[Pagina precedente]...so; bisogna pigliarti a frullo. - Piglia a frullo i discorsi dei valentuomini, e poi se ne fa bello.
Prendere il vecchiuccio. - D'una persona, non è lo stesso che dire: comincia a farsi vecchio, perchè significa pure l'idea: benchè non paia, o cerchi di nasconderlo.
Fare agli occhi. - Si dice di due innamorati che fanno agli occhi. Vedi se ti riesce di trovare qualsiasi altro modo che dica come questo il guardarsi a vicenda dì continuo e quasi conversare con gli sguardi, non potendolo fare liberamente a parole.
Fare una smusata, una smusatura a uno. - Tu intendi quello che significa, e senti che l'idea non è significata così determinatamente dalle parole atto villano, o di dispregio o di schifo o di fastidio, o mal garbo, nè con pari sfumatura comica da fare una brutta faccia o una smorfia.
Ti cito più alla lesta qualche altro esempio. Non senti che la parola amarume nella frase: - C'è un po' d'amarume fra di noi, - significa qualche cosa di meno di amarezza, e non potrebbe essere sostituita per l'appunto da nessun'altra parola? E nel modo: ho tutta la giornata impicciata non è espressa un'idea che le [187] parole occupata, impegnata non rendono esattamente, perchè voglion dire un'occupazione continua, non una serie d'occupazioni con intervalli di tempo libero, ma troppo brevi, da poterli impiegare a qualche cos'altro? E dicendo un affare rassegato (rassegare, d'un liquido grasso che si rappiglia) non dà i l'idea d'un affare finito, ma più recente di quello che significherebbe finito senz'altro, o passato o da non pensarci più? E come s'esprimerebbe così propriamente l'idea d'un tempo in cui si sia fatta una vita dura, faticosa, affannosa, come col modo: sono stati giorni, anni sudati? E la parola strettita nel dire: aver la gola strettita dal pianto, non ti pare che abbia forza più particolarmente espressiva che la parola stretta, che fa a tanti altri casi? E qual altra parola dice così bene ad un tempo turbato di mente, distratto, sconcertato, svogliato, impensierito, come stonato: oggi sono stonato, non capisco nulla? E pensa un po' se t'occorre spesso di sentir dire: uomo di ricapito, uomo impiccioso, un po' zolfino, scattoso, troppo entrante, un mettibocca, uno sputazucchero, tutti modi che s'intendono alla prima, e se le parole che s'usano di solito in luogo di quelle hanno proprio la stessa sfumatura di significato, o non dicono invece la cosa press'a poco, come altre innumerevoli che noi spendiamo abusivamente perchè non abbiamo tra mano moneta migliore? Credo che bastino questi esempi a dimostrarti che noi parliamo davvero una lingua approssimativa, e che il liberarti da questo malanno dev'essere uno dei tuoi primi intenti, e questo intento una delle tue prime norme nello studio della tua lingua.
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LA LINGUA CHE ABBREVIA.
Ti do un altro consiglio, sul quale credo di dover insistere in particolar modo: di notare e d'imprimerti bene nella mente, leggendo gli scrittori e il dizionario, tutte le parole e le locuzioni che esprimono un'idea più brevemente di come tu sei usato ad esprimerla o a sentirla esprimere fra noi. Dirai: - Che importa una parola o una sillaba di più o di meno nell'espressione d'un'idea? - Poco - rispondo - nell'espressione di ciascuna idea presa a parte; ma siccome sono moltissime le cose che noi sogliamo dire con maggior numero di parole del necessario, ne segue che il nostro discorso, in generale, riuscirebbe notevolmente più breve, più sobrio e quindi più efficace, se accorciassimo tutte le espressioni del nostro pensiero che si possono accorciare. La brevità , quando non nuoce alla chiarezza, è bellezza e forza. Nel parlare come nello scrivere, c'è fra chi è breve e chi è lungo, per rispetto all'uditore e al lettore, la stessa differenza che fra chi paga in oro e chi paga in rame; chè, dandoti la stessa [189] somma, l'uno ti lascia leggiero e l'altro ti carica. E sai quello che dice il Leopardi: che tanto è più viva l'attenzione e maggiore il piacere di chi legge o ascolta quanto è più rapida la successione delle cose, dei pensieri, delle immagini che lo scrittore o il parlatore gli fa passare davanti.
