[Pagina precedente]... dall'ispirazione: forma e sostanza, splendore e sapienza ad un tempo. Io pensavo da principio che l'amore di questa maniera di studio mi sarebbe scemato con gli anni; ma non scemò: si fece più vivo. Ogni passo di scrittore ch'io so a memoria è per me come un amico e un maestro di lingua che m'accompagna da per tutto, sempre pronto a rallegrarmi e a insegnarmi qualche cosa. Oggi ancora, quando leggo una poesia [108] o uno squarcio di prosa magistrale, dico a me stesso: - Facciamoci un nuovo amico, - e me lo faccio, con una facilità maravigliosa oramai. Ella, per bontà sua, dice che sono uno scrittore. Ebbene, sono diventato uno scrittore in questo modo. E può scrollar le spalle chi vuole: io continuo.
Il miscellaneo.
Un metodo, io? Ma le pare che un arruffone par mio possa avere un metodo? Io non sono che un dilettante, che studia la lingua per ispasso, in una maniera affatto irragionevole. Ho un così detto Gran libro della lingua, nel quale esperimento tutti i metodi; ma seguo di preferenza quello che tengono inconsciamente i bambini nell'imparare a parlare: un curiosissimo libro, in cui si rispecchia il disordine matto della mia mente, il perpetuo trescone che ballano le idee nel mio capo. Lo vuol vedere? È una maraviglia di scapigliatura intellettuale. Mentre lei lo sfoglierà , io le darò le spiegazioni occorrenti, e può darsi che si diverta.
Dicendo questo, tirò giù da uno scaffale un grosso registro, che pareva il Libro maestro di una Casa di commercio, e me lo mise aperto sul tavolo.
- Veda - mi disse - le prime pagine. Io vi cominciai a notare parole e frasi prese dagli scrittori, man mano che li andavo leggendo, senz'ordine di tempo nè di materie. Vede che si salta dal Boccaccio al Giusti, da Gino Capponi al Guicciardini, dal Cellini al Leopardi. Noti qui, fra gli estratti di due trecentisti, uno studio sulla [109] terminologia del vestiario femminile, che feci sulla traduzione d'un romanzo francese, fatta da Ferdinando Martini; e più oltre, accanto a una pagina d'aggettivi prediletti da Dante, una serie di locuzioni relative al vino, pescate nel ditirambo del Redi. Questo le può dare un'idea del metodo. E ora veda lei, più innanzi, se ci si raccapezza. Nelle pagine seguenti, in fatti, trovai il più strano disordine che si possa immaginare. Elenchi di proverbi toscani; infilzate di vocaboli e di frasi ingiuriose; una pagina intitolata: - Vari modi di dar dell'asino al prossimo; in un'altra pagina, sotto un grosso titolo: - Alla gogna - registrati tutti i più marchiani francesismi e idiotismi d'uso corrente nei giornali e nella conversazione, e ad alcuni di quelli scritto accanto: - Guardati! -; quelli appunto, mi spiegò l'amico, che solevano più spesso scappare anche a lui nello scrivere e nel parlare. Alternati con questi, altri elenchi di frasi e di parole, abbracciati da grandi graffe, lungo le quali era scritto: - Ti fanno paura? - e disse ch'erano modi efficaci ch'egli non usava mai, e che aveva messi in mostra in quella forma per rammentare a sè stesso d'usarli. Poi una serie di dizionarietti speciali: di giochi fanciulleschi, di difetti fisici, di motti scherzosi, di colori, di piante, di strumenti di lavoro, illustrati di figurine schizzate con la penna, per chiarire il significato e facilitare la memoria delle parole. C'eran disegnati un violino e una finestra, con su scritti i nomi di tutte le loro parti, e una figura umana in caricatura, che aveva scritto sopra il capo: pera, sul naso: nappa, sul mento: bietta, su ventre: buzzo, sulle mani: mestole, sulle gambe: seste, [110] sulle scarpe: - ciotole. Lessi una Pagina delle busse, nella quale erano notate tutte le forme di percossa possibili, dal rovescione al biscottino, con tutti i verbi con cui si può designare l'azione: accoccare, appiccicare, appioppare, allungare, ammenare, appoggiare, assestare, azzeccare, ammollare, affibbiare, barbare, distendere, consegnare, fiancare, misurare, piantare, rifilare, rivogare, somministrare, tirare: un tesoro di gentilezze. Di tanto