[Pagina precedente]...re le cose che non si sa che esistano. Ma ella somiglia a chi credesse di saper la botanica perchè conosce i legumi che gli portano in tavola e i nomi dei fiori che coltiva sul terrazzino.
A chi dice: - Che cosa importa?
- È uno studio di parole, insomma; che cosa importano le parole?
- Che cosa importano le parole? Questa è grossa, mi perdoni. È come dire: - Che cosa [12] importa parlare e scrivere con chiarezza e con efficacia? Che cosa importa l'usare, invece d'una parola o d'una frase propria, un'altra parola o un'altra frase che, non esprimendo per l'appunto il nostro pensiero, può farlo frantendere e costringerci perciò ad esprimerlo un'altra volta in un'altra maniera, che può esser peggiore della prima? Che cosa importa, parlando e scrivendo, inciampare ogni momento in una difficoltà , essere arrestati a ogni passo da un dubbio, lasciare a mezzo una frase per cercare un vocabolo, doversi spiegare coi gesti come i bambini e gl'idioti, e qualche volta urtare, non volendolo, e offendere una persona, non per altro che per non saper scegliere, nel farle un'osservazione o un rimprovero o nel dirle una verità sgradita, la parola o la frase che esprimerebbe lo stesso pensiero senza ferirla nell'amor proprio? Che cosa importano le parole? Ma infiniti malintesi, risentimenti, diverbi dolorosi nascono di continuo fra gli uomini da una parola usata a sproposito, non per mal animo, ma per pura ignoranza o mancanza di finezza nel sentimento della lingua. Ma mille volte nella vita il primo giudizio che facciamo dell'ingegno, della cultura, del grado d'educazione d'una persona, si fonda (e sia pure a torto sovente, chè questo cresce valore all'argomento) sopra il suo modo di parlare, e anche su poche parole che le abbiamo udito dire, sopra una sgrammaticatura, sopra un'espressione ridicola, sopra l'ignoranza d'una parola comune. Ma ella stessa, signore, ella che dice che le parole non importano, quando le occorre di parlar la prima volta con una persona che le ispira reverenza, e di cui le preme [13] d'acquistarsi la stima e la simpatia, ella stessa, sempre, anche inconscientemente, s'ingegna di parlar meglio del solito, scegliendo i vocaboli con cura e filando i periodi con garbo! O come si può dire: - Che cosa importano le parole?
A un uomo d'affari.
- Quanto a me, consentirà che non ho bisogno di studiar l'italiano. Sono un uomo d'affari!
- Mi scusi. È forse il dialetto la lingua ufficiale degli affari? E in ogni modo, non pare a lei che un uomo d'affari che ha studiato e parla e scrive correttamente e facilmente la lingua, valga, a parità d'ingegno e d'esperienza, qualche cosa di più d'un altro, il quale la scriva come un barbaro e la balbetti come un ragazzo? Ma gli uomini d'affari hanno soventissime volte da esporre, da dimostrare, da discutere gl'interessi propri, con la penna o di viva voce, a quattr'occhi e in riunioni private o pubbliche, in lingua italiana. Ma se c'è gente al mondo a cui sia utile, necessaria nell'espressione del proprio pensiero la lucidità , la brevità , l'esattezza del linguaggio, son loro, che hanno molte cose da dire e importanti e non facili, e le hanno da dire alla lesta, a gente che non ha tempo da perdere; cose nelle quali il non farsi bene intendere produce ben più gravi inconvenienti che nei discorsi ordinari. Ma gli uomini d'affari vivono pure fuor del giro dei propri interessi, fra amici d'altre professioni, con signore, con artisti, con gente di varia cultura, in mezzo ai quali portano il loro amor proprio, non solo d'uomini d'affari, ma d'uomini di mondo, l'ambizione di contar [14] qualche cosa anche fuor delle faccende e dei numeri, il desiderio di farsi ascoltare, di divertire, di piacere, e se non altro la cura di non far ridere parlando rozzamente e lasciandosi scappare strafalcioni. E in fine, signor uomo d'affari, vale per lei, come per tutti, questa ragione: che la lingua nazionale, in certe classi della società , si deve imparare non soltanto per sè, ma per i propri figliuoli; i quali ad impararla, almeno fin che son piccoli, debbono essere aiutati dal padre e dalla madre. Che figura farebbe un padre che dicesse al suo figliuolo: - Caro mio, tu hai dieci anni; in materia di lingua io non son più in grado d'insegnarti nulla perchè.... sono un uomo d'affari!
