[Pagina precedente]...quei che cantavan sopra i rami saldi,
i fior pallidi fersi e sparve l'ombra
et un vedovo orrore il sito ingombra.
6
Mentre i sentier fioriti et egli et ella
premon soavi, spiega il denso velo
l'umida notte, onde la copia bella
prima con gli occhi fe' sereno il cielo,
poi col guardo gli accese ogni sua stella,
e godendo del dolce estivo gelo
si rendono in Albracca, ove un corriero
trovar, qual avea corso ogni emispero.
7
Da i freddi lidi a le cocenti arene
del Tanai e di Libia egli avea corso;
varcato ha il mar qual crea orche e sirene
e calcato d'Atlante il petto e il dorso;
tutte le selve ha cerco, d'orror piene,
sin dove il sol raffrena e prende il corso,
per trovar lei, e la saluta al fine
con volto basso e con ginocchia inchine.
8
Il servo umíl l'altissima cagione
ch'errar fatto l'avea di clima in clima
con parlar breve a da suo par l'espone,
ma lagrime e sospir traendo in prima.
Fattole udir ch'estinto è Galafrone,
ella, che seco il ver tacita estima,
per fare al regno suo presto ritorno
entrò in camin ne lo spuntar del giorno.
9
Il dí ch'uscí d'Albracca ella e il suo sposo
entrò in Parigi con l'essempio altiero
il messo che lasciò nel luogo ombroso
l'alto circasso colmo di duol fiero.
Era il giorno felice e glorioso
che l'onorato singular Ruggiero
sol trionfò con sue virtuti conte
del temerario ardir di Rodomonte;
10
onde con real pompa fur ridotte
nel tempio ivi maggior, sospese in alto,
l'arme smagliate e fieramente rotte
di quel che volle a Dio mover assalto
(vestille il re d'Algier dopo Nembrotte,
e d'antiqua bontà col ver l'essalto)
et in un titol d'or sopra si mise:
" De Rodomonte fur. Ruggier l'uccise ".
11
Perché piacque al buon Carlo, in un momento
fu de l'arme arricchito il tempio tosto
e 'l morto, che de i vivi era spavento,
dove morío suso un pilastro è posto,
a guisa che si suol poscia che il vento
lascia dal mar con impeto discosto,
di squame armato, il monstruoso pesce,
che piú entrar non può ne l'acqua ond'esce.
12
Tosto che 'l messo reverente corse
ne le case reali, in seggio altero
tra i dodeci robusti Carlo scorse,
che in terra il padre par d'ogni emispero.
Stansi ne la sua fronte, u' gli occhi porse,
Arme, Religion, la Fede e il Vero,
e tacendo e parlando mostra segni
ch'obietto è sol de i trionfi e de i regni.
13
Vide Ruggier, vide i famosi eroi
de la gran corte al suo valor sovrano
dar corona di lode, e vide poi,
piena di desioso affetto umano,
Bradamante gentil co i modi suoi
basciarli umíl la vincitrice mano,
avendo ancora, benché fosse ardita,
dal suo bel volto ogni beltà smarrita,
14
che, se ben ella come il suo signore
non combatté con Rodomonte fiero,
tutti quei crudi colpi ebbe nel core
ch'avuti per lo dosso avea Ruggiero:
mentr'ei guerra mortal fece di fore,
ella contese dentro col pensiero
e l'avea quasi posta a l'ore estreme
de la sua palma una dubbiosa speme.
15
Mentre a Ruggier con tenera accoglienza
il famoso drappel soggiorna inante,
mentre gioisce de la sua presenza
Marfisa, ch'ha i trionfi nel sembiante,
ecco il corrier con somma riverenza
curvar, chinar, piegar fra genti tante
le spalle, il capo, le ginocchia e dire:
- O magnanimo, sacro, invitto sire,
16
messo de l'alma Angelica son io,
che imponermi degnò, da lei partendo,
ch'al mondo fessi noto che d'un dio
s'è fatta sposa, del suo amor ardendo;
e perché il mondo a te sol paga il fio,
gli incensi e i voti al tuo nome offerendo,
al mondo il dico, s'a te 'l dico -. E intanto
scoperse di Medor l'essempio santo.
17
La schiera, il cui mormorio ivi risona
quasi quello del ciel quando cangiare
sua faccia suol, che poi balena e tuona,
quetò il saggio uom, come racqueta il mare
estiva calma che nulla aura sprona,
tal che dov'è ciascun nessuno pare,
che, dal nuovo miracol mossi e tocchi,
senza lingue a l'imago han fissi gli occhi.
18
Lo stuol famoso, di mirar contento
la gran beltà del colorato viso,
sembra de buoni un bel numero intento
a porger prieghi al re del paradiso,
e par l'aggia Medusa in un momento
converso in marmo, sí contempla fiso
la non piú vista incredibil beltate,
ch'ha di sé le vaghe alme innamorate.
