EDMONDO DE AMICIS
L'IDIOMA GENTILE
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1905
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PARTE PRIMA.
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LA LINGUA DELLA PATRIA.
A un giovinetto.
Tu ami la lingua del tuo paese, non è vero? L'amiamo tutti. È inseparabilmente congiunto l'amore della nostra lingua col sentimento d'ammirazione e di gratitudine che ci lega ai nostri padri per il tesoro immenso di sapienza e di bellezza ch'essi diedero per mezzo di lei alla famiglia umana, e che è la gloria dell'Italia, l'onore del nostro nome nel mondo. L'amiamo perchè l'hanno formata, lavorata, arricchita, trasmessa a noi come un'eredità sacra milioni e milioni d'esseri del nostro sangue, dei quali, per secoli, ella espresse il pensiero, e le sue sorti furon le sorti d'Italia, la sua vita la nostra storia, il suo regno la nostra grandezza. L'amiamo perchè la parola sua ci scaturisce d'in fondo all'anima insieme con ogni nostro sentimento, si confonde con le nostre idee fin dalle loro sorgenti più intime, e non è soltanto forma, suono, colore, ma sostanza del nostro pensiero. L'amiamo perchè è la nostra nutrice [4] intellettuale, il respiro della mente e dell'animo nostro, l'espressione di quanto è più intimamente proprio della nostra indole nazionale, l'immagine più viva e più fedele e quasi la natura medesima della nostra razza. L'amiamo perchè è il vincolo più saldo della nostra unità di popolo, l'eco del nostro passato, la voce del nostro avvenire, verbo non solo, ma essenza dell'anima della patria.
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E anche l'amiamo perchè è bellissima, ricchissima, potentissima, varia tanto, come disse uno dei più grandi cultori suoi, da parere, più che un idioma, un aggregato d'idiomi; capace di prendere infinite forme e sembianze, stupendamente pieghevole a tutti gli stili, unica nell'attitudine a riportare la nobiltà dello stile latino e del greco, insuperata nell'abbondanza del vocabolario e nella vivezza del colorito comico, maravigliosa "per l'immensa facoltà delle metafore e per la fecondità della sua natura sempre propria a produrre nuovi modi" onde "è tutta coperta di germogli" come una terra fertilissima in perpetua primavera; fresca ancora nella maggior parte dei suoi fiori e delle sue fronde di sette secoli, e armoniosa come nessun'altra al mondo. "Lodata e ammirata dagli stranieri, e anche invidiata"; ma noi più l'amiamo per quella bellezza che soltanto a noi si palesa. Le sue parole hanno per noi un suono che è come un secondo significato nascosto, sfuggente a ogni espressione; la sua armonia ci risveglia infiniti ricordi di sensazioni, di luoghi e di forme umane, di voci e d'accenti conosciuti e cari di viventi e di morti, [5] e pensieri e immagini e versi di maestri immortali, diventati nostro spirito e nostro sangue; essa è per noi la musica dell'affetto, del dolore, della gioia, dell'amor di patria, piena di forze e di dolcezze misteriose, che non salgono fino alle nostre labbra, ma vibrano e germinano nel più profondo dell'anima nostra, come virtù secrete della nostra natura. Anche per questo, perchè è voce del nostro cuore e lume della nostra coscienza, l'amiamo.
