24] come farà , se non avrà studiato la sua lingua, a compiere con la voce e con la penna questi uffici, per i quali occorre conoscer della lingua tutte le grazie e le sfumature, possedere tutte quelle parole e locuzioni proprie, morbide, agili, sottili, che entrano quasi inavvertite nella coscienza e nel cuore, persuadono e commovono, accarezzano e consolano? Non è uno studio per la donna? Ma direi che è il primo studio che ella ha da fare, poichè la madre è la prima maestra dei suoi figliuoli, e perchè in ogni società colta sono, e non possono esser che le donne quelle che insegnano ed impongono nella conversazione la dignità del linguaggio, la finezza dello scherzo, l'urbanità della contraddizione. E come si può far questo non conoscendo la lingua? Ah, ella scuote il capo, con un sorrisetto: ho capito. È bella, ed ha vanità femminea, non ambizione letteraria, e pensa che un viso come il suo basterà , senza il sussidio del vocabolario e della grammatica, ad attirarle da per tutto l'ammirazione e l'ossequio. Ma s'inganna, signorina. Se sapesse che peggior effetto fa una parola brutta sur una bocca bella, e com'è più ridicola la sgrammaticatura detta con un sorriso vanitoso! E se sentisse con che barbara compiacenza le belle amiche commentano e portano in giro il piccolo sproposito dell'amica bella! Andiamo, mi confessi che ha torto, e mi conforti anche lei, almeno per un tratto di strada, della sua cara compagnia.
LA LINGUA E L'AMOR PROPRIO.
Ritorno a te, giovinetto.
Hai visto che cosa s'ha da rispondere a chi dice: - Che importano le parole? - A quella risposta debbo fare un'aggiunta, che ti persuaderà anche meglio della necessità di studiare la lingua.
In tutti i paesi del mondo sono argomento di ridicolo gli errori di lingua. Non è qui il caso di cercare da quale intima sorgente della ragione e del sentimento questo ridicolo nasca. Si ride degli errori dei bambini, piacevolmente, perchè nei bambini è naturale l'errore; si ride degli errori della gente del popolo, con un senso di compatimento, perchè derivano da un'ignoranza scusabile; si ride degli spropositi di chi appartiene alle classi colte, facendone le beffe, perchè sono effetto d'un'ignoranza colpevole. E avrai osservato che si ride involontariamente, spesso a nostro malgrado, anche degli errori delle persone che amiamo e rispettiamo. È quasi un istinto irresistibile, come al veder fare certe smorfie a chi mangia e certi traballoni a chi cammina.
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Ora, com'è naturale in tutti questo sentimento, è anche naturale che tutti, chi più, chi meno, si vergognino e si stizziscano di suscitarlo. Benchè ancora giovinetto, tu avrai visto più volte anche uomini che non hanno alcuna pretensione a letterati, e che tollerano ogni specie di scherzi, risentirsi al veder ridere d'una parola o d'una frase sbagliata che sia loro sfuggita di bocca. Esiste veramente nell'uomo un particolare amor proprio, che si potrebbe definire l'amor proprio della parola, e che è singolarmente delicato e irritabile. Non ti lasciar ingannare da chi lo nega e dice di ridersene. Che cosa importano le parole? Ma l'importanza loro, che tanta gente finge di disconoscere, è dimostrata di continuo e da per tutto da infiniti segni. Domanda a quanti bazzicano caffè e trattorie da molti anni, quante volte hanno inteso a un tavolino accanto, anche fra gente di professioni lontanissime dalla letteratura, discussioni accanite e interminabili sull'italianità o sul significato d'un vocabolo. Vedi nei giornali che pubblicano corrispondenze dei piccoli comuni, quante volte i corrispondenti, polemizzando, si scherniscono e si dà nno a vicenda dell'asino per uno svarione di lingua o di sintassi. Interroga qualunque scrittore noto, che non abbia reputazione di strapazzar la grammatica, e ti dirà quante lettere di sconosciuti riceve, che invocano il suo giudizio sulla legittimità d'una voce o d'una locuzione, sulla quale è corsa una scommessa. Fatti dire da maestri e da professori quante lettere ricevano da padri e da madri, che rivendicano la correttezza d'una parola o d'una frase segnata come errore in un componimento del loro figliuolo, ragionando, citando [27] esempi e accalorandosi come linguisti offesi nell'orgoglio. E quanti battibecchi seguono negli uffici di tutte le amministrazioni, per piccole quistioni di lingua, fra redattori di minute risentiti d'un appunto linguistico e superiori feriti nel sentimento della propria autorità letteraria! E in quante assemblee un discorso per ogni verso sensato fallisce allo scopo per una frase sgrammaticata che fa ridere! E quanti sono gli uomini politici, anche illustri, al cui nome è rimasto appiccicato per tutta la vita, come un'insegna derisoria, uno sproposito di lingua, sfuggito loro una volta più per sbadataggine che per ignoranza! Vedi se importano o no le parole, e per l'effetto che producono negli altri gli errori, e per il risentimento e le amarezze che da quegli effetti vengono a noi, e se sia da darsi retta a chi...
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