IL PIACERE DELL'ONESTA', di Luigi Pirandello - pagina 2
...
.
Vedo il mio dolore! Non ti sembra naturale?
MAURIZIO.
No, caro.
Perché cosi non la salvate più! - Dev'essere apparenza? Bisogna che ve la diate! - Tu non ti vedi.
Ti vedo io.
E debbo scuoterti, per forza, tirarti su...
darti il belletto, come tu
dici! - Egli è qua, venuto con me.
- Se si deve far presto...
FABIO.
Sì, sì...
dimmi, dimmi...
Ma già, è inutile! - Lo hai prevenuto
che non lo faccio padrone nemmeno d'un centesimo?
MAURIZIO.
L'ho prevenuto.
FABIO.
E ha accettato?
MAURIZIO.
Se è qua con me! - Soltanto per essere perfettamente in
grado d'adempiere agli obblighi che si assume con te - date queste
condizioni - chiede (e mi sembra giusto) la liquidazione del suo
passato.
Ha qualche debito.
FABIO.
Quanti? Molti? Oh, me l'immagino!
MAURIZIO.
Pochi, no, pochi! - Perdio, lo vorresti anche senza debiti?
Ne ha pochi.
Ma bisogna che aggiunga - e me l'ha raccomandato
lui stesso, bada, d'aggiungerlo - che sono cosi pochi non per mancanza di volontà da parte sua, ma per mancanza di credito da parte
degli altri.
FABIO.
Ah, benissimo!
MAURIZIO.
Onesta confessione! Capirai che, se godesse ancora di un
certo credito...
FABIO (prendendosi la testa fra le mani).
Basta! basta, per carità!
Dimmi il discorso che gli hai fatto.
- E mal vestito? com'è? malandato?
MAURIZIO.
L'ho trovato un poco deperito, dall'ultima volta.
- Ma a
questo si rimedia.
Ho già rimediato in parte.
Sai, è un uomo su cui
il morale può molto.
Le cattive azioni che si vede costretto a commettere .
FABIO.
gioca? bara? ruba? che fa?
MAURIZIO.
Giocava.
Non lo lasciano più giocare da un pezzo.
Era d'una
amarezza che accorava.
Ho passeggiato con lui tutta una notte, per
il viale attorno alle mura.
- Sei mai stato a Macerata?
FABIO.
Io, no.
MAURIZIO.
T'assicuro che è stata per me una nottata fantastica, tra lo
sprazzare d'una miriade di lucciole per quel viale: accanto a quell'uomo che parlava con una sincerità spaventosa; e, come quelle lucciole innanzi agli occhi, ti faceva guizzare innanzi alla mente certi pensieri inattesi dalle più oscure profondità dell'anima.
Mi pareva, non so, di non esser più sulla terra, ma in una contrada di sogno, strana, lugubre, misteriosa, ov'egli s'aggirava da padrone, ove le cose più bizzarre, più inverosimili potevano avvenire e sembrar naturali e consuete.
Egli se n'accorse - (s'accorge di tutto) - sorrise, e mi parlò di Descartes.
FABIO (stordito).
Di chi?
MAURIZIO.
Di Cartesio.
Eh, perché è anche vedrai d'una cultura, specialmente filosofica, formidabile.
Mi disse che Cartesio...
FABIO.
Ma in nome di Dio, che vuoi che m'importi di Cartesio, adesso?
MAURIZIO.
Lasciami dire! Vedrai che te n'importerà! Mi disse che
Cartesio, scrutando la nostra coscienza della realtà, ebbe uno dei più
terribili pensieri che si siano mai affacciati alla mente umana: -
che, cioè, se i sogni avessero regolarità, noi non sapremmo più distinguere il sonno dalla veglia! - Hai provato che strano turbamento, se un sogno ti si ripete più volte? - Riesce quasi impossibile dubitare che non siamo di fronte a una realtà.
Perché tutta la nostra conoscenza del mondo è sospesa a questo filo sottilissimo.
la re-go-la-ri-tà delle nostre esperienze.
- Noi, che abbiamo questa regolarità, non possiamo immaginare quali cose possano essere reali, verosimili, per chi viva fuori d'ogni regola, come quelluomo li! - Ti dico
che, a un certo punto, mi fu facilissimo entrare a fargli la proposta.
