L'AMANTE DI SE MEDESIMO, di Carlo Goldoni - pagina 1
L'AMANTE DI SÉ MEDESIMO
di Carlo Goldoni
La presente Commedia fu per la prima volta rappresentata in Milano
nell'Estate dell'anno 1756.
A SUA ECCELLENZA
IL SIGNOR
ANTONIO GRIMANI
FU DI SIER ZAMBATTISTA
A ragione si maraviglierà l'Eccellenza Vostra, veggendosi comparire dinnanzi agli occhi, ed a Lei diretto, il rispettoso foglio di Uno che non ebbe finora titolo alcuno di servitù verso V.
E., né mai ebbe l'onor di vederla, ne di essere da Lei veduto.
Molto più crescerà la di Lei maraviglia ricevendo il foglio stampato, col di Lei nome impresso e in fronte collocato di una Commedia, reso V.
E., senza saperlo, Mecenate di essa e di me Protettore.
Grande audacia sembrerà questa mia all'E.
V.
non solo, ma a tutti quelli che ne vengono ora informati.
Non usasi, particolarmente a' dì nostri, valersi de' rispettabili nomi de' rinomati Soggetti per decorare le opere, senza ch'essi ne siano intesi e pregati, e accordino di buona voglia l'onorevole fregio e la protezione.
Io stesso non mi ricordo d'averlo fatto altre volte, eppure questa volta m'indussi a farlo, invogliato ed animato nel medesimo tempo da' vari ragionamenti di un Galantuomo, che ha l'onor di essere soventi volte coll'E.
V., che ha per Lei una somma venerazione, ed ha per me dell'amore.
Conoscete Voi (mi disse un giorno l'Amico) l'Eccellentissimo Signor Antonio Grimani detto, per la dominicale sua abitazione, dei Servi? Conosco (risposi) l'antichissima illustre di Lui Famiglia, so le glorie, i fregi, gli onori del suo Casato, intesi parlar di Lui con somma venerazione e stima da tutti gli ordini delle Persone, ma rilevai altresì, che abbia egli preferita la quiete agli onori, che abbia la Città abbandonata, per vivere più tranquillamente in campagna, ond'io, che sono stato per lo più ambulante pel Mondo, non ebbi la fortuna di conoscerlo personalmente.
Così è (soggiunse l'Amico).
Quest'amabile Cavaliere, dopo aver adempito ai doveri di buon Cittadino, sostenendo i pesi e meritando gli onori, pieno della più sana Filosofia, e coll'esempio degli antichi Padri della Romana Repubblica, si ritirò nel suo delizioso villereccio soggiorno di Martelago, dove non soddisfa a se stesso coll'inazione, colla solitudine ed il total dispregio del mondo, vita stoica, inoperosa menando; ma libero spazioso campo ritrova di esercitare l'esimia sua carità verso i poveri, facendo sua delizia, sua occupazione e sua prediletta cura soccorrere i bisognosi, visitare gl'infermi, e consolare gli afflitti.
Soddisfatto alla pia inclinazione del suo bel cuore, non lascia di ricreare lo spirito con nobili ed onesti intrattenimenti.
Ei tratta assai volentieri con Persone di buon carattere e di buon costume; accoglie i Galantuomini nella sua fioritissima abitazione, li alberga con esquisitezza e cordialità, fa delle graziosissime conversazioni, e fra queste hanno onorevole, costante luogo le vostre Commedie.
Qui non potei lasciar d'interrompere il caro Amico, diedi in un trasporto di gioia, dissi alzando la voce: Dunque un Cavaliere sì saggio, sì pio ed amabile, ammette nel suo virtuoso ritiro la compagnia delle Opere mie, e le crede degne della sua bella mente e del suo bel cuore? Ah (seguitai dicendo), nell'udire il di Lui sistema e le ammirabili sue qualità, m'invogliava di conoscerlo, di inchinarmi ad Esso, di offerirgli la divota mia servitù; ma quest'ultima parte della vostra piacevole narrativa, oltre la mia curiosità, interessa la gloria mia e il mio decoro, e sento da essa solleticar l'amor proprio.
Come potrei fare ad accostarmi a Lui, come protestargli il mio ossequioso riconoscimento, come ringraziarlo della sua bontà, della sua protezione? Fate così (mi rispose l'onoratissimo Galantuomo), dedicategli una Commedia.
Oh come (io dissi) posso ardire di farlo, senza merito, senza servitù, senza dirglielo? Non temete (soggiunse), io lo conosco bastantemente; so di che animo è il Cavaliere; Egli è solito di tutte le cose esaminare il fondo; conoscendo che a ciò vi mosse il rispetto, e se volete, anche un rispettoso riconoscimento, passerà sopra ad ogni formalità, e gradirà la Dedica che gli farete.