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Ma che vale amar la propria lingua se non si studia? Non solo; ma chi non la studia, e quindi la sa poco e male, quasi come una lingua straniera, la può amar veramente? E c'è bisogno di dimostrare che, non soltanto per amore, ma per interesse nostro, per necessità la dobbiamo studiare? Pensa un poco. In qualunque parte d'Italia tu sia nato, nella lingua, non nel dialetto, quando piglierai in mano la penna, dovrai sempre esprimere i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti, e mille volte anche di viva voce. Mille volte, scrivendo e parlando, dovrai manifestare italianamente, con la maggior efficacia possibile, desidèri e bisogni tuoi, trattare i tuoi interessi, movere l'affetto e la volontà altrui, raccontare, argomentare, pregare, giustificarti, difenderti; e se la lingua non conoscerai bene, ti sarà sempre una pena e una vergogna il non poter dire come vorrai quello che avrai da dire, il trovarti come a maneggiare uno strumento che ti sfugga dalle mani, il sentire che dei tuoi sentimenti più profondi e più gentili e dei tuoi [6] pensieri e delle tue ragioni migliori una gran parte andrà perduta per gli altri nell'espressione rozza, manchevole, priva d'evidenza e di forza. Quello che hai inteso dire: che molti non riescono a farsi strada nel mondo per mancanza di facoltà comunicativa, non è vero soltanto per coloro che mancano di naturale eloquenza; ma anche per quei moltissimi che, eloquenti nel proprio dialetto, sono invece nel parlar la lingua, non conoscendola, incerti, confusi, diffidenti di sè, inceppati continuamente dal timore e dalla coscienza di parlar male. Quante volte nella vita dipende un grave danno o un grande vantaggio nostro da un nostro pensiero o sentimento espresso in un modo infelice, onde non è inteso o è franteso, o significato invece in una forma che svela tutto l'animo e va dritta alla mente e al cuore della persona a cui è diretta! Quante cognizioni, quante idee rimangono in molte menti, per sempre, come materia informe e senza valore, perchè manca a chi le possiede il possesso della lingua per comunicarle alla mente altrui? Si dice che l'uomo vale per quello che sa; ma vale anche in gran parte per come sa dire quello che sa. Più che per il passato, ora che son sempre più frequenti per tutti il bisogno e le occasioni di comunicare ad altri le proprie idee, scrivendo per la stampa, parlando in pubblico, partecipando in diversi modi alla trattazione d'interessi comuni, la conoscenza della lingua è necessaria. Non è soltanto un ornamento intellettuale: è arma nella lotta per la vita, è forza e libertà dello spirito, è chiave dei cuori e delle coscienze altrui, è strumento di lavoro e di fortuna.
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E dobbiamo studiar la lingua anche per dovere di cittadini. Le lingue si trasformano col tempo, come ogni cosa si trasforma: acquistano nuove voci e locuzioni, come gli alberi mettono nuove foglie; ne pèrdono; di molte che esse conservano, il significato si muta; si mutano le lingue nella sostanza e nella struttura: è effetto d'una legge naturale. Ma con la trasformazione naturale e inevitabile della lingua non si deve confondere la corruzione, la quale consiste nell'introdurvi, come si fa dai più, parole e frasi barbare e non necessarie, idiotismi oziosi, modi dell'uso spurio, forme che ripugnano all'indole sua. Ora, da questa corruzione è dovere d'ogni cittadino colto preservare la lingua della patria, perchè, come ciascuno fa la parte sua, sia pure minima, nella grande opera collettiva, da cui la lingua resulta, così concorre ciascuno a corromperla, sia pure in parte infinitesima, parlando e scrivendo male. Non è dovere soltanto degli scrittori, è di tutti; perchè dove tutti maltrattano e guastan la lingua, finiscono anche gli scrittori con essere travolti dall'universale barbarie. Nel grande commercio nazionale della lingua è onestà il non mettere in giro monete false. È vergogna per un italiano colto l'esprimere barbaramente pensieri e sentimenti che scrittori insigni di trenta generazioni espressero in forme italiane pure e ammirabili. È irragionevole il vantarsi d'amare il proprio paese quando si concorre a imbastardirne il linguaggio, considerandolo come un campo che a tutti sia lecito di calpestare e [8] lordare. Per la ragione stessa che rispettiamo e custodiamo gelosamente la ricchezza infinita d'opere d'arte, che i nostri padri ci lasciarono, dobbiamo rispettare e custodire il patrimonio della lingua, che essi trasmisero e affidarono a noi come una tradizione gloriosa, e che da noi si ha da tramandare ai nostri figli, intatto e immaculato quanto lo consentano la legge del tempo e la forza delle cose. Per amor di patria, dunque, per sentimento di dignità nazionale e d'onestà cittadina, per nostro interesse individuale e per vantaggio di tutti, noi dobbiamo studiare la nostra lingua, quanto ci è possibile, in qualunque classe sociale ci abbia posto la fortuna, qualunque sia il nostro ufficio nella società e la natura dei nostri studi professionali, in qualunque parte d'Italia siam nati o destinati a vivere; dobbiamo studiarla perchè sono una cosa patria e lingua, pensiero e parola, parola e vita.
