L'EREDE FORTUNATA, di Carlo Goldoni - pagina 1
L'EREDE FORTUNATA.
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa.
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR
GIOVANNI FALIER
PATRIZIO VENETO
Non averei mai meritato il patrocinio di V.
E., se per la stretta amicizia vostra col Nobil Uomo, il Signor Niccolò Balbi, non l'avessi io fortunatamente acquistato.
Le mie Commedie non potevano lusingarsi della vostra benignissima approvazione, senza essere Voi in favor mio prevenuto, poiché del numero di quei non siete, che lasciansi dalla curiosità trasportare, ma del tempo sapete fare buon uso.
Voi non disapprovaste la mia intenzione di mettere la Morale in Teatro, e vi compiaceste talvolta sentir dal popolo applaudite le buone massime che sono a Voi familiari, e vi rallegraste assaissimo, vedendo batter le mani a un Padre che corregge, a un Figlio che si pente, ad un Cavalier che ammaestra.
Dicano pure gli scostumati, ne' loro vizi incalliti, non essere il Teatro la loro scuola, arrossiscano di qualche loro ritratto, e soffrano alle coscienze loro i rimproveri: V.
E.
mi anima a battere il sentiero intrapreso, a porre in ridicolo il vizio, ad esaltar la virtù, poiché pensando ciascuno a seconda del proprio cuore, Voi non potete che applaudir l'onestà e detestar la dissolutezza.
Siete un Cavalier esemplare che nascondete la Vostra dottrina sotto il manto dell'umiltà, e la pietà Vostra sotto quello della sociabile moderazione.
Io non ho mai veduto chi meglio di Voi sappia stare con Dio e col Mondo: Voi siete un vero modello di perfezione, poiché senza togliere ciò che da Voi esigono le pubbliche e le domestiche cure, e gli amici Vostri medesimi, sapete cogliere dei momenti felici per corrisponder all'Altissimo Iddio, il quale, e nella grandezza della Vostra nascita, e nell'opulenza delle Vostre fortune, e nella qualità de' talenti Vostri, e nella prole medesima ha sparse e spargerà sempre mai le sue divine Benedizioni.
Fra gli onesti trattenimenti di questa vita, Voi ammettete le mie Commedie, intervenendovi con qualche sollecitudine, eccitando gli amici Vostri a vederle, indi parlandone in guisa che arreca loro e fregio, e credito, ed avvantaggio onde posso ben lusingarmi, che non isdegnerà I'E.
V.
per maggior mio decoro ponga il venerabile nome Vostro in fronte ad una di esse, e Voi siate veduto nel catalogo de' miei benignissimi Protettori.
Io non voglio raccomandare questa povera imperfetta Opera mia né alla grandezza Vostra, che per antichità e dignità sublime gareggia colle Ducali più illustri della Repubblica Serenissima, e né tampoco alla sapienza Vostra, che malgrado la Vostra moderazione sì ben traduce in ogni atto ed in ogni Vostra parola; ma la dirigo soltanto a quella virtuale ch'è a voi più cara, cioè all'amabile gentilezza Vostra, colla quale tutto solete aggradire, tutti solete beneficare.
Sia frutto dunque della benignità di V.
E.
il dono di cui umilmente Vi supplico unito all'altro di potervi baciare ossequiosamente le mani.
Di Vostra Eccellenza
Bologna, li 31 maggio 1752
Umiliss.
Devotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Nelle Opere lunghe è quasi impossibile che non accadano dei disordini, che qualche volta rallentino la sollecitazione alla stampa, o per qualche pentimento dell'Autore, o per qualche obietto non preveduto; che però se i miei Associati, in numero di mille settecento cinquanta, non veggonsi comparire le Commedie mie colla velocità nel Manifesto promessa, sono pregati a riflettere che tutte le associazioni voluminose sono a tal destino soggette, e non vi è Opera in più Tomi distribuita, che rigorosamente corrisponda al progetto.
Non è da credersi che ciò derivi né dalla volontà dell'Autore, né dalla negligenza degli Editori, poiché e l'uno e gli altri trovando il loro vantaggio nella Edizione, nulla più desiderano che dar piacere all'universale, accelerare il proprio interesse, e terminare un'impresa per dar principio ad un'altra.
Le cagioni del ritardamento esser possono molte, e moltissime ne ho io incontrate, alcune delle quali tacer io deggio, contentandomi solamente di porre in vista la correzione ad alcune Commedie laboriosissima, per cui mancavami talora il tempo a causa degl'impegni miei a tutto il Mondo palesi.