Parlava di certi suoi disegni, che a lui parevano più che possibili, e
a me cosi strampalati e inattuabili, che la proposta mia - capisci?
- diventò subito d'una facilità, che più ovvia, più piana non si sarebbe potuto
immaginare , d'una ragionevolezza, che chiunque avrebbe potuta
accettarla.
- E sbalordisci! Non fui mica io a dirgli in prima di quella condizione del danaro fu lui, subito, a protestare, risentito, che - danari niente! - non voleva neppur vederne da lontano.
- Ma sai perché?
FABIO.
Perché? .
MAURIZIO.
Perché è molto più facile - sostiene lui- essere un eroe
che un galantuomo.
Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini,
si dev'esser sempre.
Il che non è facile.
FABIO.
Ah!
Inquieto, smanioso, fosco, sì mette a passeggiare per la stanza.
E'...
è dunque un uomo dingegno, a quanto pare?
MAURIZIO.
Ah, di molto, di molto ingegno!
FABIO.
Se n'è servito male - sembra!
MAURIZIO.
Malissimo, malissimo.
Fin da ragazzo.
Fummo compagni
di collegio, te l'ho detto.
Col suo ingegno poteva arrivare dove voleva.
Studiò sempre quel che gli piacque, quel che poteva servirgli
meno.
E dice che leducazione è la nemica della saggezza, perché
l'educazione rende necessarie tante cose, di cui, per esser saggi, si
dovrebbe fare a meno.
Ebbe un'educazione da gran signore: gusti,
abitudini, ambizioni, vizii anche...
Poi i casi della vita...
il crollo
finanziario del padre...
e...
- non c'è da farsene meraviglia!
FABIO (riprendendo a passeggiare per la stanza).
E...
è anche un bell'uomo, hai detto?
MAURIZIO.
Sì, di bella presenza.
- Che cos'è?
Ride.
Di' un po'.
niente niente, adesso cominci a temere che abbia scelto
troppo bene?
FABIO.
Ma fa' il piacere! Vedo...
vedo del...
superfluo, ecco! Ingegno,
cultura -
MAURIZIO.
- filosofica! Non mi sembra che sia superflua al caso.
FABIO.
Maurizio, perdio, non scherzare! lo sono sulla brace! Avrei voluto di meno, ecco! Un uomo modesto, da bene -
MAURIZIO.
- che si scoprisse subito? .
che non avesse l'apparenza conveniente? Ma scusa! Bisognava anche tener conto della casa in cui deve
entrare...
Un uomo mediocre, non più giovane, avrebbe dato sospetto...
Ci voleva un uomo di merito, che ispirasse rispetto e considerazione...
tale, insomma, che domani la gente si possa spiegare la ragione per cui la signorina Renni ha potuto accettarlo...
E io sono sicuro che -
FABIO.
- che? -
MAURIZIO.
- che lo accetterà - non solo - ma mi ringrazierà un
po' meglio, almeno, di come stai facendo tu!
FABIO.
Sì! Ti ringrazierà...
Se la sentissi! - Gli hai detto che si deve
fare al più presto?
MAURIZIO.
Ma sì! Vedrai che saprà subito entrare in confidenza -
FABIO.
- cioè, cioè? -
MAURIZIO.
- oh, Dio, in quel tanto che vorrete accordargliene!
SCENA QUARTA
CAMERIERA, DETTI, poi la SIGNORA MADDALENA.
CAMERIERA (accorrendo dall'uscio di destra).
Signor marchese, la signora
la desidera di là un momento.
FABIO.
Ma ora non posso! Debbo andare con mio cugino.
A Maurizio:
Bisogna che Io veda...
gli parli.
Alla cameriera:
Dite alla signora che abbia un po' di pazienza: ora non posso!
CAMERIERA.
Sissignore.
Via.
MAURIZIO.
E' qua, a due passi: al primo albergo.
Ma così?
FABIO.
Impazzisco...
impazzisco...
impazzisco...
Fra lei, di là, che piange...
e te, di qua, che mi dici...
MAURIZIO.
Bada, non c'è finora alcun impegno! - E se tu non vuoi...
FABIO.
Voglio vederlo, ti dico, parlargli!
MAURIZIO.
E andiamo, allora, su! Ti dico che è qua, a due passi!
MADDALENA (sopravvenendo agitata).