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Ebbene, io scrivo con lo scopo unico di farti prendere amore a questo studio, provandoti che non è punto uno studio arido e noioso, come lo credono i più; ma che si può fare con lo stesso diletto col quale si studia la pittura e la musica da chi non vi cerca altro che il diletto. Tu hai già compreso: non scrivo un trattato; non scenderò a disquisizioni grammaticali minute, nè salirò a quistioni alte di filologia, chè non sarebbe affar mio, e non gioverebbe al mio scopo: tratterò la materia semplicemente e praticamente, nella forma che mi pare convenga meglio all'età tua. E scrivo non soltanto per [9] te; ma anche per quella molta gente d'ogni età e condizione, che potrebbe studiar la lingua con piacere e con vantaggio, pure senza il sussidio utilissimo della conoscenza del latino, nè d'altra preparazione letteraria, e che ci si metterebbe volentieri, se non la trattenesse il pregiudizio comune che v'occorra uno sforzo enorme della volontà e una pazienza infinita, come per lo studio d'una scienza astrusa. Per questo, strada facendo, mi staccherò da te qualche volta, per rivolgermi ad altri; ma tu mi potrai venire accanto anche allora, perchè non mi scorderò mai che m'ascolti. Faremo insieme un viaggio d'istruzione, e farò il possibile perchè riesca pure un viaggio di piacere. Può darsi che in qualche punto tu t'annoi; ma spesso ti soffermerai a pensare, e di tanto in tanto sorriderai, e ti farai buon sangue. Non sono un maestro: sono una guida. Alla dottrina che mi manca supplirò in qualche modo con la dottrina degli altri. Non imparerai gran cosa da me lungo il viaggio; ma moltissimo poi da te stesso, e con l'aiuto altrui, se io riuscirò, come spero, a trasfondere nell'animo tuo un poco del vivo amore e dell'allegra fede con cui mi metto al lavoro.
A QUELLI CHE NON VORREBBERO LEGGERE.
Vedo parecchi lettori, che dopo avere scorso la prefazione, fanno l'atto di chiudere il libro.
Un momento, signori.
Chiedo il permesso di rivolgere poche parole a ciascun di loro.
Poi ritornerò a te, giovinetto.
A chi dice che la lingua si sa.
- Che bisogno c'è di studiar la lingua? La lingua si sa!
- È un'opinione di molti. Ella la saprà meglio di molti altri, non ne dubito; ma si lasci dire che, se non l'ha studiata, non la può sapere, non solo come dovrebbe, ma neppure quanto i suoi bisogni richiedono. Ella possiede un materiale di lingua che non è la terza parte di quello che le sarebbe necessario per parlar bene, un piccolo corredo di vocaboli e di frasi, che le servono a dire impropriamente e a un di presso una grande quantità di cose, ciascuna delle quali può esser detta con una parola o una frase [11] propria, che dice per l'appunto quella cosa sola. Nel parlare come nello scrivere, a ogni tratto, ella gira intorno al proprio pensiero, non lo esprime che a mezzo, ed è costretta ad aggiungere e a correggere per compiere e chiarire l'espressione che non le riuscì compiuta e chiara alla prima. E, confessi la verità : molte cose ella non le dice per non mettersi in un impaccio. Vuol vedere che io le nomino subito venti, trenta oggetti, operazioni, qualità o particolari d'oggetti, che a tutti occorre di rammentare quasi ogni giorno, e che ella designa sempre con una perifrasi o con una parola sbagliata? Vuol che le dica lì per lì una filza di modi della lingua viva, usatissimi in tutta l'Italia, e che non hanno sinonimi, ma che lei non ha mai usati e che le riuscirebbero nuovi come modi d'un'altra lingua? Ella conosce il francese? Non molto. Vuole scommettere che se mi racconta in italiano l'aneddoto più semplice, io, che non sono un linguista nè un pedante, ci trovo altrettante improprietà quante ce ne troverebbe un francese s'ella gli raccontasse l'aneddoto in francese? E mi sostiene che la lingua si sa? Capisco come non si sappia d'ignora...
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