I DECENNALI, di Niccolo' Machiavelli - pagina 1
I DECENNALI
Niccolò Machiavelli
Nicolaus Maclavellus
Alamanno Salviato
viro praestantissimo salutem.
Lege, Alamanne, postquam id efflagitas, transacti decennii labores Italicos, nostrum quindecim dierum opus.
Fortasse nostri aeque ac Italiae vicem dolebis, dum quibus ipsa fuerit periculis obnoxia perspexeris, et nos tanta infra tam breves terminos perstrinxisse.
Forsitan et ambos excusabis: illam necessitudine fati, cuius vis refringi non potest, et nos angustia temporis, quod in huiusmodi ocio nobis adsignatur.
Verum obsecro te ut nobis non desis, sicut illi ac labanti patriae tuae non defuisti, si cupis carmina haec nostra, quae tuo invitatu edimus, non contemnenda.
Vale.
V Idus Novembris MDIIII
Nicolaus Maclavellus
ediem
Leggete, Alamanno, poi che voi lo desiderate, le fatiche di Italia di dieci anni e la mia di quindici dì.
So che c'increscerà di lei e di me, veggendo da quali infortunii quella sia suta oppressa, e me aver voluto tante gran cose infra sì brevi termini restringere.
So ancora escuserete l'uno e l'altro: lei colla necessità del fato, e me colla brevità del tempo che mi è in simil ozio concesso, E perché voi, col mantenere la libertà di un de' suoi primi membri, avete suvvenuto a lei, son certo suvverrete ancora a me delle sue fatiche recitatore; e sarete contento mettere di questi mia versi tanto spirito, che del loro gravissimo subietto e della audienzia vostra diventino degni.
Valete
Die VII Novembris MDIIII
Decennale primo
Io canterò l'italiche fatiche,
seguìte già ne' duo passati lustri
sotto le stelle al suo bene inimiche.
Quanti alpestri sentier, quanti palustri
narrerò io, di sangue e morti pieni,
pe 'l variar de' regni e stati illustri!
O Musa, questa mia cetra sostieni,
e tu, Apollo, per darmi soccorso,
da le tue suore accompagnato vieni.
Aveva 'l sol veloce sopra 'l dorso
del nostro mondo ben termini mille
e quattrocen novanta quattro corso,
dal tempo che Iesù le nostre ville
vicitò prima e, col sangue che perse,
estinse le diaboliche faville
quando, in sé discordante, Italia aperse
la via a' Galli, e quando esser calpesta
da le genti barbariche sofferse.
E perché a sequitarle non fu presta
vostra città, chi ne tenea la briglia
assaggiò e' colpi de la lor tempesta.
Così tutta Toscana si scompiglia
così perdesti Pisa e quelli stati
che dette lor la Medica famiglia.
Né possesti gioir, sendo cavati,
come dovevi, di sott'a quel basto
che sessant'anni v'aveva gravati;
perché vedesti el vostro stato guasto:
vedesti la cittate in gran periglio
e de' Franzesi la superbia e 'l fasto.
Né mestier fu, per uscir de lo artiglio
d'un tanto re e non esser vassalli,
di mostrar poco cuor o men consiglio.
Lo strepito de l'armi e de' cavalli
non possé far che non fussi sentita
la voce d'un cappon fra cento galli;
tanto che 'l re superbo fe' partita,
poscia che la cittate esser intese,
per mantener sua libertate, unita.
E com'e' fu passato nel sanese,
non prezzando Alessandro la vergogna,
si volse tutto contr'al Ragonese.
Ma 'l Gallo, che passar securo agogna,
volle con seco del papa 'l figliuolo,
non credendo a la fé di Catalogna.
Così col suo vittorioso stuolo
passò nel Regno qual falcon che cale,
o uccel ch'abbi più veloce volo.
Poi che d'una vittoria tanta e tale
si fu la fama ne li orecchi offerta
a quel primo motor del vostro male,
conobbe ben la sua stultizia certa;
e dubitando cader ne la fossa
che con tanto sudor s'aveva aperta,
né li bastando sua natural possa,
fece, quel duca, per salvar el tutto,
col papa, Imperio e Marco testa grossa.
Non fu per questo, però, salvo al tutto,
perch'Orliens, in Novara salito,
li diè de' semi suoi el primo frutto.
Il che poi che da Carlo fu sentito,
del duca assai e del papa si dolse,
e del suo figlio che s'era fuggito;
né quasi in Puglia più dimorar volse;
lasciato 'n guardia assai gente nel Regno,
verso Toscana col resto si volse.
In questo mezzo, voi, ripien di sdegno,
nel paese pisan gente mandasti
contro a quel popol di tanto odio pregno;
e, dopo qualche disparer, trovasti
nuovi ordini al governo: e furon tanti
che 'l vostro stato popular fondasti.