Fabio! Fabio! Venite di qua, non
mi lasciate sola in questo momento, per carità!
FABIO.
Oh Dio! Oh Dio! .
MADDALENA.
E una crisi terribile.
Venite, ve ne scongiuro!
FABIO.
Ma se debbo...
MAURIZIO.
E no...
va'! Va', adesso! ,
MADDALENA.
Sì, per carità Fabio!
MAURIZIO.
Vuoi che te lo conduca qua? Senz'impegno.
Gli parlerai
qua.
Forse sarà meglio, per la signorina stessa.
FABIO.
Sì, vai, vai.
Ma, oh! senz'impegno, bada! E dopo che avrà parlato con me!
Via per l'uscio a destra.
MAURIZIO (gli grida dietro).
Ma sì! In due minuti: vado e ritorno.
Via per la comune.
MADDALENA (dietro a lui).
Con lui? Qua?
Fa per accorrere verso l'uscio a destra, ma sopravvengono Agata e
Fabio.
SCENA QUINTA
AGATA, FABIO e MADDALENA.
AGATA (scarmigliata, forsennata, divincolandosi da Fabio).
Lasciami, no:
lasciami! Lasciami andare! Via...
via...
MADDALENA.
Figliuola mia, dove vuoi andare?
AGATA.
Non lo so! Via!
FABIO.
Agata! Agata! per carità!
MADDALENA.
Ma sono pazzie!
AGATA.
Lasciatemi! Impazzire o morire! Non c'è più scampo per me!
Non reggo più!
Casca a sedere.
MADDALENA.
Ma aspetta prima che Fabio almeno lo veda! gli parli!
che lo veda anche tu!
AGATA.
No! Io? no! Ma non capite che mi fa orrore? Non capite che
è mostruoso quello che volete fare di me?
MADDALENA.
Ma come! Ma se tu stessa, figliuola mia...
AGATA.
No! Non voglio! Non voglio!
FABIO (disperato, risolutamente).
Ebbene, no! Se tu non vuoi, no! Non
lo voglio neanch'io! E mostruoso, si! e fa orrore anche a me! Ma hai
il coraggio, allora, d'affrontare con me la situazione?
MADDALENA.
Per carità, che dite, Fabio? Voi siete uomo e potete ridervi
dello scandalo, voi! Noi siamo due povere donne sole e l'onta si rovescerebbe su noi! Qua si tratta, tra due mali, di scegliere il minore!
Tra l'onta innanzi a tutti -
AGATA (subito).
- e quella innanzi a uno solo, è vero? mia soltanto!
Ma dovrò starci io, con quest'uomo! vedermelo davanti, quest'uomo
che dev'esser vile, vile, se si presta a questo!
Balza in piedi e s'avvia, trattenuta, verso l'uscio di fondo.
No, no, non voglio! non voglio vederlo! Lasciatemene andare, lasciatemene andare!
MADDALENA.
Ma dove? E che vuoi fare? - Affrontare lo scandalo?
Se vuoi questo, io...
io...
AGATA (abbracciandola e rompendo in singhiozzi, perdutamente).
No...
per te, mamma! ....
no...
no...
per te...
MADDALENA.
Per me? Ma no! Che dici, per me? Non pensare a me,
figliuola mia! Non c'è da risparmiar dolori, qua, luna all'altra! Né
da scappare! Dobbiamo stare qua, e soffrire tutti e tre insieme, e
cercare di dividerci la pena, perché il male lo abbiamo fatto tutti
e tre!
AGATA.
Tu no...
tu no, mamma!
MADDALENA.
Io più di te, figliuola mia! E ti giuro che soffro più di te!
AGATA.
No, mamma! Perché io soffro anche per te!
MADDALENA.
E io per te soltanto, e perciò di più! Non la divido io, la
mia pena, perché sono tutta in te, figliuola mia! .
- Aspetta...
aspetta...
si tratta di vedere...
AGATA.
E orribile! E orribile!
MADDALENA.
Lo so...
Ma vediamolo, prima!
AGATA.
Non posso! non posso, mamma!
MADDALENA.
Ma se siamo qua noi, con te! - Non c'è inganno! .
Non
nascondiamo nulla! Rimaniamo qua, noi - io e Fabio - accanto
a te!
AGATA.
Ma sarà qui, te l'immagini? qui, sempre, tra noi, Fabio, uno
che sa ciò che nascondiamo agli altri!
