[Pagina precedente]... contra d'Albracca tutta;
questa poca di piazza è sepoltura
di gente molta da lui sol distrutta;
qui facea la sua forza oltra misura,
non lasciando di sangue fronte asciutta,
cose d'eterna e singular memoria,
se intoppo non avea sua tanta gloria.
71
Mentre la palma in fier sembiante crudo
stringer credea, qui apparve Sacripante,
tratto dal grido, sol, ferito e nudo,
del vile stuol che li fuggia dinante,
e svelto a l'altrui braccio un forte scudo,
al feroce uom che facea prove tante
qui s'interpose e qui adrieto 'l rivolse,
qui la palma di man gli scosse e tolse -.
72
Indi partiti e giunti a quella porta,
al valor d'Agrican già uscio e varco:
- Qui fu, - disse ella, - anco gran gente morta
da quel crudel, non mai di sangue parco;
qui entraro ed usciro in schiera accorta,
ciascun di fé, d'amore e d'arme carco,
dieci tuoni, anzi folgori di guerra,
che 'l ciel facean tremar, non che la terra.
73
Il magno padre mio, re Galafrone,
piú di senno e d'onor che d'anni pieno,
Brandimarte, il circasso e Chiarione,
Antifor, Adrian (che aveano in seno
l'imagin mia) ed Oberto e Grifone,
Aquilante e Torindo e quel che il freno
pone a i feroci e siede a gli altri in cima:
parlo d'Orlando, che dovea dir prima -.
74
Poi, trapassati al campo, Medor mira
i luoghi ove attendar schiere cotante;
con gli occhi or torna in dietro, ora gli gira
a le reliquie che si scorge inante;
l'ossa morte riguarda e ne sospira;
parte dà orecchie a le parole sante
di quella ch'è d'ogni suo ben radice,
che 'l sentiero gli addita e cosí dice:
75
- Vedete quelle pietre e quelle spine,
sanguigne ancora in questo e in quel camino?
Esse squarciaro e rupper le meschine
membra del miserabil Truffaldino,
ch'ebbe con brutto scorno orribil fine
dal gran Ranaldo, di Marte vicino,
con grave ira di quei ch'aveano il pondo
di salvare il vil re da tutto il mondo.
76
Vedete quindi ove son l'orme impresse
di duo cavalli e dove sparse in terra
son tante maglie et arme aperte e fesse?
Fu tra il conte e 'l cugino orribil guerra:
gelosia ed amor con ire espresse
comosse Orlando sí ch'ivi sotterra
Ranaldo estinto il suo furor ponea,
se la mia gran pietà nol soccorrea -.
77
Poi li mostra u' del conte l'alta forza
trovò Marfisa, qual trova onda scoglio;
poscia di lei, che con la spada amorza
tutte le fiamme de l'umano orgoglio,
narrò il valor, con cui piú eroi sforza,
ch'a i suoi dí non ne vide il Campidoglio.
Medor, compreso il tutto, umíl s'affisse
e con suon dolce a la sua sposa disse:
78
- Con le sue gloriose et invitte arme
e Macedonia e Cartagine e Roma
che state sieno in questo campo parme
per impor l'una a l'altra servil soma -.
Rispose ella: - Col ver posso essaltarme,
non per ornar d'eterno allor la chioma:
l'opre si fer', ma perché ogniun desia
sol trionfar de la bellezza mia.
79
Non vinse me l'empio Agrican gagliardo,
né Marfisa, né alcuno armato stuolo,
e Medor col soave e dolce sguardo
mi vinse a un tratto, e disarmato e solo;
non del mondo il coltel, d'Amore il dardo
a l'alterezza mia spennato ha il volo,
né mai quanto valor splende fra noi
mosse il mio cor, ma lo piegaste voi.
80
Non le palme, i trionfi et i trofei,
né le corone de l'invitto conte,
non di Ranaldo, onor de i semidei,
l'eterne e celebrate opere conte,
non la gloria de gli altri servi miei
mi scaldar mai con le lor virtú pronte,
ma voi tutta mi ardete, e non men pento,
sí è il cor del dolce suo foco contento -.
81
Medor, che con beltà senno anco avea,
di parole appagar li pare indegno
il magnanimo cor de la sua dea,
che in don li diè se stessa e 'l suo bel regno;
onde si tace e tacendo piangea
e con le calde lagrime fa segno
ch'altamente ringrazia la donna alma
con la lingua de l'animo e de l'alma.
82
Have acceso il bel viso di quel foco
ch'infiammar rosa dolcemente sole
quando s'apre vezzosa a poco a poco
tra il fin de l'alba e il cominciar del sole;
ella fiso lo mira et hanne gioco,
che ben s'accorge quel ch'esprimer vole
col suo silenzio lagrimoso, e in tanto
con le sue man gli asciuga il dolce pianto.