Ma sendo de' Francesi lassi alquanti
per li lor modi e termin disonesti,
e pe' lor pesi che vi avéno infranti,
poi che di Carlo il ritorno intendesti,
desiderosi fuggir tanta piena,
la città d'arme e gente provvedesti.
E però giunto con sue genti a Siena,
sendo cacciato da più caso urgente,
n'andò per quella via ch'a Pisa il mena;
dove già di Gonzaga il furor sente,
e come ad incontrarlo sopra 'l Taro
avea condotto la Marchesca gente.
Ma quei robusti e furiosi urtaro
con tal virtù l'italico drappello,
che sopra 'l ventre suo oltre passaro.
Di sangue il fiume pareva a vedello,
ripien d'uomini e d'arme e di cavagli
caduti sotto al gallico coltello.
Così gl'Italian lasciorno andagli;
e lor, sanza temer gente avversara,
giunson in Asti e sanz'altri travagli.
Quivi la triegua si concluse a gara,
non estimando d'Orliens el grido
né pensando a la fame di Novara.
E ritornando e' Franzesi al lor lido,
avendo voi a nuovi accordi tratti,
saltò Ferrando nel suo dolce nido;
donde co' Vinizian sequirno e' patti
per aiutarsi, e più che mezza Puglia
concesse lor, e signor ne gli ha fatti.
Qui la Lega di nuovo s'incavuglia
per obsistere al Gallo, e voi sol soli
rimanesti in Italia per aguglia;
e per esser di Francia buon figliuoli,
non vi curasti, in seguitar sua stella,
sostener mille affanni e mille duoli.
E mentre che nel Regno si martella
fra Marco e Francia con evento incerto
finch'e' Franzesi affamorno in Atella,
voi vi posavi qui col becco aperto
per attender di Francia un che venisse
a portarvi la manna nel deserto,
e che le rocche vi restituisse
di Pisa, Pietrasanta e l'altra villa,
sì come 'l re più volte vi promisse.
Venne alfin Lanciaimpugno e quel di Lilla,
Vitelli e altri assai, che v'ingannorno
con qualche cosa che non è ben dilla.
Sol Beumonte vi rendé Livorno,
ma li altri, traditori al ciel rebelli,
di tutte l'altre terre vi privorno;
e al vostro Leon trassor de' velli
la Lupa con San Giorgio e la Pantera;
tanto par che fortuna vi martelli!
Da poi ch'Italia la francesca stiera
scacciò da sé, e sanza tempo molto
con fortuna e saper libera s'era,
volse verso di voi e 'l petto e 'l volto
insieme tutta, e dicea la cagione
esser sol per avervi a Francia tolto.
Voi, favoriti sol da la ragione,
contro lo 'ngegno e forza lor un pezzo
tenesti ritto 'l vostro gonfalone;
perché sapevi ben che per disprezzo
era grata a' vicin vostra bassezza,
e gli altri vi volevon sanza prezzo.
Chiunque temea la vostra grandezza,
vi venia contra, e quelli altri eran sordi;
ch'ogni uomo esser signor di Pisa apprezza.
Ma, come volse il ciel, fra quest'ingordi
surse l'ambizion, e Marco e 'l Moro
a quel guadagno non furon concordi.
Questa venir al vostro tenitoro
fece l'Imperio, e partir sanza effetto
la diffidenza che nacque fra loro
tanto ch'alfin la Biscia, per dispetto,
vi confortò a non aver paura
di star a Marco ed a sue forze a petto.
E quel condusse in su le vostre mura
el vostro gran rebel; onde ne nacque
di cinque cittadin la sepultura.
Ma quel ch'a molti molto più non piacque;
e vi fe' disunir, fu quella scuola
sotto 'l cui segno vostra città iacque:
i' dico di quel gran Savonerola,
el qual, afflato da virtù divina,
vi tenne involti con la sua parola;
ma perché molti temen la ruina
veder de la lor patria a poco a poco
sotto la sua profetica dottrina,
non si trovava a riunirvi loco,
se non cresceva o se non era spento
el suo lume divin con maggior foco.
Né fu in quel tempo di minor momento
la morte del re Carlo, la qual fe'
del regno 'l duca d'Orliens contento.
E perché 'l papa non possea per sé
medesmo far alcuna cosa magna,
si rivolse a favor del nuovo re;
fece 'l divorzio e diegli la Brettagna:
e, a l'incontro, il re la signoria
li promisse e li stati di Romagna.
Ed avendo Alessandro carestia
di chi tenessi la sua insegna eretta,
per la morte e la rotta di Candia,
si volse al figlio, che seguia la setta
de' gran chercuti, e da quei lo rimosse
cambiandoli el cappello a la berretta.
In tanto 'l Vinizian, con quelle posse
de la gente che in Pisa avea ridotta,
verso di voi la sua bandiera mosse;
tal che, successa del Conte la rotta
a Santo Regol, voi costretti fusti
dar la mazza al Vitel e la condotta.