FABIO.
Ma avrà anche lui interesse di nasconderlo - per se, e anche
a se stesso - e starà ai patti! Se non ci starà, tanto meglio per noi!
- Appena accennerà di non volerci più stare, avrò io il mezzo di
farlo andar via.
Tanto, non c'Importerà più di lui!
MADDALENA.
Capisci! Già! Perché, sempre? Può essere per poco.
FABIO.
Per poco! per poco! Starà anche a noi, che sia per poco!
AGATA.
No, no! Ce lo vedremo sempre davanti!
MADDALENA.
Ma aspettiamo di conoscerlo, prima.
Setti ha proprio assi
curato...
FABIO.
Ci sarà modo! Ci sarà modo!
MADDALENA.
E molto intelligente, e...
Si sente picchiare all'uscio in fondo.
Pausa di sgomento.
Poi.
Ah, eccolo...
sarà lui...
SCENA SESTA
CAMERIERA, DETTI.
AGATA (balzando in piedi e afferrandosi alla madre).
Via, via, mamma!
Oh Dio!
Trascina la madre verso luscio a destra.
MADDALENA.
Ma si, gli parlerà lui.
- Andiamo, andiamo di là, noi...
FABIO.
Sta' tranquilla!
Maddalena e Agata via per l'uscio a destra.
Avanti.
CAMERIERA (aprendo l'uscio di fondo e annunziando).
Il signor Setti,
con un signore.
FABIO.
Fa' passare.
Cameriera via.
SCENA SETTIMA .
MAURIZIO, BALDOVINO, FABIO.
MAURIZIO (entrando).
Ah, ecco...
- Fabio, ti presento il mio amico
Angelo Baldovino.
Fabio s'inchina.
A Baldovino.
Il marchese Fabio Colli, mio cugino.
Baldovino s'inchina.
FABIO.
Prego, s'accomodi.
MAURIZIO.
Voi avete da parlare, e vi lascio.
A Baldovino stringendogli la mano:
Ci rivedremo più tardi all'albergo, noi, eh? Addio, Fabio.
FABIO.
Addio.
Maurizio esce per la comune.
SCENA OTTAVA
BALDOVINO, FABIO.
BALDOVINO (seduto, s'insella le lenti su la punta del naso e, reclinando
indietro il capo).
Le chiedo, prima di tutto, una grazia.
FABIO.
Dica, dica...
BALDOVINO.
Signor marchese, che mi parli aperto.
FABIO.
Ah, sì, sì...
Anzi, non chiedo di meglio.
BALDOVINO.
Grazie.
Lei forse però non intende questa espressione (( aperto )), come la intendo io.
FABIO.
Ma...
non so...
aperto...
con tutta franchezza...
E poiché Baldovino, Con Un dito, fa cenno di no,
...E come, allora?
BALDOVINO.
Non basta.
Ecco, veda, signor marchese: inevitabilmente,
noi ci costruiamo.
Mi spiego.
Io entro qua, e divento subito, di fronte
a lei, quello che devo essere, quello che posso essere - mi costruisco
- cioè, me le presento in una forma adatta alla relazione che debbo
contrarre con lei.
E lo stesso fa di se anche lei che mi riceve.
Ma,
in fondo, dentro queste costruzioni nostre messe cosi di fronte, dietro le gelosie e le imposte, restano poi ben nascosti i pensieri nostri
più segreti, i nostri più intimi sentimenti, tutto ciò che siamo per
noi stessi, fuori delle relazioni che vogliamo stabilire.
- Mi sono
spiegato?
FABIO.
Si, si, benissimo...
Ah, benissimo! Mio cugino mi ha detto che
lei è molto intelligente.
BALDOVINO.
Ecco, lei forse crede, adesso, che io abbia voluto darle un
saggio della mia intelligenza.
FABIO.
No, no...
dicevo, perché...
approvo, approvo ciò che lei ha saputo dire così bene.
BALDOVINO.
Comincio io, allora, se permette, a parlare aperto.
- Provo
da un pezzo, signor marchese - dentro - un disgusto indicibile delle abiette costruzioni di me, che debbo mandare avanti nelle relazioni che mi vedo costretto a contrarre coi miei...
diciamo simili, se lei non s'offende.
FABIO.
No, prego...
dica, dica pure...