83
L'umor cortese e affettuoso asciutto,
inviarsi ove il misero Agricane
combattendo col conte in fero lutto
sentí del valor suo le forze vane;
intero ancor, ma disarmato tutto
al fonte di Merlin sol si rimane:
urna non chiude l'orrido suo velo,
che, invece al marmo, lo ricuopre il cielo.
84
Senza indugio il boschetto indi vicino
in atto trappassar dolce e lascivo
e giunti al fonte del mago Merlino
scorse il gran re simíle ad un uom vivo
che par morto dormendo; et il meschino
si giace in terra d'ogni pompa privo.
Com'ella il vide, cangiato il sembiante,
si ristrinse a Medor tutta tremante.
85
Non di rosa pallor né di viola,
che sole o pioggia affliga in loro stelo,
non pallidezza di leggiadra e sola
vergine pastorella che il bel velo
o tronco o sterpe fuggendo le invola,
veduto il serpe, quando avampa il cielo,
non languido color di fior reciso
rassembra quel de l'angelico viso;
86
ma, preso qualità dal corpo estinto,
il gentil volto candido e rosato
apparve di mortal color dipinto,
sí de le guancie il sangue è dileguato;
ond'egli, ch'è da un tenero amor vinto
per la pietà del viso suo cangiato,
da lo spettacol fer seco si tolse
e in piú gioconda parte i passi volse.
87
Indi partiro e giunser tosto in parte
ch'il timore e l'andar gli sgombra e affrena.
Mai di natura amor né studio d'arte
la piú nobil non fe' né la piú amena.
Le gelide acque che la fonte ha sparte
creano un rio che se medesmo mena
nel suo bel grembo e chiaro si ripone
in bel gorgo ch'onora ogni stagione.
88
Non manca al luogo, che a lor tanto piacque
per l'eccellenzie sue nuove e feconde,
arbori, frondi, fiori, ombre, aure et acque;
ma fior, acque, aure, ombre, arbori e fronde
d'ogni altro sito al sito ch'ivi nacque,
nel qual continuo april suoi pregi infonde,
par che rendin tributo e sembra il nido
di colei ch'anco onora e Cipri e Gnido.
89
L'acqua pura, il bel verde e il fresco vento
vagheggion fissi i singulari amanti;
la bella donna fa con l'andar lento
l'erbe fiorir presse da i piedi santi;
meno allegro si mostra e men contento
l'anno di maggio e de' suoi vari manti
che non fa il luogo de la copia bella
a cui s'inchina la stagion novella.
90
Di splendido contesto e terso argento
ornate avean le pargolette membra;
propio d'angeli è lor bel portamento
e del ciel cosa l'uno e l'altro sembra;
gli comparte il dolce oro il velo e il vento,
e chi veder giamai lieti rimembra
su i fior Cupido o su per l'erba dea
dica ciascuno " è tal ", non " tal parea ".
91
Or la sorte in un tempo ad ambo mostra,
perché posin le membra pellegrine,
quasi un bell'antro ne l'ombrosa chiostra
che senz'arte han composte alcune spine,
onde bianca e vermiglia altera mostra
fan le rose vezzose mattutine
de le quali il pratel s'adorna e infiora,
poi che seco ha scherzato alquanto l'òra.
92
Ne l'antro, il cui secreto unqua non cede
del sole a i raggi, tra l'erbette e ' fiori
corcarsi soli; intanto l'aura fiede
ne i lor bei volti e spira grati odori.
- Medor, ch'è nel cor mio, sasselo e vede
quanti ha da me sera e matina onori -
l'alma Angelica dice -, et ei sa come
riverisco et adoro il suo bel nome;
93
che non pur i desir de i casti petti
ponno scaldar vostri sereni lumi,
ma infiammerieno entro gli erbosi letti
sotto il ciel freddo i piú gelati fiumi,
perché d'Amor son chiari nidi eletti;
e se di voi scorgano i bei costumi
queste piante e quel rivo, io tengo certo
che gli arderete d'uno incendio aperto -.
94
Ed ei ne le parole ch'ella porse
gli spirti inebra e il cor fido consola;
poscia con la soave bocca corse
onde esce il suon de la favella sola;
e perché in lei celeste ambrosia scorse
in mezo a i labbri l'ultima parola
li bevve con un bascio ed umil disse:
- Vita et anima -. E qui tacque e s'affisse.
95
Quando Angelica il bascio dolce a pieno
gustò con l'alma, per la rosea bocca
stillando giú nel cor di desir pieno,
da un vital morir sentissi tocca,
tal che fore del tenero e bel seno
la dolcezza d'amor calda trabocca.
