L'ESCLUSA, di Luigi Pirandello - pagina 2
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Rocco stolzò alla voce, e si voltò, stordito da quel consiglio e dal vedere il fratello ancora lì, impassibile, sotto la lampada.
- Da Bill? - gli domandò, accigliato.
- E perché?
- Io, nel tuo caso, farei un duello, - disse con aria semplice e convinta Niccolino, raccogliendo nel cavo della mano tutte le pallottoline arrotondate e andando a buttarle dalla finestra.
- Un duello? - ripeté Rocco, e stette un poco a pensare, impuntato; poi proruppe: - Ma sì, ma sì, ma sì, dici bene! Come non ci avevo pensato? Sicuro, il duello!
Dalla chiesa vicina giunsero i rintocchi lenti della mezzanotte.
- Mezzanotte.
- L'Inglese sarà sveglio.
Rocco raccolse il cappello ammaccato dal pavimento.
- Ci vado!
Parte 1,2
Per la scala, al bujo, Rocco Pentàgora rimase un tratto perplesso, se picchiare all'uscio dell'Inglese o a quello più giù d'un altro pigionante, il professor Blandino.
Antonio Pentàgora aveva edificato quella sua casa, che pareva un torrione, a piano a piano.
Al quarto, per il momento, s'era arrestato.
Ma, o che la casa rimanesse veramente fuori mano, o che nessuno volesse aver da fare col proprietario, il fatto era che al Pentàgora non riusciva mai d'appigionarne un quartierino.
Il primo piano era vuoto da tant'anni; del secondo una sola camera era occupata da quel professor Blandino, affidato alle cure della signora Popònica; del terzo, parimenti una sola, dall'inglese Mr H.W.
Madden, detto Bill.
Tutte le altre, qua e là, dai topi.
Il portinajo aveva la dignitosa gravità d'un notajo; ma, cinque lire al mese; per cui non salutava mai nessuno.
Luca Blandino, professore di filosofia al Liceo, su i cinquant'anni, alto, magro, calvissimo, ma in compenso enormemente barbuto, era un uomo singolare, ben noto in paese per le incredibili distrazioni di mente a cui andava soggetto.
Aggiogato per necessità e con triste rassegnazione all'insegnamento, assorto di continuo nelle sue meditazioni, non si curava più di nulla né di nessuno.
Tuttavia, chi avesse saputo all'improvviso impressionarlo, così da farlo per poco discendere dalla sfera di quei suoi nuvolosi pensieri, avrebbe potuto tirarlo dalla sua e farsene ajuto prezioso e disinteressato.
Rocco lo sapeva.
Uomo non meno singolare era il Madden, professore anche lui, ma privato, di lingue straniere.
Dava a pochissimo prezzo lezioni d'inglese, di tedesco, di francese, bistrattando l'italiano.
Piazza internazionale, dunque, quella sua fronte smisurata.
I capelli aurei, finissimi, pareva gli si fossero allontanati dai confini della fronte e dalle tempie per paura del naso adunco, robusto; ma in cerca di loro, dalla punta delle sopracciglia serpeggiavano sù sù, come per andarsi a nascondere, due vene sempre gonfie.
Sotto le sopracciglia s'appuntavano gli occhietti grigio-azzurri, a volta astuti, a volta dolenti, come gravati dalla fronte.
Sotto il naso, i baffetti color di fieno, tagliati rigorosamente intorno al labbro.
Nonostante la fronte monumentale, la natura aveva voluto dotare il corpo del signor Madden d'una certa agilità scimmiesca; e il signor Madden subito aveva tratto partito anche di questa dote: nelle ore d'ozio, dava lezioni di scherma; ma così, senz'alcuna pretesa, badiamo!
Probabilmente neppur lui, povero Bill, avrebbe saputo ridire come mai dalla nativa Irlanda si fosse ridotto in un paese di Sicilia.
Nessuna lettera mai dalla patria! Era proprio solo, con la miseria dietro, nel passato, e la miseria davanti, nell'avvenire.