A chi non ci ha attitudine.
- Lo credo anch'io una buona cosa; ma allo studio della lingua non ci ho attitudine.
- Oh bella! Che risponderebbe lei a chi le dicesse: - Non son fatto bene, son di complessione debole: per questo non faccio ginnastica? - Ma il non aver attitudine allo studio della lingua è una ragione di più per istudiarla. Chi non è dotato di buona memoria, e non ha facilità d'esprimersi, nè un vivo sentimento naturale della lingua, deve e può supplire alla deficienza di queste qualità con lo studio. Un'attitudine particolare ci vuole per diventare scrittore o linguista; ma per imparar la lingua quanto lo richiedono il dovere, l'interesse e la dignità di qualunque cittadino colto, basta la volontà . Ci si provi un poco. Ella non immagina quanto possa acquistare in materia di lingua anche chi [15] non ci ha disposizione di natura, in un periodo di tempo anche breve, e senza far grande fatica. Mi dirà : - Non ci avendo disposizione, non ci ho amore, e senza questo non si riesce a nulla. - Ma l'amore viene a poco a poco, man mano che dello studio si riconoscono i profitti, come viene all'erborizzatore esordiente, che, dopo aver classificato nella sua mente un certo numero di piante, prosegue con più alacrità , per il piacere d'accrescere il suo patrimonio di cognizioni, e perchè il lavoro gli riesce sempre più facile. Può ella affermare che se stèsse chiusa un mese fra quattro pareti senz'altri libri che di lingua, non prenderebbe amore a questo studio quanto uno che ci avesse disposizione? No, non è vero? E ci prenderebbe amore per il solo fatto che sarebbe costretta, per cacciar la noia, a vincere la prima riluttanza, insistendo su quella materia col pensiero, come non ha fatto mai. Provi dunque a insistervi col pensiero una volta, a fare una volta di proposito ciò che farebbe in quel caso per forza, e vedrà che il difficile non sta che nel principiare. E poi: - Non ci ho attitudine! - E come lo sa? La mente umana è piena di sorprese; certe attitudini vi stanno nascoste; scavi un po'; anche nel cervello, chi cerca trova.
A chi non ci ha tempo.
- Ci ho pensato molte volte, mi ci metterei; ma ho altro da fare, mi manca il tempo.
- Non le può mancare. Non c'è altra materia che si presti meglio a uno studio frammentario, fatto nei ritagli di tempo libero, e anche nei momenti di riposo; a uno studio [16] somigliante a quelle occupazioni fra intellettuali e meccaniche, a cui si dà nno molti per isvago. Se non chiuderà il mio libro alle prime pagine, vedrà che può studiare la lingua senza togliere un'ora alle sue faccende quotidiane, anzi facendo servire queste a quello scopo, imparando qualche cosa a ogni proposito, raccogliendo le cognizioni quasi senza far deviare il suo pensiero dall'andamento abituale. Ella mi dirà : - Ma ho mille pensieri, mille cure; quando ci avrei tempo, non ci ho testa; per codesto studio ci vuol l'animo tranquillo. - Ma appunto, ella ci troverà quiete e sollievo, perchè non c'è altro studio che giovi quanto questo a distrarci dalle passioni che ci turbano, che occupi e svaghi la mente, come questo fa, con una serie continua di curiosità nascenti l'una dall'altra, contentando ad un tempo l'animo con molte piccole conquiste quotidiane determinate, con infinite piccole compiacenze prodotte dal continuo ripetersi delle occasioni in cui si può spendere quello che s'è guadagnato. E non mi dica neppure che è uno studio per i giovani, ai quali è stimolo l'idea di ricavarne un vantaggio per l'avvenire, non per gli uomini maturi, a cui quello stimolo manca. No; bisogna pure che ci si trovi un piacere indipendente da ogni concetto d'utilità futura, poichè per tanti uomini, anche non letterati e scrittori, è uno studio amoroso e costante, un conforto nella vecchiaia e nella solitudine, l'ultima forma d'attività della loro mente, come è per altri lo studio della natura. Col quale, infatti, ha questo di comune lo studio della lingua: che è infinitamente vario, e che i suoi confini s'allontanano dinanzi a chi vi procede.
