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et una aria che ride senza riso.
32
Medor suo nome dolcemente suona,
che tosto fia di real manto adorno,
tosto risplenderà de la corona
del gran Catai e già s'appressa il giorno.
Ma dove che io lasciai l'alta persona
d'Angelica soave in bel soggiorno
non posso dir, che mi impose al partire
che dove fosse io non ardissi dire -.
33
Chi vide uom mai vago d'intender cosa,
che teme di saperla e attento ascolta
ciò che udir non vorebbe, onde l'ascosa
picciola pena sua diventa molta,
vede il buon Sacripante, che non osa
piú il messo dimandar, con voce sciolta,
del suo cordoglio e tacendo s'accora,
che men certezza averne il meglio fora.
34
Pur sospirando alfin disse: - Riprendi
il bel ritratto e al mondo lo divolga
e tanto in ogni parte i passi stendi
che ciascuno in ver' lui gli occhi rivolga.
S'ad Angelica poi te stesso rendi
le di' (né ciò di mente te si tolga)
che Sacripante è de la vita privo,
che morto son bench'io rassembri vivo -.
35
Bascia il messaggio l'effigie divina
mentre il re gliela porge e con gran cura
la ripiega e ripone e poscia inchina
al cavaliere e in Francia andar procura
per ubbidir la singular reina.
Or l'amante, rimaso in pena dura,
dice non senza lagrime in suon pio:
- Chi mi consiglierà ? Che far debbo io?
36
Io doverei tutto coperto d'arme,
non che al Catai (poco lontana parte),
ma in questo et in quel clima translatarme,
u' non mai il caldo, ove il gel mai non parte,
e 'l mio aversario indi dal cor levarme
che di lei gode sà che io non vi ho parte,
mercé del ciel che a dar non si fu volto
il mio animo a lui e a me il suo volto.
37
Adunque il ciel, non la mia donna bella,
del terren paradiso unico sole,
ha colpa del mio male, e forse ch'ella
de mia speme tradita ora si dole,
perché mia sorte e sua perversa stella
ch'ella odi il gran valor consente e vole
et ami in terra beltà senza essempio.
Ma che non puote il ciel invido et empio? -
38
Spezzò un tal lamento un forte grido,
con note a l'aria dolorose e sole;
ond'ei, rivolto al suon ch'empie ogni lido,
vede uno a piè, mentre piú coce il sole,
che sen viene in ver lui e Amor infido
chiama a gran voce e sol d'Amor si dole.
Gli è Ferraú, il qual si scorge inante
quasi uom che spira il miser Sacripante.
39
Raffigurollo in farseli vicino
e nel veder come in su l'erba giace
disse ridendo: - O nobil saracino,
voi riposate a l'ombra e a l'aura in pace,
et un vil servo (ahi, nostro reo destino!
ahi, discortese Amor, crudo e fallace!)
gioisce in seno a l'empia donna nostra
e sé felice in ogni parte mostra.
40
Colei che ne fa il petto un mongibello
hassi per bel suo paradiso eletto
un servo, che solea di Dardinello
e spogliar e vestir la mensa e il letto.
Or mercé bella, or guiderdone bello
ch'ottien chi l'ama! - E mentre ha cosà detto
si morde il dito e disdegnato stride
e nell'ira e nel duol piangendo ride.
41
Ciò udendo il re, benché nel duol si stempre,
disse: - Nostra empia e sua benigna sorte
ardere et agghiacciar ne farà sempre,
né pace avrem giamai se non per morte -.
Ferraú, che con salde e saggie tempre
non regge sé, fece le luci torte,
dicendo: - In me non ha ragione alcuna
né cielo, né pianeta, né fortuna.
42
Puote il fato di voi fors'esser donno,
di me non già , ch'or al Catai men vado
perché dorma Medor l'eterno sonno,
de la malvagia Angelica mal grado;
e se in altrui le inique stelle ponno,
lor forza in un mio par puote di rado
e né uomo né dio cosa può farme
che pentir nol facessi con queste arme -.
43
E credendo del tutto essere armato
si vede a piè sin de la spada inerme;
et alquanto in se stesso ritornato,
tenea le luci al cielo attente e ferme,
perché strano furor l'ha trapportato
per dritte strade e per vie torte ed erme;
l'intender di Medor l'istoria vera
del suo sà lungo error la cagion era.
44
Quando egli udà l'altrui ineffabil gioco
mosse a piedi senz'arme, in furor volto,
qual pastor che la greggia lascia e il loco
dove giacea a guisa d'uomo stolto,
udito il tuon poi ch'egli ha visto il foco
del folgor che li cade appresso molto,
poi, dal timor riscosso e da l'affanno,
di se stesso s'avede e del suo danno.