Così abbandonato alla discrezione della sorte, pure non s'avviliva.
In verità, il signor Madden aveva in mente, per sua ventura, più vocaboli che pensieri; e se li ripassava di continuo.
Rocco - come Niccolino aveva supposto - lo trovò sveglio.
Bill stava seduto su un vecchio, sgangherato canapè davanti a un tavolino, con la gran fronte illuminata da una lampada dal paralume rotto; senza scarpe, teneva una gamba accavalciata su l'altra e dava morsi da arrabbiato a un panino imbottito, guardando religiosamente una bottiglia sturata di pessima birra, che gli stava davanti.
Ogni mattone, in quella camera, reclamava la scopa e una cassetta da sputare per il signor Madden; reclamavano le pareti e i pochi decrepiti mobili uno spolveraccio; reclamava il letticciuolo dai trespoli esposti le solide braccia d'una servotta, che lo rifacessero almeno una volta la settimana; reclamavano gli abiti del signor Madden non una spazzola, ma una brusca, piuttosto, da cavallo.
Le vetrate dell'unica finestra erano aperte; le persiane, accostate.
Le scarpe del signor Madden, una qua, una là, in mezzo alla camera.
- Oh Rocco! - esclamò con la barbara pronunzia, nella quale gargarizzava, schiacciava, sputava vocali e consonanti, con sillabazione spezzata, come se parlasse con una patata calda in bocca.
- Scusa, Bill, se vengo così tardi, - disse Rocco, con faccia cadaverica.
- Ho bisogno di te.
Bill ripeteva quasi sempre le ultime parole del suo interlocutore, come per agganciarvi la risposta:
- Di me? un momento.
E` mio dovere di rimettere prima le scarpe.
E guardò, sconcertato, la ferita su la fronte dell'amico.
- Ho avuto una lite.
- Non capisco.
- Una lite! - urlò Rocco, additando la fronte.
- Ah, una lite, benissimo: A STRIFE, DER STEITE, UNE MLéE, YES, capito benissimo.
Si dice LITE in italiano? LI-TE, benissimo.
Che cosa posso io fare?
- Ho bisogno di te.
- (LI-TE).
Non capisco.
- Voglio fare un duello!
- Ah, un duello, tu? Benissimo capito.
- Ma non so, - riprese Rocco, - non so proprio nulla di...
di scherma.
Come si fa? Non vorrei farmi ammazzare come un cane, capisci?
- Come un cane, benissimo capito.
E allora qualche...
COUP? Ah, un colpo - si dice? Sì, INFALLIBLE, io te lo insegnare.
Molto semplice, sì.
Subito?
E Bill, con una mossa da scimmia ben educata, staccò dalla parete due vecchi fioretti arrugginiti.
- Aspetta, aspetta...
- gli disse Rocco, turbandosi alla vista di quei ferracci.
- Spiegami, prima...
Io sfido, è vero? oppure, schiaffeggio e sono sfidato.
I padrini discutono, si mettono d'accordo.
Duello alla sciabola, poniamo.
Si va sul luogo stabilito.
Ebbene, che si fa? Ecco, voglio saper tutto, con ordine.
- Sì, ecco, - rispose il Madden, a cui l'ordine, parlando, piaceva, per non imbrogliarsi; e si mise a spiegargli alla meglio, a suo modo, i preliminari d'un duello.
- Nudo? - domandò a un certo punto Rocco, costernatissimo.
- Come nudo? perché?
- Nudo...
di camicia, - rispose il Madden.
- Nudo il...
come si dice? LE TRONC DU CORPS...
DIE BRUST...
ah, YES, torso, il torso.
O puramente, senza nudo, sì...
come si vuole.
- E poi?
- Poi? Eh, si duellare...
La SCIABLA; in guardia; à VOUS!,
- Ecco, - disse Rocco, - io, per esempio, prendo la sciabola; avanti, insegnami...
Come si fa?
Bill gli dispose bene, prima di tutto, le dita di tra le basette.
Rocco si lasciò piegare, stirare, atteggiare come un automa.
