L'AVVOCATO VENZIANO, di Carlo Goldoni - pagina 1
L'AVVOCATO VENZIANO.
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa.
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR
BERNARDO VALIER
PATRIZIO VENETO E SENATORE AMPLISSIMO
Quand'ebbi l'onore di dedicare a V.
E.
il mio Avvocato Veneziano, ella copriva allora l'illustre, autorevole carico di Avvogador di Comun.
Per questa via, tanto onorifica, quanto difficile e laboriosa, ella è pervenuta al grado eccelso di Senatore, ed io in questa mia novella edizione mi consolo con V.
E.
che lo ha meritato, e con l'augusta Patria che ha riconosciuto il merito e ricompensato.
Infatti, che altro fa una Repubblica, esaltando e ricompensando i suoi Cittadini, che dar gloria a se stessa ed animare i membri che la compongono ad esser utili al suo Governo? Fra tutte le strade che conducono i Patrizi Veneti alla dignità Senatoria, V.
E.
ha calcato la più spinosa; ma là è, dove ha potuto meglio brillare il di Lei talento, esercitando la pietà, e la giustizia, che sono in Lei due virtù indivisibili e connaturali.
Mi pare sentirmi dire da qualcheduno: Questa colleganza di pietà e di giustizia è il solito elogio che si dà a tutti quelli che hanno qualche pubblico impiego, come se uno potesse esser giusto senza esser pio, e potesse esser pio senza esser giusto.
Io trovo la riflessione assai ragionevole; poiché la vera pietà, nell'animo di chi la esercita, non va mai disgiunta dalla giustizia, e la giustizia è un atto di pietà particolare, quando benefica, e un atto di pietà universale, quando castiga.
Ma nel castigo ancora si può far uso della pietà particolare, quando, per esempio, un Giudice è fornito di quella bontà di cuore, che è naturale in V.
E.
Poco ci vuole a consolare un afflitto, a confortare uno sfortunato.
I rei talvolta tremano più alla vista di un Giudice aspro, inumano, che a quella della pena che han meritato.
I condannati benedicono la dolcezza di chi li condanna, e gli assoluti si lamentano di chi li ha maltrattati.
Quindi è, che nessuno è partito dal di Lei Tribunale malcontento, che i buoni hanno lodato la di Lei giustizia, ed i rei hanno confessata la di Lei pietà.
Queste due virtù, che trionfano in un Magistrato, trovano luogo ancora da esercitarsi in particolare.
La giustizia prende il nome di retto giudizio.
di talento quadrato, di cognizione perfetta; e la pietà prende quello di affetto, di compassione, di attaccamento, di protezione.
Parmi che Vostra Eccellenza abbia voluto usar meco abbondantemente di questi due attributi.
Col primo ella mi ha amato e protetto; col secondo ella mi ha illuminato e corretto, e ne ho riportato da tutti e due onore e profitto.
Nel rinnovellare adunque l'edizione delle mie Opere, supplisco non solamente alla primiera intenzione, ma valgomi dell'occasione per supplicarla di continuarmi, lontano, quella bontà e quella protezione che si è degnata usarmi dappresso, e permettermi ch'io possa gloriarmi sempre di essere, quale con profondo ossequio mi dico
Di V.
E.
Vostro Devotiss.
Obbligatiss.
Servitore
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Dopo aver io nella Commedia intitolata il Cavaliere e la Dama staffilati alcun poco i Legali di cattivo carattere in quel tale maligno ed avido Procuratore, era ben giusto che all'onoratissima mia professione dar procurassi quel risalto, che giustamente le si conviene.
È noto averla io in prima esercitata nella mia patria, seguendo lo stile del nostro Veneto Foro, indi nella città di Pisa, a quella pratica uniformandomi, onde informato egualmente dei due sistemi contrari, piacquemi di porli a fronte, e se parrà ch'io abbia esaltato il Veneto stile sopra quello che dicesi del Jus comune, e se nel rendere vincitore il mio Veneziano sarò imputato di parzialità ai miei colleghi e compatriotti, non è ch'io non apprezzi egualmente la pratica ed il sistema a noi straniero, ma sarò ben compatibile se in ciò facendo, avrò seguito il dettame della natura, ricordevole del primo latte da' Veneti Maestri onorevolmente succhiato.
Allora quando comparve per la prima volta questa mia Commedia sulle scene di Venezia, ebbe ella per dir vero una fortuna assai grande, e pel numero delle recite, e per la folla del popolo, e per quello che di essa dicevasi da chi l'aveva veduta.