45
In presenza del sir di Circassia
se riconobbe l'uom di Spagna ardito;
a cui disse con somma cortesia
il re del latte di Palla nodrito:
- Signor, colma di duol la doglia mia
l'intender io del caso ch'è seguito;
or ora han visto cosa gli occhi miei
che per piú non veder non gli vorrei.
46
Visto ho l'effigie di colui che nacque
in sà secondo favor de i pianeti
che possede colei che sol ne piacque
perché non abbiam mai, non dico lieti,
ma duo dà senza noia -. E qui si tacque
con sospiri cocenti et inquieti.
Avrebbe oltra parlato ma tacea,
ch'il duol gli veta ciò che dir volea.
47
In questo Ferraú con voce insana
il filo a la sua lingua a un tratto spezza
gridando: - Adunque una lascivia umana,
di leggiadria composta e di vaghezza,
che tosto sparirà qual ombra vana,
l'ingrata donna, me spregiando, apprezza?
Ahi, ria putta sfacciata, adunque tu
osi far tanta ingiuria a Ferraú? -
48
Poi tutto assalse col suo parlar empio
il vago de le donne amato stuolo
e fe' del merto lor sà vile scempio
ch'Amor ne pianse per ira e per duolo.
E piangendo dicea: - Di doglia m'empio
con gran ragion perché, il collegio solo
non sendo de le donne, non potrei
or gli uomini domare, ora gli dei.
49
Lor mercede in su gli omeri ho queste ali,
la benda a gli occhi e in man questo arco franco;
mercé loro ho i piombati e gli aurei strali
e la faretra che mi pende al fianco;
del numer son de i sommi dei immortali
pur per mercede loro et ispero anco,
come per lor mercede io vivo e regno,
mercé lor farmi ancor del tempio degno -.
50
Mentre Amor duolsi, il re al guerrier crudo:
- È indegno - dice -, ch'un par vostro vada
senza caval, senz'elmo e senza scudo,
né al fianco avendo pur cinta la spada;
ma è ben degno ch'io, rimaso ignudo
d'ogni speranza, in questa alma contrada
de l'arme e del destrier privo rimanga
e a voi gli sacri e poi mia sorte pianga.
51
Il cavallo e la spada e l'arme a voi
consacro, a voi de gli alti onor figliuolo,
che far non ne potrei dono infra noi
ad uom piú degno, a cavalier piú solo.
Prendetel, ch'io de l'ordin de gli eroi
piú non mi appello; anzi con grave duolo
terminar vo' questo mio viver fosco
in aspro, solitario e orribil bosco -.
52
Ciò detto l'arme spogliasi e ne veste
Ferraú, che del don grazie gli rende;
gli allaccia e cinge (pur con luci meste)
l'elmo e la spada, onde a cavallo ascende
l'ispano amante, ch'ora sol di queste
cortesie nuove alta letizia prende
e fa nel dipartir dal gran circasso
con gli sproni al caval veloce il passo.
53
Con quel furor che l'acqua, l'erba e l'ombra
lascia cervo assetato, ingordo e stanco
alor che nulla tema il preme o ingombra
et il ferro e 'l velen gli è giunto al fianco,
con quel furor Ferraú move e sgombra
il terren sà sopra il cavallo franco
che l'aria fende assai con minor fretta
alata, leve e pungente saetta.
54
Il furore, il cavallo et il desio
veloce il porta in ogni alpestro calle;
il gran fiume trappassa e il picciol rio,
quel piano, questo monte e quella valle;
ma Virtú, che da sé 'l vede in oblio,
perché le par che 'l sommo uom troppo falle,
ne la mente un pensier nuovo li cria,
il qual l'arresta in mezo de la via.
55
E li dice: " Esser può che un cavaliero
come il sol chiaro adopri spada e scudo
contra una donna e un giovanetto altero
e seco mostri uno animo sà crudo?
O nato de Lanfusa, ascolta il vero:
tua somma gloria fia se tutto ignudo
vinci la fera donna e spegni quello
a danno altrui sà aventuroso e bello.
56
Caso e fortuna sol per farti onore
ti fer dianzi obliar l'arme e 'l cavallo,
perché de gli occhi tuoi basta il terrore
a domar loro, e tutto il mondo sallo;
che non sol con i duo t'è disonore:
entrar dovresti fin con Marte in ballo
sol coperto d'orgoglio e d'arme privo,
perché tu sei fatato, s'egli è divo.
57
Ma quando fia che debbi andar armato,
dirà ciascun, là onde affretti il passo,
che furto sien, perché di gemme ornato
tengano il nome del gran re circasso.