19
Alda, che in altro foco unqua non arse
di quel ch'accese in lei pudico amore,
sente da quella imagine disfarse,
ch'or l'imprime il desio nel casto core;
in due rose vermiglie trasformarse
le guancie a Bradamante mostrò fore
che la nuova bellezza tocco le have
l'alma de cui Ruggier serba la chiave.
20
Mentre l'effigie a sé conversi avea
gli occhi e 'l cor di ciascun senza far motto,
con l'anima un sospir Marfisa crea
che l'aere e 'l silenzio in uno ha rotto,
ond'ogniun parla. Carlo sorridea
(qual uom per lunga esperienzia dotto)
de l'incauto sospir nato et estinto
mercé del vivo e bel giovin depinto.
21
Ma varco omai a quella donna, a quella
che ne la passion mesta e tremante
comparse oscura, quasi vile ancella,
nel conspetto real di Sacripante;
la qual dopo i saluti gli favella:
- O cavalier, per quel ch'io veggio, errante
e pien de guai e colmo anco di doglia,
dolore è il mio, sia il tuo che duol si voglia.
22
Strano signor, se di contrarie cose
doler si debbe e se ne vive alcuna
che cagion ne abbia per sorti noiose,
quella sono io, che cosí vol fortuna,
e certo, quando in terra il ciel mi pose
(che foss'io di non esservi digiuna!),
consentí ch'ogni sua empia influenza
sopra me trista fesse esperienza.
23
S'udir non vi dispiace, alto signore,
i miei guai conterovvi a parte a parte -.
- Anzi, d'udirlo ho gran desio nel core -
disse il terror de la scola di Marte -,
che tanta passion sento d'amore,
che 'l cor fra tanto foco or mi comparte,
ch'io non scemo il mio male, u' sono e fui,
se non quando ch'io odo il mal d'altrui -.
24
Ella comincia sospirando: - Io nacqui
quasi beata e di tal grazia ch'io
mai ad alcun servo d'Amor non spiacqui
et era vita a chi creommi e dio;
ma il nido, in cui con pompa altera giacqui,
non oso dire, e n'ho sommo desio;
dirò ben che mi fece la mia stella
di re figliuola e mogliere e sorella.
25
Quel che sposo mi fu era nimico
del padre mio, onde col campo venne
nel regno suo, acceso d'odio antico,
e quel con l'arme corse, arse et ottenne.
Tentò piú volte Sua Corona amico
farsi il buon vecchio, et ogni via ci tenne,
e non mai di piegarlo ebbe rimedio,
anzi u' il seggio tenea pose l'assedio.
26
Poi, durando la guerra, Amor piú volte
su le mura mi scorse e mi fece anco
lodarlo mentre apri' a le schiere folte
a questo il petto, a quel la gola e il fianco.
Su le porte un dí corse in ire sciolte
con un trapunto d'oro abito bianco;
senz'elmo il vidi e trappassommi al core
sua dolce vista, come piacque ' Amore.
27
Tosto ch'io fui del suo bel viso accesa,
cieca mi fece Amor, come far sole
desiosa alma, ad amar sempre intesa
quel che piú la consuma e piú le dole.
Io obliai ogni danno, ogni offesa
che ne facea con le sue forze sole,
e tanto amava lui quanto che il rio
odiava il buono e real padre mio.
28
Era re, era vago e gioven era,
era conto, era saggio et era forte,
n'altro piacer avea la Fama altera
che riportar dentro a le nostre porte
de i gesti suoi la lunga istoria vera;
tal ch'io, spinta d'amore e da la sorte,
di lui m'accesi e non m'avidi alora
quanto erra chi per fama s'innamora.
29
Né soffrir possendo io al core in mezzo
l'ardente imago del bel volto adorno,
un fido ritrovai secreto mezzo
e il foco mio li fei scoprire un giorno.
Ei, ciò udendo, dubbitosi mezzo
che fosse un laccio teso per suo scorno,
ond'io men venni a lui pronta e sicura
per una ignota via angusta e scura.
30
Sotto il palagio avea una tomba cava,
fatta per gran bisogni, et in man mia
del sepolto uscio ognior la chiave stava.
Lo apersi, ohimè!, e per l'oscura via
solinga andai -. In questo il pianto lava
suo dolce viso e a pena il retenia,
e segue: - Io stessa andai nel cieco loco,
dove lume mi feci col mio fuoco.
31
Amor, che meco per compagno e duce
visibilmente per la tomba venne,
inanzi al mio dio empio mi conduce.
Ei la lingua mi sciolse e 'l piè ritenne:
ciò ch'io fei, ciò ch'io dissi, Amor mi induce
a fare e dire, e sempre le sue penne
mi scosse intorno al cor, perché la fiamma
de l'ardor mio non si scemasse dramma.