Se glielo dite prima (soggiunse), correte il rischio che la sua singolare modestia ve lo divieti.
Molte cose si lodano dopo fatte, che consigliando non si sarebbero fatte: la cosa non è indegna d'un Cavaliere illustre per meriti e per natali, giacché tant'altri vi hanno concesso un simile onore; egli vi ama, ve l'assicuro, e protegge tanto le cose vostre, che è impossibile non accolga la Dedica con benignità e con diletto.
A tante belle parole chi non sarebbesi persuaso? Ecco, Eccellenza, come mi son lasciato condurre all'ardito passo di offerirle un pubblico testimonio dell'ossequiosa mia servitù, senza attenderne la di Lei permissione.
Se mai per avventura foss'Ella malcontenta del mio coraggio, supplico l'E.
V.
dividere i suoi rimbrotti fra me e l'Amico che mi ha sedotto; io non pertanto in qualunque evento ringrazierò sempre Colui che mi dié animo a farlo, sicuro che la dolcezza dell'animo di V.
E., e la naturale sua benignità, ravvisando il cuore umilissimo, che per l'acquisto della di Lei protezione divenne ardito, mi accorderà un clemente perdono, e mi concederà liberalmente la grazia di poter essere, quale ossequiosamente inchinandomi ho l'onore di protestarmi
Di V.
E.
Venezia li 22 Luglio 1760.
Umiliss.
Devotiss.
Obbligatiss.
Servidore
CARLO GOLDONI
L'AUTORE A CHI LEGGE
Questa Commedia, che è stata assai fortunata nel buon incontro, svegliò qualche disputa sull'argomento.
Pochi hanno riconosciuto nel Protagonista l'Amante di sé stesso, aspettandosi la maggior parte per un sì fatto titolo un uomo abbandonato a quelle disordinate passioni, che sogliono derivare dallo smoderato amor proprio.
Quando io avessi fatto prevalere nel mio Protagonista una forte passione, o un vizio, o un difetto, avrei da quello denominato il di lui carattere, e avrei intitolata la Commedia, o il Superbo, o l'Avaro, o il Dissoluto ecc.; ma quando dico soltanto l'Amante di sé stesso, mi figuro un Uomo non trasportato da veruna passione, ma ragionevole, padrone di sé medesimo, che sente l'umanità, e gli appetiti, e i piaceri, ma che nell'occasione di prevalersi di alcuni beni, o di alcuni comodi, cerca di appagare sé stesso, senza assoggettarsi agli usi molesti della società, a certi inutili rispetti umani, o al fanatismo di una soverchia delicatezza, senza offendere l'onestà e il buon costume.
Per esempio: un galantuomo a' dì nostri contrae un'amicizia con un'amabil Signora, prende impegno di servirla, la serve, e coll'andar del tempo scopre i difetti, e trova incomoda la servitù.
L'uomo appassionato non sa distaccarsi; l'uomo debole soffre con dispiacere la sua catena; il politico per convenienza sta saldo.
L'amante di sé stesso la pianta a drittura.
Dicono alcuni: Per una sì fatta ragione l'Amante di sé stesso non dovria maritarsi, temendo la noia di una indissolubil catena.
Dirò a tal proposito, che così pensa chi ama veramente sé stesso, ma all'incontro il mio Protagonista ha tante prove di virtù, di fedeltà, di amore della sua Bella, che si reputerebbe infelice a perderla, e per amor proprio la sposa.
Io non so, se queste ragioni basteranno a persuadere chi legge; ma in ogni caso si persuada col voto comune degli ascoltanti, che fece festa grandissima ad una tale Commedia.
Io la scrissi a Colorno, villeggiatura amenissima del Serenissimo Reale Infante Padrone, e mi ricordo che nei bollori di un ardentissimo Luglio, fra il caldo e il sudore, mi divertì infinitamente lo scriverla, e tanta facilità vi trovai, e tanta dilettazione, che in otto giorni la ridussi al fine.
In Settembre la posi io stesso in iscena a Milano, e tanto ebbe incontro in quel magnifico sontuoso Teatro, che a voce comune fu domandata la replica, e quattro volte in pochi giorni fu replicata.
Bella consolazione, Lettor carissimo, per un Autore, allorché vede le Opere sue dall'universale aggradite! Bella cosa sentirsi dire: "Bravo! me ne consolo! che bella Commedia! È un capo d'opera.
Non si può far di più".
Ed è bello ancora il vedere alcuni malcontenti, o per invidia, o per costume, lodarla a mezza bocca, dirne bene in faccia all'Autore, e far d'occhio al compagno, e in mezzo alle lodi far nascere l'obbietto, la critica, o la derisione.