Si avvilì presto però in quelle insolite positure stentate.
- Cado! cado!, - e il braccio teso gli si stancava, gli s'irrigidiva; il fioretto, possibile? pesava troppo.
- EH! EH! OLà! OILà, - incitava intanto il Madden.
- Aspetta, Bill! - nel dare quel colpo, il piede sinistro come poteva star fermo? e il destro, Dio! Dio! non poteva più ritrarsi in guardia! A ogni movimento il sangue gli affluiva con impeto alla ferita della fronte.
Intanto, alle pareti, i decrepiti mobili pareva che sussultassero, sbalorditi, agli sbalzi ridicoli delle ombre mostruosamente ingrandite di quei duellanti notturni.
BUM! BUM! BUM! - alcuni colpi bussati con rabbia sotto il pavimento.
Il Madden ristette, scosciato, con la gran fronte imperlata di sudore.
Tese l'orecchio.
- Abbiamo svegliato il professore Luca!
Rocco si era abbandonato, rifinito, su una seggiola, con le braccia ciondoloni, la testa cascante, appoggiata alla parete; quasi in deliquio.
Pareva, in quell'atteggiamento, che avesse già terminato il duello con l'avversario e ricevuto una ferita mortale.
- Abbiamo svegliato il professor Luca, - ripeté Bill, guardando Rocco, a cui tale notizia pareva non arrecasse alcuna spiacevole sorpresa.
- Andrò io dal Blandino, - diss'egli alla fine, levandosi in piedi.
- Bisogna sbrigar tutto prima di domani.
Il Blandino mi farà da testimonio.
Addio; grazie, Bill.
Conto anche su te, bada.
Il Madden accompagnò col lume in mano l'amico fino alla porta; aspettò sul pianerottolo che il professor Blandino venisse ad aprire e, allorché la porta del secondo piano fu richiusa, si ritirò facendo un suo gesto particolare con la mano, come se si cacciasse una mosca ostinata dalla punta del naso.
Luca Blandino accolse di malumore quella visita notturna.
Borbottando, barcollando, introdusse Rocco per le altre stanze deserte, nella sua camera; poi, col barbone grigio abbatuffolato e gli occhi gonfii e rossi dal sonno interrotto, sedé sul letto con le gambe nude, pelose, penzoloni.
- Professore, abbia pietà di me, e mi perdoni, - disse Rocco.
- Mi metto nelle sue mani.
- Che t'è accaduto? Tu sei ferito! - esclamò il Blandino con voce rauca, guardandolo con la candela in mano.
- Sì...
ah se sapesse! Da dieci ore, io...
Sa, mia moglie?
- Una disgrazia?
- Peggio.
Mia moglie m'ha...
L'ho scacciata di casa...
- Tu? Perché?
- Mi tradiva...
mi tradiva...
mi tradiva...
- Sei matto?
- No! che matto!
E Rocco si mise a singhiozzare, nascondendo la faccia tra le mani e nicchiando:
- Che matto! che matto!
Il professore lo guardava dal letto, non credendo quasi agli occhi suoi, ai suoi orecchi, così soprappreso nel sonno.
- Ti tradiva?
- L'ho sorpresa che...
che leggeva una lettera...
Sa di chi? dell'Alvignani!
- Ah birbante! Gregorio? Gregorio Alvignani?
- Sissignore - (e Rocco inghiottì).
- Ora, capisce, professore...
così...
così non può, non deve finire! Egli è partito.
- Gregorio Alvignani?
- Scappato, sissignore.
Questa sera stessa.
Non so dove, ma lo saprò.
Ha avuto paura...
Professore, mi metto nelle sue mani.
- Io? Che c'entro io?
- Una soddisfazione, professore, io una soddisfazione certamente me la devo prendere, di fronte al paese.
Non le pare? Posso restar così?
- Piano, piano...
Càlmati, figlio mio! Che c'entra il paese?
- L'onore mio, professore! Le pare che non c'entri? Debbo difendere il mio onore...
di fronte al paese...
Luca Blandino scrollò le spalle, seccato.