BALDOVINO.
Io mi vedo, mi vedo di continuo, signor marchese; e dico:
- Ma quanto è vile, ma com'è indegno questo che tu ora stai facendo!
FABIO (sconcertato, imbarazzato).
Oh Dio...
ma no...
perché?
BALDOVINO.
Perché sì, scusi.
Lei, tutt'al più, potrebbe domandarmi
perché allora lo faccio? Ma perché...
molto per colpa mia, molto anche per colpa d'altri, e ora, per necessità di cose, non posso fare altrimenti.
Volerci in un modo o in un altro, signor marchese, è presto fatto.
tutto sta, poi, se possiamo essere quali ci vogliamo.
Non siamo soli! - Siamo noi e ]a bestia.
La bestia che ci porta.
- Lei ha un bel bastonarla: non si riduce mai a ragione.
- Vada a persuader l'asino a non andare rasente ai precipizii: - si piglia nerbate, cinghiate, strattoni; ma va lì, perché non ne può far di meno.
E dopo
che lei l'ha bastonata, pestata ben bene, le guardi un po' gli occhi
addogliati: scusi, non ne sente pietà? - Dico pietà.
non scusarla!
- L'intelligenza che scusi la bestia, s'imbestialisce , anch'essa.
Ma
averne pietà é un'altra cosa! Non le pare?
FABIO.
Ah, certo...
certo...
- Vogliamo dunque venire a noi?
BALDOVINO.
Ci siamo, signor marchese.
Le ho detto questo, per farle
intendere che, avendo il sentimento di quel che faccio, ho anche una
certa dignità che mi preme di salvare.
Non c'é altro mezzo di salvarla, che parlando aperto.
- Fingere, sarebbe orribile, oltre che laido, volgarissimo.
- La verità!
FABIO.
Ecco, sì...
chiaramente...
Vedremo d'intenderci...
BALDOVINO.
E, allora, se permette.
, domanderò.
FABIO.
Come dice?
BALDOVINO.
Le farò qualche domanda, se permette.
FABIO.
Ah, sì, domandi pure.
BALDOVINO.
Ecco.
Trae di tasca un taccuino.
Ho qua gli estremi della situazione.
Dovendo fare una cosa seria.
meglio per lei, meglio per me.
Apre il taccuino e lo sfoglia:.
intanto, comincia a domandare, con
l'aria d'un giudice non severo:
Lei, signor marchese, è l'amante della signorina...
FABIO (scattando per troncare subito quella domanda e quella ricerca
nel taccuino).
Ma no! scusi...
così...
BALDOVINO (calmo, sorridente).
Vede? Lei recalcitra fin dalla prima
domanda!
FABIO.
Ma certo! Perché...
BALDOVINO (subito, severo).
Non è vero? dice che non è vero? - E
allora
Si alza.
mi scusi, signor marchese.
Le ho detto che ho la mia dignità.
-
Non potrei prestarmi a una trista e umiliante commedia.
FABIO.
Ma come! io credo che, anzi, così come vuol far lei...
BALDOVINO.
S'inganna.
La mia dignità (quella che può essere) posso
salvarla solamente a patto che lei parli con me come con la Sua
stessa coscienza.
- O cosi, signor marchese, o non ne facciamo niente.
- Non mi presto a finzioni indecorose.
- La verità.
- Mi vuol
rispondere?
FABIO.
Ebbene...
sì...
Ma non cerchi in codesto taccuino, per carità.
Lei vuole alludere alla signorina Agata Renni?
BALDOVINO (non transigendo, seguita a cercare; trova; ripete).
Agata
Renni, precisamente.
- Ventisette anni?
FABIO.
Ventisei.
BALDOVINO (guarda nel taccuino).
Compiti il nove del mese scorso:
dunque, nel ventisettesimo.
E...
Guarda di nuovo nel taccuino.
ci sarebbe una mamma?
FABIO.
Ma scusi!
BALDOVINO.
E scrupolo, creda, nient'altro che scrupolo da parte mia;
affidamento per lei.
Mi troverà sempre cosi preciso, signor marchese.
FABIO.
Ebbene, si, c'è la madre.
BALDOVINO.
Quanti anni, scusi?
FABIO.
Ma...
non so...
ne avrà cinquantuno...
cinquantadue...
BALDOVINO.
Soltanto? - Ecco, perché...