Le discrete querele che da non pochi per cotal ritardo si formano, siccome da veruno interesse non possono esser prodotte, non avendo io per onesto fine richiesta anticipazione veruna, derivano certamente da un affetto che concepito hanno per l'Opere mie, da qualche stima che fanno di esse, e dal desiderio di leggerle prestamente; questo è quello che maggiormente mi onora, e qualunque volta io senta per cotal causa lagnarsi alcuno, questi (dico fra me medesimo) mi ama davvero, e le Commedie mie gli son care.
Rendo le più umili grazie alla benignità de' miei Protettori, de' miei Amici; pregoli non imputar il difetto all'Editore puntuale ed onesto; prendo sopra di me la colpa della dilazione: e poiché ora mi trovo un poco più sollevato dalle affannose teatrali faccende, potrò in avvenire supplire con maggior sollecitudine alla mia Edizione, della quale siamo ora felicemente arrivati al termine del Tomo sesto.
Questo doveva compirsi colla Commedia che ha per titolo Don Giovanni Tenorio, o sia il Dissoluto, ma essendo essa in versi, e dovendosi metter mano con qualche maggior fatica, per non sospendere più lungamente la pubblicazione di questo Tomo, darolla in quello che segue, e in luogo suo sostituisco l'Erede Fortunata, una delle dodici stampate prima da me in Venezia, cioè la quarta del Tomo terzo.
Che se alcuni personaggi di questa Commedia nella presente Edizione parlano in Toscano, e non Veneziano, ciò s'è fatto per compiacere alcuni che l'hanno desiderato.
PERSONAGGI
PANCRAZIO ARETUSI, mercante veneziano;
OTTAVIO suo figlio;
BEATRICE sua figlia, moglie di
LELIO;
ROSAURA figlia del fu Petronio Balanzoni;
Il DOTTOR BALANZONI zio di Rosaura;
FLORINDO nipote per via di sorella del Dottor Balanzoni;
TRASTULLO servo del Dottore e di Florindo;
ARLECCHINO servo di Ottavio;
FIAMMETTA serva di Rosaura e di Beatrice;
NOTARO;
TITTA servitore di Pancrazio.
La Scena si rappresenta in Venezia.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera in casa di Pancrazio, con varie sedie.
PANCRAZIO, OTTAVIO, DOTTORE, FLORINDO ed un NOTARO, tutti a sedere, e TRASTULLO in piedi.
PANC.
Signor Dottore, adesso si leggerà il testamento del quondam signor Petronio vostro fratello, e se voi sarete l'erede, o se voi sarete il tutore di Rosaura sua figlia, son pronto a darvi tutto, fino a un picciolo.
Egli è morto in casa mia, ma è morto in casa di un galantuomo.
Siamo stati compagni di negozio, e ci siamo amati come due fratelli.
Gli sono stato fedele in vita, gli sarò fedele anche dopo morte; e mi scoppia il cuore nel pensare che il cielo mi ha tolta la cosa più cara che aveva in questo mondo.
Signor notaro, apra il testamento e lo legga.
DOTT.
Non vi era bisogno che mio fratello gettasse via de' quattrini per far testamento.
L'erede è sua figlia; ed io, come più prossimo parente, son quello che l'ha da custodire.
FLOR.
Io son figlio d'una sorella del signor Petronio, ed ho delle pretensioni contro la sua eredità; s'egli mi ha destinata sua figlia per moglie, come mi aveva lusingato di fare, tutto sarà accomodato.
OTT.
Bisogna vedere se la signora Rosaura vi vuole.
(a Florindo)
FLOR.
Se il padre lo comandasse, la figlia dovrebbe obbedire.
PANC.
Animo, signor notaro, ci cavi tutti di pena.
DOTT.
Potete tralasciare di legger per ora le cose superflue; ci preme solamente l'instituzion dell'erede e la nomina dei tutori.
NOT.
Vi servo come volete.
(legge) In tutti i suoi beni, presenti e futuri, mobili, stabili e semoventi, azioni, ragioni, nomi di debitori ecc.
instituì ed instituisce erede sua universale la signora Rosaura, di lui figliuola legittima e naturale.
DOTT.
Fin qui va bene.
FLOR.
Questo è un atto di giustizia.
NOT.
Con patto però che ella prenda per suo legittimo consorte il signor Pancrazio Aretusi.
FLOR.
Oh, questa è una bestialità!
OTT.
(Oh me infelice! Ecco perduta Rosaura).
(da sé)
PANC.
(Povero signor Petronio, mi fa piangere dall'allegrezza).
(da sé)
DOTT.
(Questo vecchio pazzo ha fatto fare il testamento a suo modo).
(da sé)
NOT.
E se detta signora Rosaura non isposasse il signor Pancrazio, e si volesse maritar con altri, o non prendesse marito, instituisce eredi universali per egual porzione il signor dottor Balanzoni, suo fratello, ed il signor Florindo Ardenti, figlio della signora Ortensia sua sorella, con patto ai medesimi di dare alla suddetta signora Rosaura quattromila ducati di dote.