- Lascia stare il paese! Bisogna riflettere, ragionare.
Prima di tutto: ne sei ben sicuro?
- Ho le lettere, le dico, le lettere che lui le buttava dalla finestra!
- Lui, Gregorio? come un ragazzino? Ma mi dici davvero? Ohi, ohi, ohi...
Le buttava le lettere dalla finestra?
- Sissignore, le ho qua!
- Ma guarda, guarda, guarda...
E tua moglie, santo Dio! Non è figlia di Francesco Ajala, tua moglie? Bada, caro mio, che quello è una bestia feroce...
Adesso nasce un macello...
Che m'hai detto? Che m'hai detto? Vah...
vah...
vah...
Dalla finestra? Le buttava le lettere dalla finestra, come un ragazzino?
- Posso contare su lei, professore?
- Su me? Perché? Ah tu vorresti fare...
Aspetta, figliuolo mio, bisogna ragionare...
Mi hai tutto scombussolato...
Non è possibile, adesso...
Scese dal letto; s'accostò a Rocco e, battendogli una mano su la spalla, aggiunse:
- Torna sù, figliuolo mio...
Tu soffri troppo, lo vedo...
Domani, eh? con la luce del sole.
Ne riparleremo domani; ora è tardi...
Va' a dormire, se ti sarà possibile...
va' a dormire, figlio mio...
- Ma mi prometta fin d'ora...
- insisté Rocco.
- Domani, domani, - lo interruppe di nuovo il Blandino, spingendolo verso l'uscio.
- Ti prometto...
Ma che birbante, oh! Le lettere gliele buttava dalla finestra? Bisogna aspettarsi di tutto a questo mondaccio, caro mio! Povero Roccuccio, ma guarda! ti tradiva...
Sù, sù, andiamo...
- Professore...
non m'abbandoni, per carità! Conto su lei!
- Domani, domani, - ripeté il Blandino.
- Povero Roccuccio...
la vita, eh? che miseria...
Buona notte, figliuolo mio, buona notte, buona notte...
E Rocco sentì chiudersi dietro le spalle la porta, piano piano, e restò al bujo, sul pianerottolo, in mezzo alla scala silenziosa, smarrito.
Nessuno voleva più saperne, di lui?
Sedette, come un bambino abbandonato, su i primi scalini della branca, presso la ringhiera, coi gomiti su le ginocchia e la testa tra le mani.
Il bujo, il silenzio, la positura stessa gli strinsero il cuore, gli fecero cader l'animo in un avvilimento profondo.
Contrasse il volto e si mise a piangere e a lamentarsi sommessamente:
- Ah, mamma mia! mamma mia!
Pianse e pianse.
Poi si cercò in tasca e ne trasse una lettera tutta brancicata.
Accese un fiammifero e si provò a leggere; ma avvertì su la mano il contatto di qualcosa umida, lievissima, un po' vischiosa; e alzò il fiammifero per veder che fosse.
Un filo di ragno, lunghissimo, che pendeva dall'alto della scala.
Si distrasse a guardarlo, e non avvertì al fiammifero che gli si consumava intanto tra le dita; si scottò e, al bujo, gridò più volte:
- Maledetto! maledetto! maledetto!
Accese un altro fiammifero e si mise a leggere la lettera, ch'era scritta di minutissimo carattere, su una carta cinerea, ruvida in vista.
Lesse macchinalmente le prime parole: "TI SCRIVO DA TRE MESI (SON GIà TRE MESI) E ANCORA...".
Saltò alcuni righi; fissò lo sguardo su un "QUANDO?" sottolineato, poi buttò il fiammifero e restò con la lettera in mano e gli occhi sbarrati nel bujo.
Rivedeva la scena.
Aveva sforzato l'uscio con un violento spintone, gridando: "La lettera! dammi la lettera!".
Al fracasso, Marta s'era fatta riparo dello sportello aperto del grande armadio a muro presso al quale leggeva.
Egli aveva tratto in avanti con forza lo sportello e le aveva attanagliato i polsi.
