L'AVVENTURIERE ONORATO, di Carlo Goldoni - pagina 1
L'AVVENTURIERE ONORATO
di Carlo Goldoni
Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia
nel Carnovale dell'anno 1751.
A SUA ECCELLENZA
LA SIGNORA MARCHESA
LUCREZIA BENTIVOGLIO RONDINELLI
Alcuni di quelli che hanno veduto il mio Avventuriere onorato sulle Scene al pubblico rappresentarsi, riconoscendo in esso varie avventure in me medesimo verificate, hanno creduto che la persona mia propria avessi io scelta per soggetto di una Commedia.
Non dico sfacciatamente che ciò sia vero, ma non nego altresì, che qualche analogia non passi fra il Protagonista e l'Autore.
La patria, il genio, le professioni, le persecuzioni medesime del povero mio Guglielmo in me facilmente si potrebbono riscontrare.
Ecco però, Eccellenza, dove io non posso essere riconosciuto: nel matrimonio.
Toccò al mio Avventuriere una vedova Palermitana con dieci mila scudi d'entrata; sposata ho io una fanciulla di patria genovese, senza le ricchezze di Donna Livia, quando a queste giustamente contrapporre non si volesse il ricchissimo patrimonio ch'ella mi ha portato in casa di una discreta economia, di una esemplare morigeratezza, di una inalterabile rassegnazione, le quali virtù mi hanno recato, se non maggiori comodi, pace almeno e tranquillità, d'ogni altra dote maggiore.
Siccome però le impressioni fatte nel popolo difficilmente possono essere dileguate, e vi saranno sempre di quelli che, o per propria immaginazione, o per tradizione altrui, vorranno a me medesimo questa Commedia appropriare, trovomi in necessità di procurarle una protezione che vaglia a difenderla da' critici, da' maligni, dagl'impostori.
In chi mai poteva io sperarla maggiore che nell'E.
V., in cui si accoppiano tante belle Virtù, tralle quali trionfa mirabilmente la compassione? Il Marchese d'Osimo, il Conte di Portici, il Conte di Brano perseguitavano il mio Avventuriere.
Il Vicerè di Sicilia lo ha accolto, lo ha protetto, lo ha beneficato.
Faccia di me la sorte il peggio che possa farmi, troverò sempre in Voi il mio asilo, il mio rifugio, la mia benignissima Protettrice.
Questa è per me una gloria, che supera di gran lunga qualunque mia sofferta disavventura; e tutti quelli che cercano per varie strade di screditarmi, s'arresteranno immobili al Nome grande, al pio Nome e rispettabile dell'E.
V.
Esso è molto ben conosciuto nella Repubblica Serenissima di Venezia, dove da lunghissimo tempo la vostra illustre natia Famiglia de' Bentivogli gode gli onori della Veneta Nobiltà; Famiglia antichissima nell'Italia, la quale, oltre al Dominio posseduto de' Bolognesi, vanta una lunga serie d'Ordini insigni, di sacre Porpore, d'Uomini illustri; e nota siete egualmente per il veneratissimo nome di Sua Eccellenza il Signor Marchese Ercole Rondinelli, degnissimo vostro Sposo: il quale fra le Toghe, e gli Onori, e gli Ordini, e le Giurisdizioni, e le dignità più cospicue godute dalla nobilissima Famiglia sua in Ferrara, vanta quella di Gonfaloniere in Firenze, da dove l'antichissima origine riconosce.
Ma a chi imprendo io a ragionare di ciò? A Voi, a cui indirizza quest'umile rispettosissimo foglio? È inutile rammentare a Voi medesima le glorie vostre, ed oltre ciò se ne offenderebbe la vostra esemplare modestia.
Questa però non può nascondere agli occhi del Mondo le vostre eroiche virtù, poiché avendole Voi mirabilmente comunicate e diffuse nella nobilissima Prole vostra, in essa s'ammirano i vivi esempi della vostra bontà di cuore, e della prontezza del vostro spirito.
In fatti nel nobilissimo Conservatorio detto delle Quiete, dove sotto la protezione dell'Augustissimo imperatore Gran Duca di Toscana s'allevano, non lungi dalla Città di Firenze, nobili e virtuose Donzelle, le gentilissime Figlie vostre sono la delizia e l'ammirazione di chi ha l'onor di conoscerle e di trattarle; siccome lo è in Ferrara la virtuosissima Signora Contessa Avolia, una delle suddette figliuole vostre carissime.