in tanto, in grandi caratteri: - Esercizi ginnastici - e sotto, un dialogo strambo, nel quale due persone, collegando a dispetto dei santi le idee più disparate, si palleggiano tutte le locuzioni registrate nelle dieci o venti pagine precedenti; o aneddoti o descrizioni bizzarre, in cui tutte quelle locuzioni sono pigiate a forza, o periodi a chiocciola, dove una stessa idea è espressa parecchie volte di seguito in forma diversa. Alcuni di questi esercizi, intitolati Scrigni poetici, erano sonetti e versi sciolti, nei quali l'amico aveva incastrato una quantità di modi, per ricordarli meglio, in grazia del ritmo. Fra due di queste poesiole c'era un discorso d'un pedante marcio, tutto tessuto di quei vocaboli e di quelle frasi antiquate, che nessuno usa più parlando, ma che qualcuno s'ostina ancora a scrivere, sfidando eroicamente il ridicolo; altrove il discorso d'un lezioso; più là il soliloquio d'uno sgrammaticante, con le sgrammaticature più frequenti nella conversazione della gente per bene. Mi cadde sottocchio, fra l'altro, una pagina di Spazzature, dov'era raccolto un buon numero di quelle frasi fatte, calìe letterarie, o fiori secchi di rettorica, che ricorrono di continuo nei discorsi e nei brindisi, e che son diventati odiosi [111] a tutti oramai, anche a quelli che li usano, quando li sentono usare dagli altri. Ma sopra ogni cosa attirò la mia attenzione e mi parve strana una grande quantità di parole e di frasi segnate a capo e a piè di pagina, sui margini, tra riga e riga, a traverso lo scritto, un po' da per tutto, alcune in istampatello, altre inquadrate in quattro tratti di penna, o scritte con matita rossa, verde o turchina, o sormontate da un Nota bene, o fiancheggiate da un punto esclamativo, o da un crocione, o da una bandierina disegnata: parole e frasi, che l'amico mi disse d'aver appuntate così a caso, dove prima gli veniva, man mano che le intoppava nei libri, e contrassegnate in quella maniera, perchè attirassero il suo sguardo e gli si rinfrescassero nella memoria quando egli sfogliava il librone per cercarvi o per notarvi altre cose. Tutto il librone n'era tempestato, e anche molte di queste note illustrate da piccoli schizzi di figure umane, di mobili, d'utensili, d'oggetti d'ogni genere; e v'eran qua e là delle pagine bianche, preparate per altre note, coi titoli già scritti. Trovai in ultimo un elenco di quei modi dialettali, che si sogliono scansare con gran cura, benchè appartengano pure alla lingua, e siano correttissimi, e nella pagina accanto una raccolta di frasi di complimento antiche e moderne, alla quale faceva riscontro un piccolo dizionario di moccoli smorzati, di quelle esclamazioni vigorose di maraviglia o di dispetto, che la gente ben educata sostituisce ai sacrati autentici, quando è in una compagnia a cui si devono dei riguardi. Arrivato a questo punto, benchè mi destasse un senso d'ammirazione l'amor della lingua vivissimo che si [112] manifestava in quella strana rigatteria filologica, non potei trattenere una risata. Ma il bottegaio non se n'ebbe per male; tutt'altro. - Bene! - mi disse. - Mi fa piacere di vederla ridere. È il commento che desideravo e aspettavo, perchè giustifica la mia mancanza di metodo, ed è un modo di riconoscere che si può far dello studio della lingua uno spasso amenissimo, come io faccio appunto. Studiando la lingua io scrivo versi, recito la commedia, lavoro di mosaico, faccio ginnastica con la penna, rivedo le bucce agli altri e a me stesso, rido, tesoreggio, disegno, fantastico, e serbo una libertà di spirito che esclude ogni fatica e ogni noia. Non è un metodo; ma un modo che credo convenientissimo a tutte le teste disordinate e svolazzatoie com'è quella che porto sulle spalle. Veda, io non darei questo libraccio per un peso eguale di biglietti da cento. E se lo stampassi, credo che farebbe furore. Certo sarebbe il trattato linguistico più originale che si sia pubblicato mai, e forse non il più inutile. Dopo la mia morte, chi sa! O lo lascerò alla Biblioteca Vittorio Emanuele, di Roma.