Fu principalmente aggradito il carattere nobile e virtuoso dell'Avvocato; il quale, inflessibile all'amore, all'interesse ed alle minacce, sa così bene trionfare delle passioni, e a tutto preferire l'onore di se medesimo e della sua professione; eppure (ridete, ch'ella è da ridere) fu criticato il mio Protagonista per questo appunto, perché in sommo grado onorato.
Vi furono di quelli che non si vergognarono di dire, che in tai cimenti non fosse verisimile la resistenza.
Questo è un negare la Virtù medesima, la qual allora fa di sé mostra, quando è più combattuta, né può risplendere fra le ordinarie e facili contingenze.
Sono smentiti i miei signori Critici da una serie numerosissima di Avvocati celebri per virtù e per dottrina, quali si riconoscono nell'onorato mio Alberto, e chi di tal carattere non sa persuadersi, mostra o di poco intenderlo, o di non essere ben disposto a imitarlo.
Il mio Avvocato non è che una copia dei buoni ed un ammaestramento ai cattivi.
Chi lo somiglia, si consoli; chi va distante, arrossisca; chi non sa, impari; e chi sa, mi difenda.
PERSONAGGI
ALBERTO CASABONI avvocato veneziano;
Il DOTTORE BALANZONI avvocato bolognese;
ROSAURA sua nipote;
Conte OTTAVIO;
LELIO amico d'Alberto;
BEATRICE vedova, amica di Rosaura;
FLORINDO figlio del fu Anselmo Aretusi, cliente di Alberto;
COLOMBINA serva di Beatrice;
ARLECCHINO servo di Beatrice;
Il GIUDICE;
Il NOTARO;
Un LETTORE che legge le Scritture presentate in causa, secondo lo stile veneto;
Un MESSO della Curia, detto Comandador;
Un SERVITOR di Lelio;
Due SOLLECITATORI, che non parlano.
La Scena si rappresenta in Rovigo, città dello Stato Veneto.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera dell'avvocato in casa di Lelio, con tavolino, scritture,
calamaio ed una tabacchiera sul tavolino medesimo.
ALBERTO in veste da camera e parrucca, che sta al tavolino scrivendo,
e guardando libri e scritture; poi LELIO
ALB.
Me par impossibile che el mio avversario voggia incontrar sto ponto1.
La rason xe evidente, la disputa è chiara, e l'articolo xe dalla legge deciso.
LEL.
Signor Alberto, che fate voi con tanto studiare? Prendete un poco di respiro; divertitevi un poco.
Non vedete che il sol tramonta? Sono quattr'ore che siete al tavolino.
ALB.
Caro amigo, se me volè ben, lasseme studiar; sta causa la me preme infinitamente.
LEL.
Sono otto giorni che non si fa altro che parlare di questa causa.
Un uomo del vostro sapere e del vostro spirito dovrebbe a quest'ora esserne pienamente in possesso.
ALB.
(S'alza) Ve dirò, sior Lelio, le cause de conseguenza no le se studia mai abbastanza.
Quando se tratta de un ponto de rason2, bisogna sempre, per chiaro che el sia, dubitar dell'esito; bisogna preveder i obietti dell'avversario, armarse a difesa e a offesa; e un avvocato che ha per massima el ponto d'onor, no se contenta mai de se stesso; e veglia, e suda per assicurar l'interesse del so cliente, per metter l'animo in quiete, e per autenticar el zelo del proprio decoro.
LEL.
Sono massime da par vostro, e non ho che dire in contrario.
Solo bramerei che, dopo l'applicazione, mi donaste il contento di godere la vostra amenissima conversazione.
So che siete ancor voi di buon gusto, e alle occasioni ho sperimentato in Venezia e sulla Brenta3 la prontezza del vostro spirito, lepido, ameno e saviamente giocoso.
ALB.
Sì, caro amigo; son anca mi omo de mondo; me piase l'allegria; co ghe son, ghe stago, e ai so tempi no me retiro.
Ma adesso son a Rovigo per trattar una causa, e no per star in villeggiatura.
Vu sè stà quello che per un atto de bona amicizia m'avè procurà sta causa; vu avè indotto e persuaso sior Florindo a valersene della mia debole attività in una causa de tanto rimarco, e lu, fidandose della vostra amicizia, non ostante che in sta città de Rovigo ghe sia soggetti degni e capaci, el m'ha fatto vegnir mi da Venezia a posta, e la so confidanza xe tutta riposta in mi.
Xe necessario non solo che applica alla causa con assiduità, ma che me contegna in tel paese con serietà, per accreditar la mia persona nell'animo del giudice, che xe un capo essenzialissimo che onora l'avvocato e che favorisse el cliente.