"Che lettera? Che lettera?" aveva ella balbettato, guardandolo atterrita negli occhi.
Ma la carta, spiegazzata nell'improvviso terrore e impigliata tra le vesti e un palchetto dell'armadio era caduta come una foglia secca sul pavimento.
Ed egli, nel lanciarsi a raccoglierla, s'era ferito alla fronte, urtando contro lo sportello aperto dell'armadio.
Accecato dall'ira, dal dolore, aveva allora inveito contro di lei, senza riguardo alla maternità incipiente, e la aveva senz'altro cacciata di casa a urtoni, a percosse.
Poi, l'altra scena, col suocero.
Era andato a mostrargli quella e le altre lettere dell'Alvignani rinvenute nell'armadio.
Non c'era colpa? "E in che consiste allora la colpa per lei?" gli aveva domandato.
"Scusi, forse perché è sua figlia?".
Francesco Ajala gli era saltato addosso come una tigre.
"Mia figlia? che dici? mia figlia una sgualdrina?" Poi s'era ammansato.
"Bada, Rocco, bada a quello che fai...
Vedi di che si tratta? Lettere...
E tu rovini due case: la tua e la mia.
Forse puoi ancora perdonare..." "Ah sì? e la perdonerebbe lei, al mio posto, se invece d'esser padre fosse marito?" E Francesco Ajala non aveva saputo rispondergli.
"Lui no, e io sì? Oh bella!" pensò Rocco, nel silenzio della scala.
"E` finita! ora è finita!"
Si levò in piedi e, accendendo un altro fiammifero, si mise a risalire la scala, con gli occhi alla lettera che aveva ancora in mano.
"Che vorrà dire?..." domandava a se stesso, cercando di decifrare il motto dell'Alvignani inciso in rosso in capo al foglio: NIHIL - MIHI - CONSCIO.
Parte 1,3
L'ombra, poi man mano il bujo avevano invaso la stanza, ove la madre aveva accolto Marta scacciata dal marito.
Nel bujo, la suppellettile di vetro su la tavola, già apparecchiata per la cena prima dell'arrivo di Marta, ritraeva dalla strada qualche filo di luce.
La signora Agata Ajala, altissima di statura e corpulenta, ma con una dolcezza nello sguardo e nella voce che pareva volesse subito attenuare, in chi la guardava o le parlava, l'impressione sgradevole che il suo corpo doveva per forza destare; rientrando dalla saletta dove poc'anzi la avevano chiamata, intravide all'improvviso lume, nell'aprir l'uscio, le due figliuole sul canapè di fronte: Marta con un fazzoletto sul volto abbandonata su la spalliera, e Maria che le teneva una mano, china su lei.
- Vuol partire...
- annunziò, quasi istupidita dall'inattesa sciagura.
- Mamma, ha saputo...
ha saputo, - disse allora Marta scrollando il capo e torcendosi le mani.
- Ha saputo e non vuol più tornare a casa.
Non perdona, lo so.
Va' tu a trovarlo; digli che torni, mamma; io me ne vado.
Lo so, non mi crede più degna di stare in casa sua.
Digli che vi sono venuta...
così, perché non sapevo dove andare.
Me ne vado.
Non sapevo dove andare.
Due care braccia, tese in un impeto di commozione, la attirarono a sé.
La madre disse:
- Dove volevi andare? Dove puoi andare? Rimani, rimani qua, con Maria.
Andrò a parlargli...
Si tirò sul capo e si avvolse attorno al collo uno scialletto nero di lana, e uscì.
La larga strada del sobborgo, molto animata durante il giorno, restava poi, la sera, silenziosa e sola come una contrada di sogno, con le alte case in fila, su le cui finestre la luna rifletteva un verde lume qua e là.
Un greve, interrotto sfilar di nubi fumolente velava a quando a quando la pallida e fresca serenità lunare e gettava ombre cupe su la strada umida.
Oh San Francesco! invocò la madre, alzando una mano verso la chiesa in fondo alla strada.