32
Come a lui giunsi e ch'ei s'avide chiaro
ch'io del suo avversario era la figlia,
piú finse amarmi e piú avermi caro
che l'alma in seno e il lume ne le ciglia.
Quel ch'Amor, mentre ardea con duolo amaro,
mi detta, mi amonisce e me consiglia,
quel formai, quel ritenni e quello dissi
con un pianto ch'avria rotto gli abissi.
33
Non sembrai già fanciulla incauta e vile,
anzi serva d'Amore esperta e ardita;
trovai ogni parola che gentile
core a pietà de le sue pene invita,
tal ch'ei, dentro crudel, di fore umíle,
che tanto mor quanto il mio padre ha vita,
in guisa d'uom ch'ingannar altri vole,
disnodò la sua lingua in tai parole:
34
" Donna, io vi giuro per quel nuovo ardore,
del quale accesa omai l'alma m'avete,
ch'odio né sdegno il mio real valore
non ha spinto a quel fin che vi credete,
ma un sol desio di sempiterno onore,
una di gloria inestinguibil sete
è la cagion che fero oggi mi mostra
contra l'altezza de la sede vostra.
35
Ma se a me date tanto modo ch'io
prenda la terra dove il campo ho intorno,
a ciò ch'io adempisca il gran desio,
che pria m'ucciderei che fargli scorno,
il padre vostro fia suocero mio,
mia sposa voi, con cui farò ritorno
ne l'antico mio chiaro e nobil regno,
che del vostro sarà sempre sostegno ".
36
Come io li udi' " voi la mia sposa " dire,
tanta letizia il mio cor vago strinse
ch'io tornai molle a ciascun suo desire
et a dargli la terra Amor mi spinse.
Ei mi giurò sol de l'onor gioire
del vinto padre, e 'l dito poi mi cinse
de l'anel maritale, e cosí prese
l'albergo dov'io nacqui, e quello accese.
37
Il mio nido arse e uccisemi il fratello
su gli occhi al padre, e la madre infelice
dinanzi al figlio, e passò d'un coltello
in grembo a me, semplice traditrice,
chi l'esser diemmi; e dopo il caso fello
seco mi mena, e non mel contradice
vederlo io molle del mio sangue giusto,
che tutto pote Amor spietato e ingiusto.
38
Or sú, io vado col marito invitto,
ch'ha il mio regno converso in piú ruine,
e, gravida di lui, mio corpo afflitto
de i nove mesi è già condutto al fine,
già il duol m'assale, et ei, ch'ha nel cor fitto
il mio morir, fe' pormi in su le spine,
a ciò le spine e il duol ch'ognior mi accora
sien cagion ch'io e il parto estinto mora.
39
Io stessa mi spogliai la nobil vesta,
che disperato amor mi fe' sicura;
scoprendo i membri dissi: " O ingrato, è questa
l'alta mercé de la mia fede pura?
Parti a reina sí vil morte onesta?
Ove fu mai che il padre sepoltura
a l'unico figliuol vilmente desse
inanzi ch'ei peccasse e ch'ei nascesse? ".
40
A tai parole le spine pungenti
l'acute intenerir punte mortali;
fersi benigni i piú rabbiosi venti
ne l'udir l'innocenzia de i miei mali.
Duo servi intanto, anzi fieri serpenti,
per saziare i desir suoi e i fatali,
me gittar su le spine e gran pietade
ebbe alora di me la Crudeltade.
41
Le spine mi dier luogo e caddi in l'erba
che sotto a quelle era ben folta e verde;
feci un fanciullo che l'effigie serba
del padre in viso e nulla non sen perde;
lo prende un servo e con vista superba
dice: " Il re mio, che teco ira rinverde,
vuol ch'io l'uccida, a ciò finisca insieme
l'odio suo, la tua vita e sí vil seme ".
42
Cosí disse e nel sangue il ferro immerse,
ch'al cor passomme quando in quel si tinse,
e le tenere membra a un tratto aperse
che pure alora il materno alvo avinse
d'intorno a lo spirtel, ch'al ciel s'offerse
prima che 'l sol vedesse, e 'l laccio scinse
de lo stame vital sul far del nodo,
ch'è quel morir che piú che il viver lodo.
43
Fui rivestita, et ecco in aureo vaso
il duro laccio, il coltello e 'l veneno,
dono crudele et inaudito caso.
Meritava io, che l'avea sculto in seno,
che per me sí reo fin fosse rimaso?
Deh, perché non si turba il ciel sereno
mentre io 'l narro co i mesti accenti miei
e perché alora il sopportaro i dei?
44
Èmmi detto: " Ecco il ferro, il tosco e 'l laccio;
eleggi tu quel fin ch'elegg...
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