E parendovi fier, forti e robusti
per virtù di queste armi esser venuti,
movesti 'l campo contro a quelli ingiusti;
né vi mancando li sforzeschi aiuti
volevi con la insegna vitellesca
sopra 'l muro di Pisa esser veduti.
Ma perché quel disegno non riesca,
Marradi prima, e di po' il Casentino,
ferito fu da la gente Marchesca.
Voi voltasti il Vitello a quel cammino,
in modo tal, che rimase disfatto,
sotto le insegne sue, l'Orso e Urbino.
E ancor peggio si sare' lor fatto,
se fra voi disparer non fussi suto
per la discordia fra 'l Vitello e 'l Gatto.
Da poi che Marco fu così battuto,
fece l'accordo con Luigi in Francia,
per vendicar el colpo ricevuto.
E perché 'l Turco arrestava la lancia
contro di lor, tanto timor li vinse
di non far cigolar la lor bilancia,
ch'a far con voi la pace li sospinse,
e uscirsi di Pisa al tutto sparsi;
e 'l Moro a consentirla voi costrinse,
per veder se possea riguadagnarsi
con questo benifizio el Viniziano,
li altri remedi iudicando scarsi.
Ma questo suo disegno ancor fu vano,
perché gli avien la Lombardia divisa
secretamente col gran re cristiano.
Così restò l'astuzia sua derisa,
e voi, sanza temer di cosa alcuna,
ponesti 'l campo vostro intorno a Pisa;
dove posasti 'l corso d'una luna
senz'alcun frutto, ch'a' principii forti
s'oppose crudelmente la fortuna.
Lungo sarebbe narrar tutti e' torti,
tutti l'inganni corsi in quello assedio,
e tutti e' cittadin per febbre morti.
E non veggendo a l'acquisto remedio,
levasti 'l campo, per fuggir l'affanno
di quella impresa e del Vitello el tedio.
Poco di poi, del ricevuto inganno
vi vendicasti assai, dando la morte
a quel che fu cagion di tanto danno.
El Moro ancor non corse miglior sorte
in questo tempo, perché la corona
di Francia li era già sopra le porte;
onde fuggì, per salvar la persona:
e Marco, sanz'alcun ostacul, messe
le 'nsegne in Ghiaradadda ed in Cremona.
E per servar el Gallo le promesse
al papa, fu bisogno consentigli
che 'l Valentin de le sue genti avesse;
el qual, sotto la insegna de' tre gigli,
d'Imola e di Furlì si fe' signore,
e cavonne una donna co' suo' figli.
E voi vi ritrovavi in gran timore,
per esser suti un po' troppo infingardi
a sequitar el Gallo vincitore.
Pur, dopo la vittoria co' Lombardi,
contento fu d'accettarvi, non sanza
fatica e costo pe 'l vostro esser tardi.
Né fu appena ritornato in Franza
che Milan richiamava Lodovico;
per mantener la popular usanza;
ma 'l Gallo, più veloce ch'io non dico,
in men tempo che voi non diresti ecco,
si fece forte contr'al suo nimico.
Volsono e' Galli di Romagna el becco
verso Milan, per soccorrer e' suoi,
lasciando il Papa e 'l Valentino in secco.
E perché 'l Gallo ne portassi poi,
come portò, la palma con l'ulivo,
non mancasti anche a darli aiuto voi;
onde che 'l Moro d'ogni aiuto privo,
venne a Mortara co' Galli alle mani,
e ginne in Francia misero e cattivo.
Ascanio, suo fratel, di bocca a' cani
sendo scampato, per maggior oltraggio,
la lealtà provò de' Viniziani.
Volsono e' Galli, di poi, far passaggio
ne' terren vostri, sol per isforzare
e ridurre e' Pisani a darvi omaggio.
Così vennon avanti e, nel passare
che fece con sue genti, Beumonte
trasse a la Sega più d'un mascellare.
E come furno co' Pisani a fronte,
pien di confusion, di timor cinti,
non dimostrorno già lor forze pronte,
ma dipartirsi quasi rotti, e tinti
di gran vergogna; e conobbesi 'l vero,
come e' Franzesi possono esser vinti.
Né fu caso a passarlo di leggero,
perché, se fece voi vili e abietti,
fu a' Franzesi il primo vitupero;
né voi di colpa rimanesti netti,
però che 'l Gallo ricoprir volea
la sua vergogna con gli altrui defetti,
né anche 'l vostro stato ben sapea
deliberarsi; e mentre che 'nfra dua
del re non ben contenti si vivea,
el duca Valentin le vele sua
ridette a' venti e verso 'l mar di sopra
de la sua nave rivoltò la prua;
e con sua gente fe' mirabil opra
espugnando Faenza in tempo curto
e mandando Romagna sottosopra.
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