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Per esempio; noi usiamo esprimere col verbo diventare o fare e con un aggettivo un gran numero d'idee che s'esprimono benissimo con una sola parola, con un verbo intransitivo. Della maggior parte dei verbi intransitivi, specialmente parlando, non ci serviamo quasi mai, come se fossero ferri della lingua che non sappiamo maneggiare. Diciamo quasi sempre: diventar rozzo, secco, triste, selvatico, vano, grullo, asino, canaglia, tozzo, furbo, zotico, bello, brutto, caparbio, grinzoso, minchione, sospettoso, insolente, e mai, o quasi mai: arrozzire, assecchire, intristire, inselvatichire, invanire, ingrullire o ringrullire, inasinire, incanaglire, intozzire, infurbire, inzotichire, imbellire, imbruttire, incaparbire, raggrinzire, rimminchionire, insospettire, insolentire. Diciamo sempre: i capelli tagliati diventano più fitti, non affittiscono o raffittiscono; si fa notte, si fa buio, non annotta, rabbuia; questa tela comincia a farsi rada, non: comincia a diradare; questo mobile non è bene accostato al muro, non: accosta bene al muro. E vedi se senti mai usare in forma intransitiva i verbi: - abbassare (la temperatura abbassa), raffrescare (verso sera raffresca), raddolcire (la stagione comincia a raddolcire), rabbruscare, [190] del tempo (cominciò a rabbruscare verso notte), riscaldare (appena riscalda, io vado in villa), rischiarare (aspetto che rischiari per uscir di casa), scorciare (le giornate cominciano a scorciare), alzare (la casa alza dalle fondamenta quindici metri), accordare (questa parte non accorda bene con l'altra), infortire (questo vino infortisce), abbozzolare (questa farina abbozzola), stingere, perdere il colore (questi panni stingono)? E tu diresti sempre che la carne diventa frolla non che infrollisce; che il burro diventa rancido, non che rancidisce; che il sangue si rappiglia, non che rappiglia; che un tale s'impunta, s'incaglia nel parlare, non che impunta, che incaglia; e che una passione si fa o diventa gagliarda, non che ingagliardisce, e che Tizio per ogni piccola cosa mette il grugno, non che ingrugna; e non mai infreddare, ma sempre: prendere un raffreddore. Non è forse vero? Differenze minime; ma son queste e tant'altre piccole abbreviature, ciascuna per sè trascurabile, che tutte insieme abbreviano e isveltiscono notevolmente il discorso.
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Ti cito un'altra serie di verbi, usati pochissimo da noi, ciascuno dei quali ci farebbe risparmiare una o più parole, e qualche volta una proposizione intera. - Con quella pipa egli m'appuzza tutta la casa. Noi diremmo: mi riempie di puzzo. - Dopo che è cavaliere non mi degna più. Non si può esprimere altrimenti l'idea con una sola parola. - Appena mi vide, si difilò verso di me. Noi diremmo: venne difilato. - Quel ragazzo [191] dirazza dai suoi genitori. - Il terreno comincia a erbire. - Ho appratito (ridotto a prato) tutto il mio podere. - Il sole di maggio fiorisce tutta la campagna. - Gli alberi cominciano a frondeggiare. - Il prato colmeggia verso il mezzo. - Il terreno in quel punto pianeggia. - La strada in quel punto forcheggia. - Quest'anno le biade graniscono bene. - Quell'abito le rifà la persona, quelle tende nuove rifanno il salotto. - Non è vero che tutti questi verbi non li usiamo quasi mai nella forma e nel significato che hanno negli esempi citati, e che quasi sempre ci occorrono parecchie parole per dire quello che essi dicono? E si può dir lo stesso dei seguenti: - entrare, senz'altro, per entrare a parlare (quando qualcuno gli entrava sull'affare dell'eredità , era un guaio) -, cabalare, per ordire inganni -, incappellare, per prender cappello -, insignorirsi, per diventar signore -, dimoiare (il liquefarsi della neve. Faceva un umidiccio come quando dimoia), - imbaulare la roba -, discoleggiare, facicchiare (un far leggero e poco concludente: non fa, ma facicchia) -, frivoleggiare, ghiribizzare (che vai ghiribizzando?) -, giovaneggiare, labbreggiare (recitar sotto voce) -, legneggiare (far legna) -, lenteggiare (questa corda lenteggia, non è abbastanza tesa) -, molleggiare (questo canape molleggia) -, sfrottolare, sfuriare (ora che è sfuriato, possiamo uscir noi, senza farsi pigiare) -, riavere (una pioggia a tempo rià la campagna) -, riguardarsi (usarsi dei riguardi) -, rimpollare (la roba in quella casa pare che ci rimpolli, che cresca a misura che si consuma) -, rimanere, restare, senz'altro, per rimaner maravigliato, stupito -, riparare [192] (il tal bottegaio non ripara, ossia: ci ha continuamente gente) -, scampagnare (andare o stare in campagna per ricreazione o divertimento) -, schiassare (fare del chiasso per divertirsi) -, scrupoleggiare -, sbraccettare una signora, per accompagnarla a spasso, dandole il braccio -, scaponire un testardo, vincerlo in ostinazione -, scasare (andar via da un luogo dove s'aveva casa), scarognare, sfaccendare, scoronciare, spaternostrare -, scrudire l'acqua troppo fredda -, soleggiare, esporre al sole (bisogna soleggiare quest'uva) -, scuriosire, scaltrire, sneghittire, spigrire uno -, spiovere, cessar di piovere (aspettiamo che spiova) -, spoliticare, svecchiare: toglier via il vecchiume (svecchiare una selva, svecchiare la lingua degli arcaismi) -, sfondar poco, non sfondare: aver poca intelligenza (s'è messo a studiar le matematiche, ma non isfonda; in quanto a talento, non isfonda) -, tavoleggiare, trattenersi a tavola, discorrendo e centellando -, tentennare un tavolino, per veder se sta saldo. - Vedi un po': son certo d'aver detto la cosa cento volte in vita mia, e d'averla sempre detta, non con quella sola parola, ma con un'altra, meno propria, e appunto per questo, accompagnata quasi sempre da una spiegazione.
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Poichè t'ho fatta una confessione, te ne fo dell'altre. So bene che si dice: - una cosa non mi finisce - per: non mi sodisfa, o non mi contenta pienamente; e non di meno, parlando, esprimo sempre quel pensiero nella seconda maniera, con nove sillabe invece di cinque. Dico: [193] - il tal podere ha un circuito di sette chilometri - quando potrei dire con due sole sillabe: - gira sette chilometri. Potrei dire: - un salone che riquadra cento metri -, e dico: ha la superfice di cento metri quadrati. Non oso dirti quali locuzioni stentate e ridicole usai qualche volta per dire che una certa sostanza, nel ribollire, rientra o ricresce, che un dato legno, o una stufa, rende poco o molto, che il legno non bene stagionato rimbarca. Dissi per anni con una locuzione di tredici sillabe quello che si può dire in cinque: alfabetare, per esempio, le note sulla lingua. Ricordo d'aver fatto un giorno un interminabile giro di parole per dire d'aver trovato un tal pittore occupato a graticolare, o reticolare, o retare la tela. Non espressi mai con una parola sola l'idea che esprime benissimo il verbo avventare negli esempi: - un colore che avventa, una ragazza che avventa a primo aspetto, ma non è bella, uno stile che avventa alla prima lettura, ma è vizioso. - E così: abbambinare una cosa che non si può portare, agghiaiare una strada, allentarsi dopo aver mangiato, arrivare una vivanda, assodare un uovo, avviare una candela, spicciolare uno scudo, calettare o non calettar bene (d'un uscio, per esempio, che sia bene o male aggiustato, in modo da lasciare, o no, trapelare l'aria), son tutti modi che non mi vengono mai alla bocca, e in luogo dei quali uso sempre parecchie parole, che, per giunta, quasi sempre dicono meno chiaramente la cosa. E per farti ancora una confessione, aggiungo che pochi giorni fa, avendomi detto un toscano: - Gli è tutto un figurarselo; quando sarai là non ti parrà niente - io osservai tra [192] me che se avessi dovuto esprimere lì per lì quell'idea, non avrei saputo dire altrimenti che: - la tua immaginazione t'ingrandisce la cosa -; che non è solamente più lungo, ma meno famigliare, e quasi comicamente solenne nel parlare fra amici.
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V'è un gran numero d'altri modi abbreviativi, us...
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