Non finirei di scrivere in più giorni, se tutte enumerare volessi quelle doti ammirabili, quelle dolcissime doti che vi adornano.
Somma prudenza, gentilezza di tratto, sincerità di cuore, brio ammirabile di talento, pietà per i miseri, amor del vero, inclinazion per le Lettere, protezione per chi le professa, sono qualità in Voi sì belle, sì luminose, che ognuna di esse meriterebbe un encomio a parte.
Ma io non saprei farlo sì degnamente che a Voi convenga; né Voi lo vorreste, né da me, né da qualunque altro soffrire.
Posso ben dir senza offendervi, e lo dirò per gloria di quel mestiere che ho per forza di genio intrapreso di seguitare, che Voi della Comica foste un singolare ornamento, poiché esercitandovi in essa con estremo diletto nelle vostre magnifiche villeggiature, le recaste quel fregio che basterebbe a renderla rispettabile.
Io che tanto amo quest'arte, e che tanto di sudore ho per essa sparso, e tanto di fatica sofferto, che mai a meritarmi son giunto? Insulti, ingratitudini, dispiaceri.
Deh, Protettrice mia benignissima, fatemi Voi dimenticare le mie amarezze, e lo potete fare, soltanto che del vostro compatimento vogliate degnarvi di assicurarmi.
Supererà ogni contrarietà del destino coll'onorevole titolo con cui mi concederete ch'io possa umilmente sottoscrivermi e rassegnarmi
Di V.
E.
Umiliss.
Divotiss.
ed Obbligatiss.
Serv.
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
La prima volta ch'io diedi al pubblico la presente Commedia, il Protagonista di essa, l'Avventuriere Guglielmo, parlava col veneziano idioma.
Ciò poteva rendere la Commedia medesima più gradita in Venezia, ma nelle altre parti dovea succedere ragionevolmente il contrario; poiché le grazie di una lingua piacciono allorché sono perfettamente intese, e perdono il loro merito quando non colpiscono immediatamente nell'animo di chi le sente.
Ma dirò anche, per manifestare, siccome io soglio, la verità, non aver io preferito nel mio Avventuriere la veneziana alla toscana favella, perché ciò credessi essere meglio fatto; ma perché un valente Giovine, solito a far la parte del Pantalone, brillantissimo in tali caratteri veneziani, senza la maschera sostenuti, mi assicurava di un esito fortunato; lo che difficilmente allora avrei conseguito, se ad altro Comico avessi anche in altro linguaggio una cotal parte addossata.
Ora poi che tale Commedia rendesi colla stampa comune, e in vari paesi può accadere che venga rappresentata, difficilissima cosa essendo che si trovi per l'appunto un Veneziano che la sostenga, e peggio se taluno volesse una lingua a lui forestiera balbettar malamente, convenevole cosa ho creduto il convertirla in toscano.
Anzi necessarissimo ho trovato di farlo, poiché allora soltanto è permesso usare un linguaggio particolare nelle Commedie Italiane, quando il carattere del personaggio lo esiga, non potendosi, per esempio, fare che il Pantalone, l'Arlecchino, il Brighella usino la favella toscana; siccome né tampoco poteva usarla l'Avvocato mio Veneziano nella Commedia così intitolata, perché coi termini del proprio Foro dovea comparire a fronte dell'avversario, in una città pochissimo da Venezia distante.
Ma qui, quantunque l'Avventuriere sia veneziano, non vi è ragione che l'obblighi a usar il proprio dialetto, tanto più che rappresentando il carattere di un viaggiatore, sarebbe uno stolido, se non avesse appreso un linguaggio agl'Italiani comune.
Nel quinto tomo della edizione di Venezia me lo vedo stampato col veneziano idioma, e me lo vedo uscire alla quinta scena in codegugno.
Almeno gli accurati correttori, quelli che tanto strillano e fanno del chiasso, perché in Firenze non esce perfettamente da' torchi l'ortografia veneziana, avessero avuto la bontà di avvertire: essere il codegugno una veste da camera alquanto corta, usata assaissimo da' Veneziani; ma questo riservansi a farlo, quando composto averanno un Dizionario e una Grammatica veneziana, che insegni ai Toscani le importantissime osservazioni sul nostro linguaggio.
Io bado, per dirla, alla correzione delle Commedie, non a quella dell'ortografia della stampa.