- dico francamente - sarebbe meglio che non ci fosse.
- La madre è una costruzione irriducibile.
- Ma sapevo che c'era.
Dunque, abbondiamo un poco...
diciamo cinquantatré.
- Lei, signor marchese, avrà su per giù letà
mia...
- Io sono sciupato.
Ne mostro di più.
Ne ho quarantuno.
FABIO.
Oh, ne ho di più io, allora.
Quarantatré.
BALDOVINO.
Ah, mi congratulo: li porta meravigliosamente.
- Sa?
Forse anch'io, rimettendomi un poco...
- Quarantatré, dunque.
- Ora, scusi, debbo toccare un altro tasto molto delicato.
FABIO.
Mia moglie?
BALDOVINO.
Ne è separato.
- Per torti...
- lo so, lei è un perfetto
gentiluomo - e chi non è capace di farne, è destinato a riceverne.
- Per torti, dunque, della moglie.
- E ha trovato qua una consolazione.
Ma la vita - trista usuraja - si fa pagare quell'uno di
bene che concede, con cento di noje e di dispiaceri.
FABIO.
Purtroppo!
BALDOVINO.
Eh, l'avrei a sapere! - Bisogna che ella sconti la sua consolazione, signor marchese! Ha davanti lombra minacciosa d'un
protesto senza dilazione.
- Vengo io a mettete una firma d'avallo,
e ad assumermi di pagare la sua cambiale.
- Non può credere, signor marchese, quanto piacere mi faccia questa vendetta che posso
prendermi contro la società che nega ogni credito alla mia firma.
Imporre questa mia firma; dire.
- Ecco qua: uno ha preso alla
vita quel che non doveva e ora pago io per lui, perché se io non
pagassi, qua un'onestà fallirebbe, qua l'onore d'una famiglia farebbe
bancarotta; signor marchese, è per me una bella soddisfazione: una
rivincita! - Creda che non lo faccio per altro.
Lei ne dubita? ne
ha tutto il diritto.
perché io sono...
- mi permette un paragone?
FABIO.
Ma si, dica, dica,
BALDOVINO (seguitando).
...come uno che venga a mettere in circolazione
oro sonante in un paese che non conosca altro che moneta di carta.
- subito si diffida dell'oro; è naturale.
- Lei ha certo la tentazione di rifiutarlo: no? Ma è oro, stia sicuro, signor marchese.
- Non ho potuto sperperarlo, perché l'ho nell'anima e non nelle tasche.
Altrimenti!
FABIO.
ecco, bene! E allora, questo.
Benissimo! Io non vado cercando
altro, signor Baldovino.
L'onestà! la bontà dei sentimenti!
BALDOVINO.
Ho anche i ricordi della mia famiglia...
- Mi è potuto
costare di sacrifizii d'amor proprio, d'amarezze senza fine, di ribrezzo,
di schifo...
- essere disonesto.
Che vuole che mi costi l'onestà? -
Lei m'invita...
sì, dico, doppiamente a nozze.
Sposerò per finta una
donna ; ma sul serio, io sposo l'onestà.
FABIO.
Ecco, si - e basta! Mi basta questo!
BALDOVINO.
Basta? - Le pare che le basti? - Scusi, signor marchese;
e le conseguenze?
FABIO.
Come? Non capisco.
BALDOVINO.
Eh.
vedo che lei...
- certamente perché soffre davanti a
me e fa a se stesso una grande violenza per resistere a questa situazione penosa, pure d'uscirne, tratta con molta leggerezza la cosa.
FABIO.
No, no: tutt'altro! .
Come, con leggerezza?
BALDOVINO.
Permette? - La mia onestà, signor marchese, dev'essere
o non dev'essere?
FABIO.
Ma sì che dev'essere! E l'unica condizione che le pongo!
BALDOVINO.
benissimo.
Nei miei sentimenti, nella mia volontà, in tutti
i miei atti.
- C'è.
- Me la sento.
- La voglio.
- La dimostrerò.
- Ebbene?
FABIO.
Che ebbene? Le ho detto che mi basta questo!
BALDOVINO.
Ma le conseguenze, signor marchese, scusi! - Guardi:
l'onestà, così come lei la vuole da me - che cos'è? - Ci pensi un
po'.
- Niente.
- Un'astrazione.
- Una pura forma.