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A chi dice che ci avrà tempo.
A lei, signorino, che mi dice: - Ci avrò tempo! - darei volentieri una tiratina d'orecchio. Se c'è studio che un ragazzo non debba rimandare a poi, è questo della lingua. Non t'hai per male ch'io paragoni la tua memoria a un foglio di carta asciugante? Vedi, quando questo è fresco e pulito, come vi s'imprimono nette tutte le parole dello scritto su cui lo premi, e vedi poi, quando è un pezzo che l'usi ed è già nero in gran parte, come le parole vi s'imprimono confuse, o non vi restano, o se ne perde l'impressione in quella dello scritto che già lo ricopre. La tua bella età è quella in cui la mente vergine e chiara è più atta ad appropriarsi il materiale della lingua, non soltanto per virtù della memoria ancor fresca, ma anche perchè, essendo tu spettatore più che attore della vita, dalle parole non ti distraggono ancora le cose così fortemente come faranno più tardi, quando avrai mille cure, faccende e pensieri. Per questo tu hai inteso dire mille volte che i ragazzi imparano le lingue più facilmente degli uomini. Via via che s'allargherà il campo e crescerà la difficoltà dei tuoi studi, ti mancherà sempre più il tempo di dedicarti alla lingua e dovrai fare uno sforzo sempre maggiore per impararla. E non pensare che sia uno studio puramente letterario, che a te, chiamato a questa o a quella scienza, non possa giovare. È un errore madornale. Nel campo di qualunque scienza il possesso della lingua, la facoltà di esprimersi con chiarezza e con proprietà è parte della scienza [18] stessa. Vedi che differenza c'è nel profitto che fanno fare ai giovani gl'insegnanti che parlano bene e quelli che parlano male. E non credere d'imparar la lingua con quel tanto che te ne insegnano: la scuola non ti può che mettere sulla via d'impararla: al modo particolare che ha ciascun di noi di sentire e di pensare, noi soli possiamo trovar la lingua che lo esprima. E poi, che logica è questa? Dici che a studiar la lingua ci hai tempo, ossia, che è uno studio che non preme; ma d'ogni sproposito o anche piccolo errore di lingua che sfugga a chi che sia, se tu lo avverti, ne fai un carnevale. Non ti dar la zappa sui piedi, dunque; mettiti all'opera; per qualunque via tu abbia da fare il tuo cammino nel mondo, benedirai le fatiche che avrai dedicate a questo studio nei tuoi primi anni.
A un giovane d'ingegno.
- Lo studio della lingua è per le teste piccole, che, non avendo idee, hanno bisogno d'imparar parole....
- Lo crede davvero? Veda come andiamo d'accordo. Io penso l'opposto. Credo che le teste piccole abbian meno bisogno di studiar la lingua che le teste grandi, perchè, avendo poche idee, basta a loro un ristretto materiale di lingua ad esprimerle; perchè, pensando meno profondamente e meno sottilmente, non occorre loro grande efficacia e finezza di linguaggio per rendere il proprio pensiero. Ma chi ha vero ingegno, se non sa la lingua bene, si trova tanto più impacciato a farsi valere quanto ha più ingegno. Come non lo comprende? Non è verità evidente [19] che deve posseder la lingua meglio degli altri chi ha idee originali e sentimenti vivi e delicati da esprimere, chi sa, intuisce e ricorda molte cose, e in ogni cosa vede particolari che la maggior parte non vedono, chi dalla forza del proprio ingegno e del proprio sentimento è portato più degli altri ad analizzare, ad argomentare, a raccontare, a descrivere, e nel descrivere, a scolpire e a colorire le proprie immagini? E tanto più se il suo ingegno è di quella natura particolare che si chiama spirito, inclinato a coglier delle cose il lato ridicolo, e le relazioni riposte di affinità e di contrasto comico intercedenti fra di esse, e a giocare coi significati diretti e t...
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