Io li ringrazio assaissimo, poiché mentre mi tartassano una Commedia, mi somministrano l'argomento d'un'altra.
PERSONAGGI
Il MARCHESE FERDINANDO feudatario di Castello Rotondo.
La MARCHESA IPPOLITA vedova.
Donna BIANCA.
Il CONTE DELL'ISOLA.
Don MAURO zio di donna Bianca.
Il signor DE' MARTINI agente del Feudo.
Il COMMISSARIO di Castello Rotondo.
Il signor ALBERTO Veneziano.
MADAMA GRAZIOSA moglie del Commissario.
FRUGNOLO lacchè.
Un NOTARO.
Un SERVITORE di don Mauro.
La Scena si rappresenta nel Castello di Monte Rotondo, parte in casa di don Mauro, e parte in casa del Commissario.
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera in casa di don Mauro
Il CONTE DELL'ISOLA ed il signor ALBERTO.
CON.
Un'ora star con voi solo, amico, mi preme.
Berrem, se non vi spiace, la cioccolata insieme.
ALB.
Sior sì, la cioccolata, per bona che la sia,
Par che la riessa meggio bevuda in compagnia.
Che vuol dir, a proposito, sior Conte mio patron?
No la la beve al solito ancuo in conversazion?
CON.
Mi sento stamattina lo stomaco indigesto.
Gli altri la bevon tardi; noi la berrem più presto.
ALB.
Giersera qualcossetta m'ha parso de sentir.
Xelo un de quei che stenta le cosse a digerir?
CON.
So che volete dirmi.
Ier sera veramente
Mi ha fatto donna Bianca scaldar terribilmente:
La bile mi è passata per altro in sul momento;
Non altero per donne il mio temperamento.
Amo con tenerezza, e con calor m'impegno,
Stimo le donne tutte, ma fino a un certo segno.
Vo' che l'amor mi comodi, non che dolor mi dia;
Per femmina, vel giuro, non piansi in vita mia.
Mi piace, mi diletta la grazia e la beltà,
Ma stimo più di tutto la mia felicità.
ALB.
Senza doggia de cuor sarave un bell'amar,
Ma co l'è de quel bon, cussì no se pol far.
CON.
Di quel buono chiamate l'amor che vi tien privo
Di pace, di conforto? Pare a me del cattivo.
Non mancano pur troppo al mondo i nostri guai;
Accrescerli per gioco, affé, non imparai.
ALB.
Donca per riparar da ste desgrazie el cuor,
Bisogna star in guardia lontani dall'amor.
CON.
Ma dall'amar lontani star sempre è cosa dura.
Amore è la più bella passion della natura.
ALB.
Ma come s'ha da far, caro sior Conte mio?
CON.
S'ha da amar, caro amico, ma far come fo io.
Amare onestamente, finché si va d'accordo;
Quando si cambia 'l vento, far presto a voltar bordo.
Io, quando ho un'amicizia, la venero, la stimo;
Procuro di non essere a disgustarla il primo.
Ma un menomo motivo che diami di disgusto,
Col darle il suo congedo prestissimo m'aggiusto.
ALB.
Gnente per la morosa? Gnente soffrir?
CON.
Oibò.
ALB.
Gh'avè un bel cuor, compare
CON.
Né mai mi cambierò.
ALB.
Ma se per cussì poco, sior Conte, ve muè,
Disè, come sarala, se ve mariderè?
CON.
Finora ho sempre amato per genio e bizzarria;
L'amor del matrimonio non so che cosa sia.
Penso che in ogni caso, scemandosi l'affetto,
Restar può per la moglie la stima ed il rispetto.
ALB.
Co sti princìpi in testa, sior Conte mio paron,
Xe meggio che stè solo, che parerè più bon.
CON.
Basta: mutiam discorso; il caso è ancor distante.
Spiacemi, amico caro, che or son senza un'amante.
E non ci posso stare; mi viene il mal di core,
Se sto mezza giornata senza far all'amore.
ALB.
Cossa xe stà giersera con donna Bianca?
CON.
Appunto
Di quel che volea dirvi siete arrivato al punto.
Donna Bianca è una giovane propria, civile, onesta;
Ma parmi fastidiosa e debole di testa.
Scherzai colla Marchesa un po' più dell'usato
Ella in tutta la sera non mi ha nemmen guardato.
Le dico qualche cosa, le parlo civilmente,
Giustificarmi io voglio, mi fa l'indifferente.
Siedo appresso di lei; s'alza, mi lascia solo:
La seguito, mi fugge, mostra negli occhi il duolo.
Mi sforzo contro il solito di sospirar; la credo
Tocca dai miei sospiri, e ridere la vedo.
...
[Pagina successiva]