Lì, a pochi passi dalla casa, su la stessa strada suburbana, sorgeva la vasta concerìa, di cui Francesco Ajala era proprietario.
Appressandosi, ella scorse il marito a un balcone del primo piano; tremò al pensiero d'affrontarne l'ira e il dolore, sapendo purtroppo a quali terribili eccessi potevano trascinarlo.
Era alto più di lei, e il corpo gigantesco si disegnava in ombra nel vano luminoso del balcone.
Due erano le sciagure, non una sola.
E questa del padre assai più grave di quella di Marta.
Perché, a ragionare con un po' di calma e aspettando qualche giorno, la sciagura della figlia forse si sarebbe potuta riparare.
Ma col padre non si ragionava.
La signora Ajala già da un pezzo aveva imparato a misurare ogni dispiacere, ogni dolore, non per se stesso, che le sarebbe parso poco o niente, ma in considerazione delle furie che avrebbe suscitato nel marito.
Se talvolta, buon Dio, per il guasto o la rottura di qualche oggetto anche di poco valore, ma di cui difficilmente si sarebbe potuto trovare il compagno in paese, tutta la casa piombava nel lutto, nella costernazione più grave...
E i vicini, gli estranei, risapendolo, ne ridevano; e avevano ragione.
Per una boccettina? per un quadrettino? per un ninnolo qualunque? Ma bisognava vedere che cosa importasse per lui, per il marito, quel guasto o quella rottura.
Una mancanza di riguardo, non all'oggetto che valeva poco o nulla, ma a lui, a lui che l'aveva comperato.
Avaro? Nemmen per sogno! Era capace, per quel ninnolo di pochi bajocchi, di mandare in frantumi mezza casa.
In tanti anni di matrimonio, ella era riuscita con le dolci maniere ad ammansarlo un po', perdonandogli anche, spesso, torti non lievi, senza mai venir meno tuttavia alla propria dignità e pur senza fargli pesare il perdono.
Ma un nonnulla bastava di tanto in tanto a farlo scattare selvaggiamente.
Forse, subito dopo, se ne pentiva; non voleva, però, o non sapeva confessarlo: gli sarebbe parso d'avvilirsi o di darla vinta: desiderava che gli altri lo indovinassero; ma poiché nessuno, nello sbigottimento, ardiva nemmeno di fiatare, egli si chiudeva, s'ostinava in una collera nera e muta per intere settimane.
Certo, con segreto dispetto, avvertiva il troppo studio nei suoi di non far mai cosa che gli désse pretesto di lamentarsi minimamente; e sospettava che molte cose gli fossero nascoste; se qualcuna poi veramente ne scopriva anche dopo molto tempo, lasciava prorompere furibondo il dispetto accumulato, senza riflettere che ormai quelle escandescenze erano fuor di luogo, e che infine s'era fatto per non dargli dispiacere.
Si sentiva estraneo nella sua stessa casa; gli pareva che i suoi lo tenessero per estraneo; e diffidava.
Specialmente di lei, della moglie, diffidava.
E la signora Agata, infatti, soffriva sopra tutto di questo: che nell'animo di lui fossero impressi due falsi concetti di lei: l'uno di malizia, l'altro d'ipocrisia.
Tanto più ne soffriva, in quanto che lei stessa si vedeva spesso costretta a riconoscere che non senza ragione egli doveva credere così; perché davvero ella, mancando ogni intesa fra loro due, talvolta era forzata dai bisogni stessi della vita a far di nascosto qualcosa ch'egli non avrebbe certamente approvata; e poi a fingere con lui.
Era sicura adesso la signora Agata, che il marito, nel furore, le avrebbe rinfacciato tutte quelle lievi concessioni che in tanti anni era riuscita con la dolcezza a ottenere.
- Francesco! - chiamò con voce umile, nel silenzio della strada.
- Chi è là? - domandò forte l'Ajala, scotendosi, curvandosi su la ringhiera del balcone.
- Tu? Chi ti ha detto di venire? Vàttene! vàttene via subito! Non mi far gridare di qua!
- Apri, te ne supplico...