E se tu giuri che il guerrier pregiato
sacre a te l'aggia e che, di gioia casso,
sia fatto cittadin d'un bosco folto,
questo è un ver ch'ha di menzogna il volto,
58
perché un tal re vie piú l'arme che 'l regno
sempre pregiò; e che si creda poi
l'alta desperazion del signor degno,
che difficil sarà giudicar puoi.
Or non far atto del tuo grado indegno,
e s'armato a la impresa andar pur vuoi
io non tel veto, ma tuo onor ben parme
che vi porti le tue, non l'altrui arme ".
59
Dal magnanimo e nobile pensiero
fedelmente ammonito e dal suo onore,
non replicando altra parola al vero,
sua ritrosa ira e suo natio furore
di render si risolve arme e destriero
d'i circassi a l'altissimo signore.
Ma lascio or lui, che mi convien seguire
Sacripante, che muor senza morire.
60
Ritorno a lui, che ciò che udà pur ora
l'ha cosà al vivo e trafitto et offeso
ch'uom saggio par ch'esce del senno fora,
né può del duol piú sopportar il peso
e lo stare e l'andar tanto l'accora
che in sé lo fa dubbiar tutto sospeso,
per ch'un pensier, che coi suoi pensier giostra,
l'insania del suo error chiaro li mostra.
61
Dice il pensiero a la sua mente: " Quanto,
quanto hai, non vi pensando, error commesso!
Tu eleggi consumar in doglia e in pianto
in solitario orror, miser, te stesso,
però ch'il caso temerario tanto
non fosse un dà ch'incontrar lunge o presso
ti facesse Medoro e darli morte,
poi armi un che 'l conduca a simil sorte.
62
S'Angelica tu hai sculta ne l'alma
sà come dici e dai colpa a le stelle
d'aver ella ad altrui dato la palma
di sue bellezze fatalmente belle,
perché a danno poi de la donna alma
ponesti l'arme in quelle mani, in quelle
empie et invitte mani? Or pensar dèi
che chi Medoro uccide uccide lei.
63
Ma questo è nulla. Andando ora al Catai
Ferraú, che fra i primi il vanto dassi,
che l'arme tue per viltà date gli hai
dirà ciascun che a mendar altri stassi;
e forse ancor maggior biasmo n'avrai,
che chi nel vede adorno a creder hassi
ch'ei t'aggia vinto e le porti per gloria
come vero trofeo de la vittoria ".
64
Queto il pensiero, ecco una donna afflitta,
vedova, sola, in panni oscuri avinta,
sà dolente, sà mesta e sà trafitta,
d'affanni carca sÃ, sà di duol cinta,
che tanti sospir crea, tanti ne gitta,
ch'avria per la pietade e mossa e vinta
qual sia piú indurata e fera voglia;
e piú si duol, piú del dolor s'invoglia.
65
La gran beltà , di che gà dianzi altera,
in lei non mostra piú di beltà segno;
nessuna fede fa di quel ch'ella era,
sà 'l duol le ha spento il natural disegno.
Statua in cui Fidia pose l'arte intera,
l'amor, lo studio e 'l celebrato ingegno,
guasta dal lungo andar de gli anni sembra,
che d'uomo non ha piú forma né membra.
66
De i duo, ciascuno misero e infelice,
parlarem poi, perch'or chiamato sono
de la reina del Catai, beatrice
sol di Medoro, a cui altero dono
ella fe' di se stessa, onde il felice
seco stassi in Albracca e 'l dolce suono
de la celeste sua favella ‹'l› molce,
quando lieto lo move e quando il folce.
67
Poi che Medor con doglia immensa scorse
il suo signor quasi bel fior che langue
del vomero mercé, poscia ch'ei porse
umana aita al real corpo essangue,
poi ch'egli del fin suo si stette in forse
e dipinse il terren col giovin sangue,
poi che gli diè la donna, a lui sol pia,
e la vita e se stessa in cortesia,
68
si condusse in Albracca egli e colei,
che in lui la luce ha sempre fissa e intenta
(e, se non che non lice, io sembrarei
Angelica ad un'anima contenta,
che in contemplar lo dio de gli altri dei
de l'eterna vivanda s'alimenta).
Mentr'essa il mira le nodrisce il core
soave face di gentile amore.
69
Dopo lungo, gio‹io›so e consolato
dolce riposo, trasse per diletto
un dà la donna il caro sposo amato
dove tutto il valor del mondo eletto
già si mostrò con sua gran gloria armato.
Pria per la terra il mena ed hagli detto:
- Qui fu il tal fatto - e giunta a quella parte
dove Agricane aspre memorie ha sparte,
70
dice (e sospira): - Qui fe' guerra dura
Agrican sol...
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