- diciamo:
l'assoluto.
- Ora scusi, se io devo essere cosi onesto, bisognerà pure
che io la viva - per cosi dire - quest'astrazione; che dia corpo a
questa pura forma; che io senta quest'onestà astratta e assoluta.
-
E quali saranno allora le conseguenze? Ma prima di tutte, questa,
guardi: .
che io dovrò essere un tiranno.
FABIO - Un tiranno?
BALDOVINO.
Per forza! - Senza volerlo! - Per ciò che riguarda, la
pura forma, intendiamoci! (Il resto non m'appartiene).
- Ma per
la pura forma, onesto come lei mi Vuole e come io mi voglio - di necessità dovrò essere un tiranno glielo avverto.
- Vorrò rispettate
fino allo scrupolo tutte le apparenze, il che di necessità importerà
gravissimi sacrifizii a lei, alla signorina, alla mamma; un'angustiosissima limitazione di libertà, il rispetto a tutte le forme astratte
della vita sociale.
E...
parliamoci chiaro, signor marchese, anche per
farle vedere che sono animato del più fermo proposito - sa che
verrà fuori subito, da tutto questo? ciò che s'imporrà tra noi e salterà agli occhi di tutti? Che, trattando con me, - non si faccia illusioni - onesto com'io sarò - la cattiva azione la commettono loro, non io! - Io, in tutta questa combinazione non bella, non vedo che una cosa sola: la possibilità che loro mi fanno - e che io accetto - d'essere onesto.
FABIO.
Ecco...
caro signore...
- capirà...
- già lei stesso l'ha detto -
non...
non mi trovo in condizione di seguirla bene, in questo momento...
- Lei parla meravigliosamente; ma tocchiamo terra, per carità!
BALDOVINO.
Io? terra? Non posso!
FABIO.
Come non può, scusi? che vuol dire?
FABIO.
Come non può, scusi? che vuol dire?
BALDOVINO.
Non posso, per la condizione stessa in cui lei mi mette,
signor marchese! - Io devo vagare per forza nell'astratto.
Guai se
toccassi terra! - La realtà non è per me: se la riserba lei.
La tocchi
lei.
Parli: io starò ad ascoltarla.
- Sarò l'intelligenza che non scusa,
ma compatisce -
FABIO (subito, additando se stesso).
- la bestia? -
BALDOVINO.
Scusi: conseguenza!
FABIO.
Ma si! ma si! Ha ragione! E proprio così! Dunque,
parlo io, parla la bestia: terra terra, alla buona, sa? lei ascolti e
patisca.
- Proprio per intenderci...
BALDOVINO.
Dice per me?
FABIO.
Con lei, ma si! Con chi dunque?
BALDOVINO.
No, signor marchese! Con se stesso bisogna che lei s'intende Io, per me, ho già bell'e inteso tutto.
- Ho parlato tanto -
(non soglio mica parlare molto io, sa?) - ho parlato perché vorrei
che lei si facesse capace di tutto, bene.
FABIO.
Io?
BALDOVINO.
Lei, lei.
Per me, già ci sono.
E facilissimo.
- che debbo
fare io? - Nulla.
- Rappresento la forma.
- L'azione - e non
bella - la commette lei: - l'ha già commessa, e io gliela riparo ;
seguiterà a commetterla, e io la nasconderò.
- Ma per nasconderla
bene, nel suo stesso interesse e nell'interesse sopratutto della signorina, bisogna che lei mi rispetti ; e non le sarà facile nella parte che
si vuol riserbare! - Rispetti, dico, non propriamente me, ma la
forma - la forma che io rappresento.
l'onesto marito d'una signora
perbene.
Non la vuol rispettare?
FABIO.
Ma sì, certo!
BALDOVINO.
E non comprende che sarà tanto più rigorosa e tiranna,
questa forma, quanto più pura lei vorrà che sia la mia onestà? -
Perciò le dicevo di badare alle conseguenze.
- Non per me, per lei!
Io, guardi: ho buone lenti per la mia filosofia.
E per salvare, in
queste condizioni, la mia dignità, mi basterà vedere nella donna
che di nome sarà mia - una madre.
FABIO.
Ecco, già...
benissimo!
BALDOVINO.
E concepire i miei rapporti con lei a traverso la creaturina
che verrà - cioè, a traverso l'u
...
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