- Vàttene, t'ho detto! Non voglio veder nessuno! A casa! subito, a casa! No? Scendo, sai?
E Francesco Ajala, diede uno scrollo poderoso alla ringhiera di ferro, e si ritrasse.
Ella attese a capo chino, come una mendicante, appoggiata al portone, asciugandosi di tanto in tanto gli occhi con un fazzoletto che teneva in mano da quattr'ore.
Un rumore di passi per il lungo androne interno, cupo, rintronante: lo sportello a destra del portone s'aprì, e l'Ajala, curvandosi, sporgendo il capo, afferrò per un braccio la moglie.
- Che sei venuta a far qui? Che vuoi? Chi sei? Non conosco più nessuno io; non ho più nessuno; né famiglia né casa! Fuori tutti! Fuori! Schifo mi fate, schifo! Vàttene via! via!
E le diede un violento spintone.
Ella rimase, col braccio indolenzito dalla stretta, davanti al vano dello sportello; poi entrò come un'ombra, rassegnata ad aspettare ch'egli si votasse il cuore di tutta la collera, rovesciandogliela addosso; decisa anche a farsi percuotere.
In mezzo al bujo androne, l'Ajala, con le mani intrecciate dietro la nuca, le braccia strette intorno alla testa, s'era messo a guardare la grande porta a vetri, in fondo, cieca nel blando chiaror lunare.
Si voltò, sentendo nel bujo piangere la moglie; le venne incontro con le pugna serrate, ruggendo con scherno:
- L'hai ricevuta in casa? Te la sei baciata, carezzata, lisciata, la tua bella figlia? Che vuoi ora da me? Che aspetti qua? me lo dici?
- Vuoi partire...
- singhiozzò ella, piano.
- Subito, sì! La valigia...
- Dove vuoi andare?
- Debbo dirlo a te?
- Ma anche...
per sapere ciò che debbo prepararti...
quanto starai fuori...
- Quanto? - gridò lui.
- E t'immagini ch'io possa ritornare? rimettere piede nella vostra casa svergognata? Via per sempre! In galera o sottoterra.
Lo raggiungerò! lo raggiungerò! Oh, a costo di...
- E ti par giusto? - arrischiò ella, desolatamente.
- No, ma che! no! - tuonò egli con un ghigno orribile.
- Giusto è che una figlia insudici il nome del padre! che si faccia scacciare come una sgualdrina dal marito, e che poi venga a insegnarne l'arte alla sorella minore! Questo è giusto, questo è giusto per te, lo so!
- Come vuoi tu, - diss'ella.
- Ma io ti domandavo se, prima di lasciarti andare a un tale eccesso, non ti pareva che convenisse piuttosto...
- Che cosa?
- Vedere se fosse possibile evitare lo scandalo.
- Lo scandalo? - gridò egli.
- Ma se Rocco è venuto qua!
- Qua?
- A mostrarmi le lettere!
- Ah, tu le hai vedute? - domandò ella con ansia.
- L'ultima? C'è la prova che Marta...
- E` innocente, è vero? - scattò egli, afferrandola per un braccio, respingendola, andandole addosso di nuovo.
- Innocente? Innocente? hai il coraggio di dire innocente davanti a me? E qua, qua, qua, rossore, qua, ne hai? rossore, qua?
E, in così dire, si percosse più volte furiosamente le guance.
Poi ripigliò:
- Innocente...
Con quelle lettere? Avresti fatto lo stesso, dunque, tu? Sta' zitta! Non arrischiarti a scusarla!
- Non la scuso, - gemette ella, piano, con strazio.
- Ma se ho la prova, io, la prova che mia figlia non merita il castigo che le si vuole infliggere...
- Ah, questo, - tonò cupamente l'Ajala, - questo l'ho detto anch'io a quell'imbecille...
- Vedi? - gridò la moglie, quasi ilarata da un lampo di speranza.
- Ma poi egli mi chiese se io, al posto suo, avrei perdonato...
Ebbene, no! Perché io, - aggiunse, riafferrando per le braccia la moglie e scrollandola fort
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