FLOR.
(Crepasse almeno codesto vecchio!) (da sé)
DOTT.
(Bisognerà procurare che non s'adempia la condizione).
(da sé)
OTT.
(In tutte le maniere io l'ho perduta).
(da sé)
PANC.
(La signora Rosaura non vorrà perdere la sua fortuna).
(da sé)
NOT.
Tutore ed esecutore testamentario nominò e nomina e prega soler essere il signor Pancrazio Aretusi, fino che la detta sua erede si congiunga in matrimonio, senz'obbligo di render conto della sua amministrazione.
DOTT.
(Mio fratello è stato sempre pazzo, ed è morto da pazzo).
(da sé)
PANC.
Signor Dottore, avete sentito.
Per ora non v'è niente per voi.
DOTT.
Se non ci è niente per ora, ve ne sarà col tempo.
PANC.
Può esser di sì, e può esser di no.
DOTT.
Son dottore, son legale, e tanto basta.
PANC.
Le vostre cabale non mi fanno paura.
FLOR.
Se Rosaura non prende me per marito, se ne pentirà assolutamente.
PANC.
La difenderò a costo del mio sangue.
FLOR.
Consumerete inutilmente tutte le sue facoltà.
DOTT.
Gli faremo dare un economo.
PANC.
A Pancrazio un economo? Per la piazza son conosciuto.
Se vi sarà sospetto della mia amministrazione, vi darò tutto Rialto per sicurtà.
DOTT.
La discorreremo, ci toccheremo le mani, signor tutore, signore sposo, signor erede.
Bell'azione! Far fare al povero sciocco un testamento di questa sorta! E voi, signor notaro garbatissimo, chi v'ha insegnato a fare di simili testamenti?
NOT.
Io sono obbligato a scrivere quello che il testatore mi ordina.
DOTT.
Quando il testatore vuol fare delle disposizioni ingiuste e scandalose, il notaro è obbligato a suggerirgli la giustizia e l'onestà.
Ma siete d'accordo con Pancrazio, e non sareste il primo che avesse fatto parlare un morto.
Auri sacra fames; auri sacra fames.
(parte)
FLOR.
Correggerò io le pazzie d'un padre sedotto e le vostre fattucchierie.
(parte)
PANC.
Trastullo, voi che siete servitore ed avete più giudizio dei vostri padroni, illuminateli, e fateli conoscere l'inganno in cui sono.
Ricordatevi che siete stato allevato in casa mia, e che il bene che avete, lo dovete riconoscere da me.
TRAST.
So il mio debito.
Non son di quei servitori che hanno per vanagloria di sputare in quella scodella dove hanno bevuto.
Sono stato allevato in casa sua, ed ella mi ha fatto del bene.
È vero che sono in obbligo di obbedir quelli che mi danno il salario.
Ma a luogo e tempo mi ricorderò del mio primo padrone, e invece di alimentar questo fuoco, procurerò di buttarvi dell'acqua.
(parte)
PANC.
La ragione mi difende, la legge mi assiste, la giustizia non mi potrà abbandonare.
Grazie al cielo, siamo a Venezia.
Qua le cabale non fanno colpo; le bugie non si ascoltano; le prepotenze non vagliono niente.
Signor notaro, venga oggi al mio banco, che sarà soddisfatto.
NOT.
Sì signore, sarò a incomodarvi.
(Quel caro signor Dottore si lamenta del testamento.
Se non fossero i testamenti, gli avvocati farebbero poche faccende).
(da sé, e parte)
SCENA SECONDA
PANCRAZIO ed OTTAVIO
PANC.
Figlio mio, che dici tu di questa fortuna di casa nostra? Il signor Petronio, obbligando Rosaura a sposarmi, mi lascia erede di tutto il suo.
Se avessi dovuto separar la sua parte dalla mia, e dar a Rosaura la porzione di suo padre, per noi sarebbe stato un gran tracollo.
Non è tutt'oro quel che luce.
Abbiamo un gran credito, abbiamo dei gran capitali, ma abbiamo ancora dei debiti.
Così nessuno sa i fatti nostri, si tira avanti il negozio, continua l'istesso nome, e si fa l'istessa figura.
Ma che hai tu che non parli? Tu guardi il cielo e sospiri? Ti dispiace che tuo padre abbia avuta questa fortuna? Hai forse paura che maritandomi non pensi più a maritare anche te? No, Ottavio, non dubitare; tu sai quanto ti amo; penso a te più che a me medesimo; e se passo alle seconde nozze, lo fo piuttosto per migliorar la tua condizione, che per soddisfar il mio genio.
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