LEL.
Se io vi ho proposto al signor Florindo, ho preteso di usare un atto di buona amicizia con tutti due.
Con voi, procurandovi quell'onesto profitto che meriteranno le vostre fatiche; con lui, ponendolo nelle mani di un avvocato dotto, onesto e sincero, come voi siete.
ALB.
Dotto vorria esser; onesto e sincero me vanto d'esser.
LEL.
Ma questa sera almeno non verrete per un poco alla conversazione?
ALB.
Doman se tratta la causa; no credo de poder vegnir.
LEL.
Sono in impegno di condurvi, e spero che non mi farete scomparire.
ALB.
Ma dove? Da chi?
LEL.
In casa della signora Beatrice, di quella vedova di cui vi ho parlato più volte.
Ella tiene conversazione una volta la settimana; stassera ci aspetta, e vi supplico di venir meco.
ALB.
Ma fin a che ora?
LEL.
Vi starete fin che v'aggrada.
ALB.
Fin do ore m'impegno, ma gnente de più.
LEL.
Mi contento.
Vi troverete una conversazione che forse non vi dispiacerà.
ALB.
Trattada che abbia sta causa4, se goderemo quattro zorni senza riserve.
LEL.
Strepito grande fa questa causa in questo paese; non si parla d'altro.
ALB.
Questo xe un maggior stimolo alla mia attenzion.
LEL.
Ditemi, avete mai veduto la cliente avversaria?
ALB.
L'ho vista diverse volte.
Squasi ogni zorno la vedo al balcon.
L'ho incontrada per strada.
Un dì la s'ha fermà a discorrer col medico che giera in mia compagnia; l'ho considerada con qualche attenzion, e ho formà de ella un ottimo concetto.
LEL.
Non è una bella ragazza?
ALB.
Bella, da omo d'onor, bella d'una bellezza non ordinaria.
LEL.
Vi piace dunque?
ALB.
Le cose belle le piase a tutti.
LEL.
Giuoco io, che più volentieri del signor Florindo, difendereste la signora Rosaura.
ALB.
Ve dirò: rispetto al piaser de trattar el cliente, siguro che tratteria più volentiera siora Rosaura del sior Florindo; ma rispetto al merito della causa, defendo più volentiera chi ha più rason.
LEL.
Povera giovane! Se perde questa causa, resta miserabile affatto.
ALB.
Confesso el vero, che la me fa peccà5.
La gh'ha un'idea cussì dolce, un viso cussì ben fatto, una maniera cussì gentil, un certo patetico missià con un poco de furbetto, che xe giusto quel carattere che me pol.
LEL.
Volete vedere il suo ritratto?
ALB.
Lo vederia volentiera.
LEL.
Eccolo.
Il pittore mio amico ne ha fatto uno per il conte Ottavio, che deve essere suo sposo; io ho desiderato d'averne una copia, ed egli mi ha compiaciuto.
(gli fa vedere il ritratto in un picciolo rame)
ALB.
L'è bello; el someggia assae; l'è ben desegnà; i colori no i pol esser più vivi.
Vardè quei occhi; vardè quella bocca; el xe un ritratto che parla.
Amigo, ve ne priveressi?
LEL.
Se lo volete, siete padrone.
ALB.
Me fe una finezza, che l'aggradisso infinitamente.
LEL.
Ma parliamoci schietto.
Non vorrei che foste innamorato della vostra avversaria.
ALB.
La me piase, ma non son innamorà.
LEL.
E avrete cuore di sostenere una causa contro una bella ragazza che vi piace?
ALB.
Perché? Parleria anca contra de mi medesimo, quando lo richiedesse el ponto d'onor.
LEL.
Badate bene.
ALB.
Via, via, no me fe sto torto.
No me credè capace de sacrificar el decoro alle frascherie.
LEL.
E se la signora Rosaura sarà presente alla trattazion della causa, come anderà?
ALB.
La varderò con tutta l'indifferenza.
El calor della disputa non ammette distrazion.
Co l'avvocato xe in renga6, xe impiegà tutto l'omo.
I occhi xe attenti a osservar i movimenti del giudice, per arguir dai segni esterni dove pende l'animo suo.
Le recchie le sta in attenzion, per sentir se l'avversario brontola co se parla, per rilevar dove el fonda l'obietto e fortificar la disputa, dove la se pol preveder tolta de mira con mazor vigor.
La mente tutta deve esser raccolta nella tessitura d'un bon discorso, che sia chiaro, breve e convincente, distribuido in tre essenzialissime parti: narrativa, che informa; rason, che prova; epilogo, che persuada.
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