Ella parla e in lui tien le luci sole,
ch'han prestato piú volte il lume al sole.
96
Quegli occhi affige in lui, quegli occhi dove
il suo trono maggior Cupido tene,
quegli occhi in cui, tosto che 'l dí si move
per dar luogo a la notte, il sol sen viene,
quegli occhi a i quali fino al ciel di Giove
toglie il sereno ch'altero il mantiene,
quegli occhi ove han le Grazie alto soggiorno,
da cui chiara letizia prende il giorno.
97
Poscia ch'ebber di sguardi e basci grati
gli occhi e i labbri notriti a l'ombre sole
e gli orecchi attentissimi cibati
de la dolce armonia de le parole,
de l'Aure i lievi e graziosi Fiati,
da le rose, da i fior, da le viole
e da le frondi dipartirsi queti
e gli angelici crin disciolser lieti.
98
Disciolto l'ondeggiante oro sottile
e il vel che lo copria seco traendo,
questa Aura de un bel crin forma un monile,
il candido di lei collo cingendo;
quella dentro e di fuor del sen gentile
un altro aureo crin fa gir serpendo:
chi parte i bei capegli e chi gli preme,
altra gli sparge, altra gli accoglie insieme.
99
I dolci Sonni fra le frondi ascosi,
mentre scherzan co i crin l'Aure lascive,
del dolce vaneggiare invidiosi
le assalir le due stelle altere e dive;
e per farsi piú chiari e graziosi
si unir con l'Aure, non pur d'essi schive,
ma sí amiche ch'ov'è l'Aura è il Sonno
e insieme consolar l'anime ponno.
100
Tosto ch'i Sonni i begli occhi assaliro,
la donna ora gli mostra aperti or chiusi:
non han valor ch'allumi con un giro
l'aere d'intorno, qual di far son usi.
A tal sembianza il sol spesso rimíro,
che i suoi lucenti rai tutti confusi
lieto or ne porge e mesto ora ne cela
se nuvoletto alcun lo adombra o vela.
101
Poi nel serrar de i lumi, onde il sereno
perdette il dí, visibilmente Amore
basciolla, e il foco suo mísole in seno,
dileguò i Sonni e nel profondo core
discese il bascio di faville pieno.
Sí il disio le raccese et il fervore
che con strania lascivia pose al collo
le belle braccia al suo terreno Apollo.
102
Poscia, congiunto l'uno e l'altro petto,
si uniro insieme sí fervidamente
che d'ambo i cori con equale affetto
queti basciarsi incomprensibilmente
e i vaghi spirti, corsi per diletto
su le labbra, si bevver dolcemente;
poi lenti a un tratto cadder sospirando,
l'un l'altro in bocca l'anima spirando.
103
In questo il Sonno, lusinghier soave,
tra l'ombra e il verde senza impaccio apparve
e col favor de l'Aurette ch'have
ne i lor begli occhi entrò come a lui parve.
Ogni cura che punto il core aggrave
del Sonno a l'apparir da quelli sparve,
tal che, s'Amor non gli destava alora,
e l'uno e l'altro dormirebbe ancora.
Canto Secondo
1
Non si curi del ciel chi in terra vive
felice amando e del suo amor contento
né lassú brami fra le cose dive
sentir la gioia ove ogni spirto è intento,
perch'al sommo diletto par che arrive
solo il gioco amoroso, e in quel momento
che de la donna sua si bascia il viso
s'ha il medesimo ben ch'è in paradiso.
2
O beati color ch'hanno duo cori
in un sol core e due alme in un'alma,
due vite in una vita, e i loro ardori
quetano in pace graziosa et alma;
beatissimi quei ch'hanno i fervori
con desio pari scarchi d'ogni salma,
né invidia o gelosia né avara sorte
gli nega alcun piacer sino a la morte.
3
Fa di ciò fede Angelica e Medoro,
ne i quali Amor le sue dolcezze affina,
ch'una beatitudine han fra loro,
mercé de la sua stella pellegrina,
ch'esser gli par sú ne l'eterno coro
e aver la gloria a Dio vie piú vicina
d'alcun beato, anzi gli par che il cielo
altro non sia che il lor ardente zelo.
4
Il queto Sonno, di posar contento,
i lor sacri occhi abandonar non vole;
l'ombra del verde, il respirar del vento,
de l'acque il suon, l'odor de le viole
e de gli augelli il semplice concento
favor gli fan con tante grazie sole,
che, s'Amor non rompea sue dolci tempre,
ivi gioiva, ivi albergava sempre.
5
Ruppesi il sonno umíl, placido e chiaro
ne l'ora che 'l sol perde i raggi caldi,
onde colmi di gioia si levaro
ambo de i freschi e teneri smeraldi.
Ne la partenza a pianger cominciaro
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