Il vocabolarista.
Per imparar la lingua io leggo assiduamente, oltre gli scrittori, il Vocabolario. Non lo leggo soltanto perchè è il solo libro che, se non tutta, contiene quasi tutta la lingua; ma anche perchè mi diletta l'immaginazione, senza turbarmi l'animo, non movendo in alcun modo le passioni; dalle quali rifugge la mia indole tranquilla. Dico di più: che per me non c'è altro libro che diletti altrettanto, per poco che l'immaginazione [113] del lettore si presti a vivificar la lettura. Per me le parole sono creature umane, e le colonne, strade, dove passa una folla maravigliosa. In questa folla incontro conoscenti e sconosciuti; indifferenti che lascio passare, figure curiose con cui mi soffermo, vecchi amici che mi son famigliari fin dai primi anni, persone con le quali ebbi relazione un tempo, e che dimenticai in seguito, e che riconosco con piacere, e altre che cercai un pezzo nel regno dei libri, senza trovarle, e a cui faccio festa, come si fa a un amico inaspettato, che ci venga a cavar da un impiccio. Vedo nelle parole immagini di scienziati, di poeti, di pedanti, di villani, di beceri, di patrizi, d'operai, facce benigne e sinistre, e buffe, e tragiche, e figure di ragazze snelle e gentili, di donnine semplici o affettate, e di vecchie venerabili, sei volte secolari, che parlarono col Boccaccio e con Dante, e serbano la fresca vivacità della giovinezza. E ciascuna mi desta un pensiero, e alla più parte mi scappa detto qualche cosa, passando. - Ti saluto, simpatia! - Mi rallegro con lei, finalmente assunta all'onore del Vocabolario. - Passa via, svergognata. - O lei, che mille volte m'è entrata e mille volte sfuggita dalla mente, quando si risolverà a rimanervi? - Te non ti ci voglio, chè non t'ho mai potuta patire. - Si fermi lei, e mi dica bene una volta quello che vuol dire, chè non l'ho mai saputo per l'appunto. - Le parole seguite da derivati e diminutivi mi danno l'immagine di padri o di madri con un codazzo di figliuoli e di nipoti grandi e piccoli; quelle cadute fuor d'uso, di superstiti d'altre età , che si trascinino, e non si ritrovino in mezzo alla folla giovanile [114] che passa, o d'ombre di trapassati, ricordate nel dizionario da una lapide; quelle di significati diversi, di faccendieri che facciano ogni arte; le nuove, d'origine straniera, di viaggiatori arrivati di fresco, con la valigia alla mano. E incontro greci e romani antichi, e italiani d'ogni secolo, e visi e vestiari di tutte le regioni d'Italia. Tutti i mestieri, tutte le scienze, usi e costumi di ogni classe sociale e d'ogni popolo, tutti gli stati dell'animo, tutte le forme e tutti gli strumenti dell'operosità umana, tutti gli aspetti della natura e tutte le epoche della storia mi passano dinnanzi nel Vocabolario. Ed è il mio maggior diletto appunto questo passaggio continuo dall'una all'altra idea disparatissima, questo procedere a salti, a volate subitanee da cose materiali a cose ideali, da un polo all'altro del mondo intellettuale, questa fuga vertiginosa di luoghi, d'oggetti, di genti, d'orizzonti, di secoli, nella quale il mio pensiero balena più fitto, la mia fantasia batte più rapidamente l'ali che nell'impeto d'un'inspirazione creatrice. E quanti ricordi mi destano le parole! Moltissime, sonandomi nella mente, risvegliano e fanno uscire dai recessi della memoria volti, nomi, casi, momenti della vita, che da più o meno tempo vi stavano rimpiattati e ignorati. Una parola antiquata o poetica mi rammenta una persona che spesso la diceva, facendone pompa fra gli amici, i quali ne sorridevano, toccandosi a vicenda col gomito; un'altra mi fa riudir l'accento d'un lontano o d'un morto, che la pronunziava in certo modo suo proprio; questa mi richiama alla mente un linguista che le mosse guerra e uno che la difese, e le dispute che vi fecero intorno, e le impertinenze che si [115] scambiarono pel fatto suo; quella mi ricorda un verso celebre o un motto storico o una scena di commedia...
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