Sono però anche in queste assai bene assistito, e nell'inevitabile destino che le stampe non abbiano a essere mai perfettamente corrette, posso assai di questa mia contentarmi, in cui i pochi errori che per avventura si riscontrassero, saranno sempre piccolissime macchie, in confronto dell'infinito numero di que' difetti, che anche nel dialetto medesimo veneziano in quella spuria edizione si trovano.
Ma per ritornare in cammino, continuerò dicendo al Lettor gentilissimo, siccome io, cambiando la parte dell'Avventuriere suddetto, ho fatto il medesimo anche di quella dell'Arlecchino, a cui ho sostituito il nome di Berto, e trasportandole tutte due in toscano, ho dovuto non solo nelle parole, ma nelle frasi, nei modi e nei pensieri variarle; laonde riscrivendola da capo a fondo, posso dire di averla intieramente rifatta, e questa Commedia sola bastar potrebbe in qualche occasione per dimostrare la diversità della mia edizione.
Negar non posso, che il mio Avventuriere non abbia alcun poco del sorprendente, per alcune combinazioni che agli occhi dei delicati sembreranno non essere naturali.
Che si trovino nel medesimo giorno nella casa medesima sei persone, le quali abbiano in vari paesi riconosciuto Guglielmo, pare un poco difficile a combinarsi; ma in cinquanta Commedie, non ve n'ha da essere alcuna che ecciti un poco la maraviglia? Non era necessario che io moltiplicassi le professioni, le scoperte, gli avvenimenti nel mio Avventuriere, ma espressamente ho voluto farlo, per trattar la Commedia in tutte quelle maniere che ho creduto essere convenienti al Teatro nostro, salvando l'onestà, il carattere, il verisimile quantunque maraviglioso, la morale, il buon esempio, il premio della virtù ed il trionfo della verità, sopra le macchine della persecuzione.
Alcuni vogliono, come altra fiata ho avuto occasion di dire, che nel mio Avventuriere abbia avuto animo di rappresentar me medesimo; in alcuni avvenimenti vi potrei esser ravvisato, ma in altri no.
L'Avvocato, il Medico, il Cancelliere, il Segretario, il Console Mercantile e pur troppo il Poeta Teatrale sono impieghi che, quando più, quando meno, ho avuto occasione di esercitare; ma in vari tempi, in vari luoghi, in circostanze diverse da quelle del mio Avventuriere.
Oh quante favole di me si scriveranno, quand'io averò terminato di vivere! Se tante se ne dicono ora ch'io son vivo, è ragionevole il credere che dopo la mia morte si raddoppieranno.
Può darsi favola più lontana dal vero di questa che ora si è sparsa di me in Venezia? Dicesi che la Compagnia di que' Comici, per la quale incessantemente io scrivo, sia meco in discordia; dicesi perfino l'altissima bestialità, che siam venuti alle mani.
Giuro non aver mai avuto che dire con esso loro, anzi non essere io stato mai né più quieto, né più ben veduto dai Comici di quel ch'io sono presentemente.
Innamorati delle mie Commedie, le rappresentano con valore, con attenzione, con esemplare rassegnazione e a confusion de' maligni se ne vedranno gli effetti.
Oh, se di me medesimo una Commedia compor dovessi, e se intrecciarla potessi con certi avvenimenti curiosi e particolari, son certo ch'ella mi riuscirebbe tenera, interessante, istruttiva, ridicola ancora, ma in qualche passo strana, iperbolica e non creduta.
PERSONAGGI
GUGLIELMO veneziano, per avventura in Palermo;
Donna LIVIA vedova ricca palermitana;
Donna AURORA moglie di
Don FILIBERTO povero cittadino in Palermo;
ELEONORA napoletana, promessa sposa a Guglielmo;
Il MARCHESE D'OSIMO;
Il CONTE DI BRANO;
Il CONTE PORTICI;
Il VICERÈ;
BERTO servitore di don Filiberto;
Un PAGGIO di donna Livia;
FERMO cameriere di donna Livia;
TARGA cameriere di donna Livia;
Un MESSO del Vicerè;
Il BARGELLO;
Birri, che non parlano.
La Scena si rappresenta in Palermo.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera di donna Aurora.
Donna AURORA e BERTO.
AUR.
Viene a me questo viglietto?
BER.
Sì signora, a lei.
AUR.
Non vi è la soprascritta.
Hanno detto che tu lo dessi a me?
BER.
A lei propriamente.
AUR.
Bene, io l'aprirò.
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